La preghiera del povero
Il vangelo odierno (Lc 11,1-13) presenta l’insegnamento di Gesù sulla preghiera. Vedendo Gesù pregare, i suoi discepoli gli chiedono di insegnare loro a pregare, come anche Giovanni aveva insegnato ai suoi discepoli. Lungi dall’essere uno spontaneo manifestarsi di un impulso interiore, la preghiera è ricevuta attraverso una tradizione. “È attraverso una tradizione vivente che lo Spirito santo insegna a pregare ai figli di Dio, nella chiesa ‘che crede e prega’” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2650). Questa trasmissione onora e rispetta ciò che la preghiera è in verità: un dono. Alla preghiera si può essere certamente introdotti da un padre spirituale, ma il primo, privilegiato e non rimpiazzabile luogo di formazione alla preghiera è la liturgia. Essa è suscitata nell’uomo dall’azione di Dio nella forza dello Spirito: la preghiera della chiesa non è solo leitourghía, azione comune, ma anche opus Dei, azione di (genitivo soggettivo) Dio. Ricordare la liturgia come magistero di preghiera è essenziale per evitare le sempre possibili cadute nel devozionale e nel pietistico.
Decisiva nella preghiera è la categoria della filialità. Il Pater, la preghiera che il Signore ci ha insegnato, non è tanto una formula da imparare a memoria, ma la norma della preghiera cristiana e la sintesi del vangelo ((lex orationis; breviarium totius evangelii: Tertulliano), un canovaccio di vita cristiana che guida il credente a entrare nella relazione con il Padre, nel Figlio Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito. Pregare significa entrare sempre più in profondità nella dimensione di figli di Dio.
Nella preghiera del Signore (Lc 11,2-4) le domande fondamentali dell’uomo alle prese con la vita e con la morte (Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?) trovano indicazioni di risposta. Io sono una creatura, amata e chiamata per nome da Dio Padre. Io sono anche un essere fragile, fallibile e peccatore, che ha bisogno del perdono come del pane quotidiano e che prega per non essere abbandonato in balia delle prove e per non soccombere nelle tentazioni.
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Nella mia piccolezza amata da Dio io sono anche destinato al Regno, chiamato alla santificazione, a vivere l’oggi narrando la santità di Dio con un agire improntato a giustizia e carità. Radicato in un passato che, in ultima istanza, è sotto il segno della paternità amorosa di Dio e lo situa nella fede, il credente vive il presente praticando la carità e il perdono verso i fratelli e si apre con speranza al futuro attendendo la venuta gloriosa del Signore e la comunione con lui nel Regno.
Luca sottolinea che la preghiera ha la capacità di forgiare l’uomo rendendolo un povero: chiedere, cercare e bussare (Lc 11,9) sono i gesti propri del mendicante, del cercatore, del pellegrino. Ed è proprio del povero anche l’atteggiamento di apertura e fiducia nei confronti di Colui che può donare. È la fiducia che può abitare nella relazione tra amici, come afferma la breve parabola dell’amico importuno (cf. Lc 11,5-8). Pregare significa entrare nelle dimensioni dell’amicizia e della povertà nei confronti del Signore. Se il passo parallelo di Matteo afferma che Dio darà “cose buone” a coloro che le domandano (Mt 7,11), Luca parla dello “Spirito santo” come del dono che il Signore non fa mancare ai suoi fedeli (Lc 11,13). Lo Spirito è il dono dei doni, il dono veramente essenziale, quello che consente all’uomo di assumere il volere di Dio e farlo proprio giungendo così a pregare nel nome del Signore Gesù e a vivere nella libertà dei figli di Dio.
Non deve stupire che la preghiera di cui qui si parla sia essenzialmente preghiera di domanda. La domanda esprime filialità e povertà. L’esperienza ci dice che è solo all’interno di un rapporto di fiducia e davanti a una persona di cui ci fidiamo totalmente, ovvero, da cui ci sappiamo amati senza riserve, che noi osiamo porre ogni tipo di domanda senza timore. Dunque: il coraggio di domandare nasce dalla fiducia ed esprime fiducia. È a chi ci ama che noi domandiamo con fiducia: il domandare di Gesù stesso nella sua preghiera è anzitutto riconoscimento dell’amore del Padre per lui.
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La preghiera di domanda in bocca a Gesù esprime desiderio e attesa, e la fiducia che la attraversa non dice la sicurezza di colui che già sa come vanno a finire le cose, ma esprime il suo abbandono alla bontà del Padre (cf. Mt 7,9-11). Egli crede che ciò che domanda gli sarà concesso. E così insegna a fare ai suoi discepoli: “Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo già ottenuto e vi accadrà” (Mc 11,24). Essenziale nel fondare la fiducia del domandare è il fatto che il Padre “sa”, “conosce” ciò di cui gli uomini hanno bisogno (cf. Mt 6,8), ancor prima che glielo domandino.
Che Gesù insegni a domandare a Colui che già sa il bisogno umano indica che il suo Dio è attento e desideroso di incontrare l’uomo, non semplicemente di sopperire al suo bisogno: è un padre che vuole dialogare e entrare in relazione con i suoi figli. Ovvero, nel Dio narrato da Gesù di Nazaret c’è un’accoglienza previa, un sì radicale detto all’uomo, una fiducia nell’uomo. L’immagine di Dio manifestata da Gesù è quella di chi sa che l’uomo è anche bisogno e mancanza, ed è con quest’uomo che egli vuole entrare in relazione, è quest’uomo che egli ama come un padre ama il proprio figlio.
L’insegnamento di Gesù sulla preghiera di domanda trova il suo vertice nell’espressione: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Lc 11,9). Che significano queste parole che sono smentite dal nostro frequente chiedere e non ottenere? Certamente esortano alla perseveranza e alla fiducia, ma prima ancora rivelano la figura dell’orante. Chi è colui che prega?
Anzitutto, una persona in ricerca: “Cercate”! Non ritenetevi già arrivati, non pensate di possedere, ma restate nel dinamismo della ricerca. Tenete vivo il desiderio e custodite in voi il vuoto che vi spinge a cercare. Chi è nel dinamismo della ricerca non si sazia del presente, del “già”. Chi prega è un cercatore di Dio, e il quaerere Deum è il sigillo di una vita di preghiera. E Dio lo si cerca scrutando le Scritture, nell’azione liturgica, nel fratello, nella storia. Ma non lo si possiede mai. Il vero orante non solo sa bene di non possedere Dio, anzi, se egli non smette di cercare ogni giorno, lo fa sapendo che Dio stesso ha cercato lui per primo (cf. 1Gv 4,10). La rivelazione presenta Dio stesso in cerca dell’uomo, lo presenta come il condiscendente, colui che scende là dove si trova l’uomo. E questa ricerca trova il suo apice in Gesù: quaerens me sedisti lassus. “Nella tua ricerca di me, ti sei seduto stanco”: la frase, tratta dal Dies irae, esprime la verità di fede che, prima di essere noi dei cercatori di Dio, è Dio stesso che, in Cristo, si è fatto cercatore dell’uomo.
L’uomo che prega, poi, è come un viandante o un pellegrino che è in cammino e che bussa alla porta di una casa per trovare alloggio. È un pellegrino come lo è stato Dio stesso che ha accompagnato la peregrinazione del popolo nell’esodo, che è andato in esilio con il suo popolo quando la sua gloria ha abbandonato il tempio per seguire il popolo nella deportazione. Il Dio biblico è stato compagno di viaggio del popolo nel cammino del deserto. Il Cristo appare anche lui come un viandante che fa strada con i due di Emmaus che lasciano Gerusalemme e poi si lascia ospitare nella loro casa (cf. Lc 24,13-35). E anche ora egli resta colui che sta alla porta e bussa in attesa che i credenti gli aprano. “Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Prima di essere noi che bussiamo alla porta di Dio, è Dio stesso che, in Cristo, bussa alla nostra porta.
Infine, colui che prega è un uomo che domanda, che non è autosufficiente, ma riconosce di aver bisogno di altri. Domandare è un atto umano non scontato. Come già detto, il domandare implica la fiducia in colui a cui si domanda. E poi, in verità, ogni autentica domanda è sempre una domanda di amore. Domandando, chiediamo di essere amati. Colui che domanda è umile, e l’uomo di preghiera è un pellegrino del senso e un umile cercatore di Dio che non procede con affermazioni perentorie, ma con sussurrate domande. Chi domanda si espone all’altro nella sua povertà, chiede di essere accolto, accetta di rendere l’altro partecipe del suo bisogno, della sua mancanza.
Ma la storia di Dio con l’uomo inizia proprio con la domanda che Dio pone nella sua ricerca dell’uomo: “Dove sei, Adamo?” (Gen 3,9); e Gesù si rivolge all’uomo con analoghe domande: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38); “Chi cerchi?” (Gv 20,15). Cioè, prima di essere l’uomo che cerca, bussa e chiede, Dio stesso è colui che cerca l’uomo, bussa alla porta del suo cuore, lo interpella. Dio stesso è colui che fa fiducia all’uomo e lo interroga, che lo cerca, che bussa alla sua porta. Dio stesso è colui che anzitutto prega l’uomo. È dunque in Dio, e in Gesù Cristo, sua immagine tra gli uomini, che l’uomo trova il modello del suo pregare. Ecco perché “chi cerca trova, chi chiede riceve e a chi bussa sarà aperto”, non tanto perché ottenga qualcosa, ma perché chi chiede, cerca e bussa si trova nella situazione di Dio stesso, entra nel modo di essere di Dio, nella vita di Dio. Ovvero, “riceve lo Spirito santo” (cf. Lc 11,13).
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose