Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 27 Febbraio 2022

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Vedi come parli

Lโ€™odierna pagina evangelica (Lc 6,39-45) contiene parole di Gesรน rivolte ai suoi discepoli: i destinatari del suo parlare sono ancora i โ€œvoi che ascoltateโ€ di Lc 6,27. Luca riunisce qui detti e parole di Gesรน che nel vangelo secondo Matteo hanno collocazioni diverse e rivestono anche significati differenti. Il detto proverbiale riguardante i ciechi che guidano altri ciechi lo troviamo in Mt 15,14 riferito ai farisei (cf. Mt 15,12-14). In Luca (6,39) il discorso si rivolge allโ€™interno della comunitร  cristiana. Il detto sul discepolo e il suo maestro si trova anche in Matteo, ma inserito allโ€™interno del discorso missionario (Mt 10,24-25) e riflette lโ€™idea giudaica che un discepolo non รจ chiamato a โ€œsuperareโ€ il maestro, ma ad assomigliargli attraverso lโ€™acquisizione dellโ€™insegnamento da lui trasmesso.

In Luca (6,40), la sottolineatura sulla necessaria โ€œformazioneโ€ del discepolo apre uno spiraglio sulla vita di una comunitร  cristiana allโ€™epoca dellโ€™evangelista Luca e sullโ€™attivitร  catechetica che vi si svolgeva. Il verbo indica la formazione cristiana sul piano dottrinale e sul piano etico, pratico. Questo significato รจ presente nellโ€™uso di questo verbo in altri passi neotestamentari come 1Ts 3,10 (Paolo desidera recarsi dai Tessalonicesi per โ€œcompletare ciรฒ che manca alla loro fedeโ€) o Eb 13,21 dove indica lโ€™azione di perfezionamento che conduce il cristiano compiere la volontร  di Dio. Anche lo sfondo di questo detto รจ dunque, per Luca, la comunitร  cristiana. Altrettanto si deve dire dei vv. 41-42 dove per quattro volte ricorre il vocabolo adelphรฒs, โ€œfratelloโ€.

Abbiamo qui la messa in guardia da un atteggiamento di giudizio interno alla comunitร  cristiana: si tratta di chi corregge i comportamenti di un altro senza vedere e riconoscere i propri difetti. Certamente sono considerati quanti hanno responsabilitร  nella comunitร  cristiana, ma anche ogni discepolo. Lโ€™ipocrisia denunciata (Lc 6,42) rivela la possibilitร  di vivere la fede in modo schizofrenico e falso. Il meccanismo psicologico che si mette in moto รจ semplice: mentre giudico e condanno lโ€™altro mi autoassolvo da comportamenti che possono essere anche molto piรน gravi di quelli che denuncio. รˆ la modalitร  ingannevole e ingannatrice di chi condannando altri, rende innocente se stesso. Lโ€™invito รจ a conversione, ovvero a saper vedere se stessi nei propri limiti e peccati, dunque a uscire dalla cecitร  che รจ sempre incapacitร  e non volontร  di vedere il male che abita nel proprio cuore. La conversione puรฒ nascere soltanto dal fare la veritร  davanti a Dio, e dunque dal vedersi in veritร .

Notiamo pertanto che i diversi detti riuniti in Lc 6,39-42 trovano una certa unitร  sul tema della cecitร  e del vedere, dunque del discernere. In particolare lโ€™immagine paradossale della trave e della pagliuzza esprime la situazione dellโ€™uomo davanti a Dio, cosรฌ come lโ€™enorme e insolvibile debito del servo dinanzi al re nella parabola del servo spietato (Mt 18,23ss.). Infine, le parole di Gesรน in Lc 6,43-45, trovano paralleli in Mt 7,16.18 e 12,34-35. Con la metafora dellโ€™albero e del frutto (โ€œNon vi รจ albero buono che produca un frutto cattivoโ€: Lc 6,43), Gesรน passa dai comportamenti che offendono la fraternitร  alla radice dei comportamenti, ovvero, il cuore: โ€œLโ€™uomo buono, dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; lโ€™uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il maleโ€ (Lc 6,45). Purtroppo vi รจ una cecitร  che รจ essenziale, vitale, irrinunciabile psicologicamente, per molti uomini religiosi, pena il crollo della propria immagine davanti a sรฉ e davanti agli altri, pena lโ€™autoannientamento. Gesรน non avrebbe timore a rivolgere loro il grido: โ€œIpocritiโ€ (cf. Lc 6,42).

In particolare, la frase finale del nostro testo evangelico pone uno stretto rapporto tra parola e cuore: โ€œLa bocca esprime ciรฒ che dal cuore sovrabbondaโ€ (Lc 6,45). Lโ€™espressione ha uno sfondo veterotestamentario: โ€œQuando si scuote il setaccio restano i rifiuti; cosรฌ quando un uomo discute, ne appaiono i difetti. I vasi del ceramista li mette alla prova la fornace, cosรฌ il modo di ragionare รจ il banco di prova per un uomo. Il frutto dimostra come รจ coltivato lโ€™albero, cosรฌ la parola rivela i pensieri del cuore. Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poichรฉ questa รจ la prova degli uominiโ€ (Sir 27,4-7).

La parola rivela il cuore dellโ€™uomo. Riprendendo lโ€™immagine del vedere presente nella prima parte del nostro testo, possiamo dire che la parola fa vedere il cuore dellโ€™uomo, mostra ciรฒ che abita in lui. Il rapporto cuore-bocca, ovvero, interno-esterno, invisibile-visibile, silenzioso-udibile รจ manifestato dalla parola, realtร  spirituale e corporea al tempo stesso. Questa domenica puรฒ cosรฌ offrire lโ€™occasione di una catechesi sullโ€™umano parlare, su rischi e potenzialitร  della parola umana: il vangelo consente di approfondire il discorso sulla parola di giudizio e di condanna, sulla parola doppia e ipocrita (โ€œCome puoi dire al tuo fratelloโ€ฆ?โ€: Lc 6,42), ma anche sulla parola che istruisce e sulla parola appresa nel rapporto maestro โ€“ discepolo (cf. Lc 6,39-40).

Sempre, quando parliamo, parliamo a partire da noi stessi e parliamo di noi. La parola รจ intimamente legata al nostro corpo e alla nostra anima, alla nostra biografia e alle nostre ferite, alla nostra affettivitร . La parola รจ anche forma di esplicita consegna di noi allโ€™altro: la parola ci mette a nudo perchรฉ viene dal cuore, svela qualcosa della nostra interioritร . Atto di comunicazione elementare e imprescindibile, la parola รจ una responsabilitร : una volta pronunciata, essa appartiene a chi lโ€™ha ascoltata. Ma la parola puรฒ divenire strumento di violenza e di menzogna, non di veritร .

Un frammento di Eraclito afferma che gli umani sono โ€œincapaci di ascoltare e di parlareโ€. Per i cristiani, lโ€™ascolto della Parola di Dio ha lโ€™effetto di insegnare, sรฌ, a parlare a Dio, a pregare, ma anche a parlarsi gli uni gli altri, a parlare agli uomini, a comunicare. La buona qualitร  di una vita ecclesiale si manifesta anzitutto nella qualitร  della comunicazione. Dio, rivelandosi agli uomini con la parola e come parola, ha svelato loro la sua volontร  di incontrarli e di entrare in comunione con loro sul loro stesso terreno. Dio, infatti, parla la lingua degli uomini.

Centro intimo dellโ€™ascolto e della parola รจ, nellโ€™uomo, il cuore, biblica sede della volontร  e dellโ€™intelligenza, della ragione e della capacitร  decisionale, di emozioni e di sentimenti. Se โ€œdal cuore sgorga la vitaโ€ (Pr 4,23) e โ€œdal cuore umano escono i propositi di maleโ€ (Mc 7,21), la parola che lโ€™uomo pronuncia ha in sรฉ il potere di dare vita o morte: โ€œmorte e vita sono in potere della linguaโ€ (Pr 18,21). La menzogna, la calunnia, la parola adulatrice, la parola che plagia, la parola che distorce la realtร , la parola che manipola le persone, la parola che mente mischiando frammenti di veritร  a dosi di falsitร , sono esempi di parola mortifera.

Ma il parlare presenta anche il rischio di creare, con parole grandi e molto โ€œalteโ€ spiritualmente, una realtร  virtuale che si sostituisce alla realtร  e la soppianta. Anzi, cโ€™รจ il rischio di ridurre la vita di fede a questione di bei discorsi, quasi che, pronunciate le parole giuste su Dio, si fosse esentati dal metterle in pratica. Quante volte le parole forti (Dio, libertร , giustizia โ€ฆ) si sono accompagnate, da parte di chi le pronunciava, a pratiche che le smentivano radicalmente. Del resto, se la parola rivela il cuore, lโ€™intenzione profonda della persona, e se la parola รจ sempre anche un gesto, un atto, e puรฒ perfino divenire un corpo contundente, ecco che dalla parola non possiamo che passare al cuore, dunque alla purificazione della nostra persona, per trovare quellโ€™integritร  e quella saldezza che sole possono fondare la nostra buona pratica di umanitร . Nel cuore nasce lโ€™unificazione di parola e azione, di parola e gesto.

Le parole sul cieco che pretende di guidare un altro cieco (cf. Lc 6,39) riguardano certamente chi nella chiesa detiene autoritร , ma anche ogni credente. Se, come dicevamo, la cecitร  consiste nel non vedere i propri difetti e, al tempo stesso, nel pretendere di curare i difetti degli altri (cf. Lc 6,41-42), va affermato con forza che lโ€™unica critica credibile nasce da unโ€™autocritica. Per poter aiutare concretamente lโ€™altro, occorre fare la veritร  in se stessi. La libertร  che nasce da questo โ€œfare la veritร โ€ (cf. Gv 8,32), รจ la condizione dellโ€™autenticitร  del nostro intervento di aiuto presso lโ€™altro. Altrimenti, vedere il difetto dellโ€™altro e aiutarlo a disfarsene, diviene ciรฒ che ci consente di non riconoscerlo in noi. E cosรฌ restiamo ciechi e non liberi.

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Se il frutto dellโ€™uomo รจ il suo agire, la parola potrebbe anche divenire la foglia che copre la penosa assenza di frutti, che camuffa la realtร . Parola โ€œbuonaโ€ รจ allora la parola umile, la parola che ha il coraggio della veritร  e che non nasconde la realtร . Creare la fiducia perchรฉ una persona possa dirsi, anche negli aspetti ai suoi occhi piรน vergognosi e irricevibili e biasimevoli, e accoglierlo nella propria umanitร  senza giudizi e condanne, รจ compito pastorale necessario e vitale. Che richiede lโ€™uscita dalla cecitร , ovvero, la presa di coscienza della trave che รจ nel proprio occhio.


A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose