Luciano Manicardi, Commento al Vangelo di domenica 27 Settembre 2020

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Il ricredersi del credente

Nel capitolo 21 del suo vangelo Matteo mostra come il confronto tra Gesรน e le autoritร  giudaiche si faccia sempre piรน serrato e si inasprisca. In particolare, dopo una discussione con i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo sulla sua autoritร  (Mt 21,23-27), Gesรน pronuncia tre parabole tutte incentrate sul rifiuto, da parte dei capi dโ€™Israele, dellโ€™offerta di salvezza. Nel loro insieme esse disegnano una sintesi di storia della salvezza mostrando che, a differenti inviati da parte di Dio (Giovanni Battista: Mt 21,28-32; i profeti dellโ€™Antico Testamento e il Figlio: Mt 21,33-46; i profeti del Nuovo Testamento e i missionari cristiani: Mt 22,1-14), ha sempre corrisposto unโ€™identica reazione di rigetto. In particolare, Gesรน lega strettamente la sua autoritร  a quella di Giovanni Battista e stigmatizza il rifiuto di โ€œcredere inโ€ Giovanni (Mt 21,25.32) da parte delle autoritร  giudaiche, cogliendolo come fattore che impedisce loro di accedere al riconoscimento pieno della sua stessa persona e del suo ministero. Sia Giovanni, infatti, che Gesรน sono inviati da Dio. Seppure in forme diverse, essi narrano lโ€™azione di Dio, ma entrambi hanno incontrato analoga opposizione e rifiuto: โ€œรˆ venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: โ€˜รˆ indemoniatoโ€™. รˆ venuto il Figlio dellโ€™uomo, che mangia e beve, e dicono: โ€˜Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e peccatoriโ€™โ€ (Mt 11,18-19). Ed รจ proprio subito dopo aver negato una risposta a coloro che lo interrogavano circa la sua autoritร  e che a propria volta non avevano voluto rispondere alla sua domanda sullโ€™autoritร  del Battista (Mt 21,27), che Gesรน rivolge ai suoi interlocutori la parabola dei due figli inviati nella vigna.

Il testo evangelico รจ composto dalla parabola vera e propria (vv. 28-30) e da unโ€™applicazione (vv. 31-32). Entrambe le parti sono introdotte da una domanda: โ€œChe ve ne pare?โ€ (v. 28); โ€œChi dei due ha compiuto la volontร  del padre?โ€ (v. 31). La domanda, frequente nel parlare di Gesรน, appare come invocazione e come offerta. Invocazione e offerta di veritร , di coinvolgimento, di relazione autentica. Al centro di entrambe le domande vi รจ la parabola: la prima chiede attenzione e la seconda, una presa di posizione. Cosรฌ, la parabola stessa appare come domanda che agisce come terzo tra Gesรน e i suoi interlocutori e cerca di condurli alla veritร  in modo rispettoso e delicato. La parabola diviene narrazione che parla di Giovanni Battista (โ€œGiovanni venne a voi โ€ฆโ€) sia in riferimento a prostitute e pubblicani che gli hanno creduto (โ€œi pubblicani e le prostitute โ€ฆโ€) sia ai suoi interlocutori che non gli hanno creduto (โ€œvoi invece โ€ฆโ€). Il rovesciamento descritto nella parabola per cui chi ha risposto di sรฌ al comando del padre in realtร  non gli obbedisce e chi gli ha risposto di no alla fine gli obbedisce, diviene specchio della situazione esistenziale di emarginati e pubblici peccatori che scavalcano, โ€œprecedonoโ€ nel Regno coloro che sembravano gli obbedienti e i fedeli. Coloro cioรจ che tutto indicava avessero risposto di sรฌ alla volontร  di Dio Padre.

La parabola riguarda due figli a cui il padre chiede di andare a lavorare nella vigna. Uno risponde di no, ma poi, pentitosi, ci va; lโ€™altro risponde di sรฌ, ma poi non ci va. Entrambi sono in contraddizione con se stessi. รˆ interessante il comportamento di chi risponde di sรฌ. Egli risponde chiamando suo padre โ€œsignoreโ€ (kyrie): si rivolge a un padre o a un padrone? Sta rispondendo nella libertร  o nella logica imprigionante del dovere? Immagina forse che il padre si senta gratificato dallโ€™essere chiamato padrone, signore? A parole, egli si mostra โ€œcome si deveโ€, ma il suo agire si rivelerร  lontano dal suo dire. Cโ€™รจ – e il Gesรน di Matteo lo ha giร  denunciato con vigore – un dire โ€œSignore, Signoreโ€ che viene smentito da una prassi in cui non si fa la volontร  di Dio (Mt 7,21). Criterio veritativo della parola รจ il fare, la prassi. Cโ€™รจ infatti un uso della parola che viene contraddetto da prassi e comportamenti contrari oppure che diventa una cortina fumogena che stravolge la realtร  e inganna se stessi e gli altri. Da un lato avviene che spesso noi confondiamo il โ€œparlare diโ€ con lโ€™โ€œaver esperienza diโ€, ma ancor piรน grave รจ il comportamento di chi non vive di realtร , ma delle sue parole sulla realtร , del suo reinterpretare la realtร  e riplasmarla a suo piacimento. Il sรฌ che il figlio dice al padre rischia di divenire la realtร  a cui crede il figlio stesso. Colui che dice di sรฌ e poi non fa, รจ colui che esaurisce la sua ubbidienza a Dio a fatto di parola: lโ€™apparenza รจ salva, la sua immagine รจ salva, ma il suo cuore รจ lontano da Dio.

Qual รจ la differenza con lโ€™altro figlio che dice di no e poi obbedisce? Questi dice ciรฒ che sente, forse in modo non riflesso, ma parla con sinceritร , dicendo ciรฒ che prova e che lo mette in contrasto con il padre. Appunto, egli si espone a un conflitto con il padre, con una persona esterna a lui, e questo lo conduce a prendere coscienza del suo conflitto interiore e a mutare opinione. Cosa che non avviene in chi risponde โ€œsรฌโ€ e che compiace lโ€™altro, si adagia sullโ€™altro, non si espone conflittualmente allโ€™altro e puรฒ evitare di guardare alla tentazione della disobbedienza che abita pure in lui. Per Matteo รจ poi evidente che coloro che vivono nel โ€œsรฌโ€ sono i religiosi (sacerdoti e anziani del popolo: Mt 21,23) che possono non sentirsi bisognosi di conversione perchรฉ giร  โ€œa postoโ€, a differenza di coloro che invece vivono nel โ€œnoโ€, come pubblicani e prostitute, e che possono fare spazio al Vangelo ed entrare nel Regno.

Ma possono farvi spazio, come annota Matteo, attraverso il pentimento. Il primo figlio, quello che rispose impulsivamente di no, dopo โ€œsi pentรฌโ€ (Mt 21,29); invece a sacerdoti e anziani Gesรน dice: โ€œnon vi siete nemmeno pentitiโ€ (Mt 21,32) per credere a Giovanni. Il pentimento afferma che il credere implica a volte il ricredersi. Lโ€™obbedienza alla parola e alla volontร  di Dio passa anche attraverso uno smentire la propria parola e la propria volontร . La fede infatti non ci chiede di non sbagliare e di non peccare, ma di riconoscere lโ€™errore e di confessare il peccato. In quel โ€œricredersiโ€ cโ€™รจ il dialogo interiore, cโ€™รจ la presa di coscienza della realtร , cโ€™รจ lโ€™audacia di guardare in faccia se stessi, di osare vedersi in veritร , preliminare essenziale per lโ€™agire responsabile. Insomma, cโ€™รจ lโ€™inizio del movimento verso la responsabilitร , cโ€™รจ lโ€™inizio della decisione di passare dallโ€™irresponsabilitร  alla responsabilitร . In questo senso, lungi dallโ€™essere un segno di debolezza, il pentimento รจ segno di coraggio e di forza. Per quanto sia raro e impopolare, anche nella chiesa, il gesto di chi riconosce di aver sbagliato, di chi ammette di aver assunto posizioni che si sono rivelate poco conformi al Vangelo e muta la propria posizione cercando di essere piรน fedele al Vangelo, รจ segno di grandezza umana e spirituale. Il pentimento รจ poi attestazione di libertร : libertร  nei confronti di se stessi e della potentissima tirannia dellโ€™io narcisistico ma anche libertร  in quanto contestazione di ogni determinismo. Il pentimento dice che anche il malvagio puรฒ cambiare: il peccato non รจ una potenza metafisica che schiaccia lโ€™uomo e che ha su di lui lโ€™ultima parola. Nel pentimento ogni essere umano ritrova la retta via e โ€œtornaโ€ a se stesso e a Dio allo stesso tempo. Atto di libertร , il pentimento รจ anche atto di liberazione. Il malvagio che cambia condotta โ€œfa vivere se stessoโ€, per usare le parole del profeta Ezechiele (Ez 18,27), dร  vita alla sua esistenza, mostrando di non essere schiavo dei suoi precedenti comportamenti. Dobbiamo riconoscere che nel cristianesimo il pentimento รจ la via maestra per accedere alla volontร  di Dio. Come dice in modo eccellente il teologo ortodosso Christos Yannaras: โ€œNoi cristiani abbiamo il privilegio di disporre di un metodo altro, rispetto alla mondanitร , per avvicinarci alla veritร : il pentimentoโ€.

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Potremmo accostare la narrazione parabolica di Matteo a uno dei testi spirituali piรน intensi dedicati al tema del pentimento e della misericordia: Le mie missioni in Siberia, dellโ€™archimandrita Spiridone, un prete e monaco ortodosso vissuto tra la fine dellโ€™Ottocento e gli inizi del Novecento. Lโ€™esperienza pluriennale di cappellano nelle carceri siberiane gli permise di narrare diversi incontri con omicidi, parricidi, stupratori, con quella che sembra essere la feccia dellโ€™umanitร . Ma Spiridone, che ha conosciuto la fragilitร  della carne umana in se stesso, รจ capace di riconoscerla nellโ€™altro, e sa essere compassionevole: egli puรฒ cosรฌ attestare tante โ€œpresenzeโ€ della misericordia, tanti โ€œmiracoliโ€ della grazia, anche nei peccatori piรน incalliti. E in un passaggio, che echeggia la parabola di Matteo, si legge: โ€œNotai con stupore quanto fossero poco disposti a un pentimento sincero i detenuti che erano stati sacerdoti, o monaci o novizi, o che avevano fatto in qualche modo parte del cleroโ€, a dire come il pentimento, che esige un lavoro faticoso di veritร  e di incontro con se stessi, a volte possa trovare un ostacolo proprio nellโ€™โ€œapparecchiaturaโ€ religiosa.

A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose