La parola di Dio negli eventi
La conversione รจ il tema centrale della terza domenica di Quaresima. Evidente nel testo evangelico (Lc 13,1-9: โSe non vi convertite, perireteโ: Lc 13,3.5), lโinvito alla conversione รจ presente nel testo paolino (1Cor 10,1-6.10-12) sotto forma di ammonizione a non cadere nellโidolatria e a lottare contro le tentazioni; nella prima lettura (Es 3,1-8a.13-15) la conversione appare come svolta decisiva nella vita di Mosรจ, per cui egli riceve dal Signore ciรฒ che prima si era affidato da sรฉ, cioรจ il compito di liberare i figli dโIsraele dallโEgitto.
I tre testi trovano un filo rosso anche nella presentazione del rapporto tra Parola di Dio ed eventi. Gli eventi della vita quotidiana, i gesti ripetitivi del lavoro, diventano occasione di ascolto di una Parola di Dio per Mosรจ (Es 3); gli eventi accaduti nel passato della storia di salvezza e testimoniati nella Scrittura veicolano una Parola di Dio per i cristiani di Corinto (1Cor 10); gli eventi della storia contemporanea, in particolare alcuni fatti di cronaca, sono colti da Gesรน come appello alla conversione (Lc 13). Attraverso la quotidianitร (I lettura), la storia (vangelo) e la Scrittura (II lettura) Dio parla allโuomo. Ascolto (I lettura), memoria (II lettura) e discernimento (vangelo) sono atteggiamenti essenziali per cogliere la Parola di Dio negli eventi.
La prima lettura presenta Mosรจ nel quotidiano svolgimento del suo lavoro. Mosรจ aveva allora 80 anni (Es 7,7), etร che rappresenta la compiutezza del secondo periodo della sua vita (suddivisa in tre periodi di 40 anni. โMosรจ aveva centoventi anni quando morรฌโ: Dt 34,7). Mosรจ รจ al culmine della fase mediana della sua vita e si ritrova ad essere un uomo sradicato dal suo popolo e minacciato dal faraone. La sua vita รจ precaria, irrisolta pur essendo lui ormai con famiglia e lavoro: รจ un ebreo lontano dal suo popolo, un egiziano fuggito dallโEgitto, uno straniero presso Jetro. E Mosรจ arriva nel deserto e allโOreb. O forse la sua quotidianitร finisce in un deserto, nellโhorrorvacui, nella solitudine orribile e disperante di cui รจ simbolo il deserto. Mosรจ si trova davanti allโOreb, che diventerร sรฌ il monte di Dio, ma il termine Oreb deriva da una radice che significa โrovinaโ, โdevastazioneโ, โmaceriaโ.
Lโindesiderato, lโinatteso, lโimpensato ci coglie di sorpresa, impreparati. E per questo puรฒ dispiegare la sua forza trasformante su di noi: perchรฉ siamo indifesi. E se puรฒ dare il colpo di grazia a una vita giร precaria, puรฒ anche divenire luogo di rinnovamento dellโesistenza. Il roveto che arde senza consumarsi diviene spettacolo che non solo attrae gli occhi di Mosรจ ma evento che lo guarda (โIl Signore apparve a Mosรจ in una fiamma di fuocoโ: v. 2; โdal roveto il Signore vide Mosรจโ: v. 4), che lo ri-guarda. La rinascita inizia nel momento in cui accettiamo che la realtร ci tocchi, non sia qualcosa da evitare con lโindifferenza e lโapatia. Di fronte al roveto Mosรจ si spoglia dei sandali (v. 5), simbolo della dignitร e dellโautonomia della persona libera, come anche del suo potere di acquisto: togliersi i sandali รจ simbolo (oltre che di rispetto per il suolo che si calpesta) di rinuncia al diritto di possesso. E di fronte alla voce che gli parla dal roveto, si vela il volto, segno del timore di fronte al divino, ma anche di volontร di sottrarsi allโimprevisto che fa capolino nel quotidiano. Mosรจ ha paura (v. 6).
E al Dio che gli affida il compito di andare dal faraone per far uscire il popolo dallโEgitto, Mosรจ oppone obiezioni. La prima, non compresa nel testo liturgico, รจ: โChi sono io per andare dal faraone?โ (v. 11). Mosรจ si sente inadeguato, privo di carisma, senza nulla nella sua persona e nella sua storia che giustifichi questo compito. E la risposta fa passare Mosรจ dal suo io spaventato alla promessa di prossimitร di Dio: โIo sarรฒ con teโ (v. 12). Ovvero: non dare troppo spazio a te, al tuo โioโ per questo compito che ti affido perchรฉ questa sarebbe la via piรน diretta per il fallimento. Questa la prima condizione per assumere la guida del popolo: non appoggiarsi sul proprio โioโ, ma contare sul Signore. La seconda obiezione verte sul nome di Dio. โMi diranno, i figli dโIsraele: qual รจ il nome del Dio che ti manda?โ (v. 13).
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Ovvero: che cosa ci assicura questo Dio? Che promessa ha in serbo per noi affinchรฉ gli crediamo? Allora Dio rivela il suo nome: โIo sarรฒ colui che sarรฒโ (v. 14). O anche: โIo sono colui che sarรฒโ (dove Dio si rivela come promessa) o ancora: โIo sarรฒ sempre quello che sonoโ (dove Dio si rivela come fedeltร ). Mosรจ deve credere alla promessa di Dio e alla fedeltร di Dio. Le obiezioni di Mosรจ sono fondate, queste come le altre che si trovano nei capitoli successivi dellโEsodo. Ma la spiegazione del nome divino data in Isaia 52,6 fornisce la risposta sufficiente. โIl mio popolo conoscerร il mio nome, comprenderร in quel giorno che io dicevo: Eccomiโ. Il nome di Dio dice non il suo โessereโ, astratto, ma il suo esserci, il suo essere accanto, il suo essere lรฌ con. E accogliere la rivelazione del nome significa fare un atto di affidamento nel Signore. Perchรฉ il suo nome significa: โEccomiโ (con te, accanto a te, per te). Su questo Mosรจ dovrร spezzare le sue resistenze e le sue obiezioni.
Nel vangelo, a Gesรน viene riferito un fatto di cronaca violento e sacrilego: Pilato ha fatto uccidere dei Galilei durante una cerimonia religiosa (Lc 13,1). Gesรน e i discepoli sono interpellati da quella notizia. La fede non puรฒ restare estranea ai fatti di quel mondo che รจ il destinatario della sollecitudine di Dio. E il giudizio che Gesรน dร รจ libero, originale e coraggioso. Gesรน spezza il legame tra disgrazia e peccato, non ripete il ritornello teologico che pretende di trovare un senso anche lร dove non cโรจ. E con la domanda โPensate forse cheโฆ?โ (Lc 13,2.4) polemizza con lโopinione diffusa che disgrazia e morte siano causati da peccati commessi.
Gesรน non ripete luoghi comuni teologici e consegna la sua interpretazione degli eventi: sono un invito a conversione. Non certo che Dio mandi eventi calamitosi perchรฉ lโuomo si converta: sarebbe blasfemo. Ma, per non abbandonare gli eventi a se stessi che resterebbero meri accadimenti senza nesso e senza senso, occorre ascoltarli e osare parole su di essi, occorre la fatica e il rischio dellโinterpretazione. Gesรน poi aggiunge di suo il riferimento a un fatto di cronaca, anchโesso luttuoso: il crollo della torre di Siloe che ha provocato la morte di diciotto persone (Lc 13,4).
I due fatti parlano di morti improvvise: sono eventi di cui non abbiamo responsabilitร , e tuttavia Gesรน indica una via attraverso la quale essi possono parlarci e divenire transitivi, cosรฌ da non perdersi nel non-senso, ma divenire capaci di ri-orientare la vita di altri. Rendendo quegli eventi un invito a conversione, Gesรน esorta a vivere con coscienza e consapevolezza lโoggi e il vangelo. La morte dร forma alla vita: quando sopravviene, essa svela la nostra vita dandole forma compiuta. Dovessimo morire domani ecco che la nostra vita รจ tutto ciรฒ che cโรจ stato prima. La non-consapevolezza, invece, รจ nemica della responsabilitร , che รจ anzitutto responsabilitร della nostra vita.
Con lโinvito a conversione che scaturisce dalla considerazione delle morti improvvise di altri, Gesรน intende dare un volto a chi รจ rimasto senza volto, perduto nellโanonimato di macerie che lโhanno sepolto o di una violenza brutale che ne ha troncato lโesistenza. Gesรน chiede che il volto e il nome perduti delle vittime trovino un riflesso nel volto e nel nome dei suoi discepoli. Gesรน chiede responsabilitร . Di farsi rispondenti di ciรฒ di cui non si ha responsabilitร diretta, ma che non ci puรฒ rimanere estraneo perchรฉ riguarda quegli esseri umani che sono nostri fratelli. Cosรฌ, mentre la violenza brutale nega la fraternitร spegnendo lโumanitร di chi viene ucciso e di chi uccide, la risposta di Gesรน tende a ricostruire legami di fraternitร . Gesรน assume lโevento che distrugge la fraternitร umana per farne il luogo di ricostruzione di tale rapporto.
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La parabola del fico improduttivo (Lc 13,6-9) presenta una minaccia di โmorteโ per lโalbero che da troppo tempo non dร frutti. Ma, al padrone che gli comanda di tagliare lโalbero, il contadino dice di no. Oppone quel lascialo, (ร fes, v. 8) che รจ il verbo usato per la remissione dei peccati e la liberazione dal male. Il contadino obietta. Obbedendo, non entrerebbe in conflitto con il padrone e avrebbe una pianta in meno da lavorare.
Ma il contadino crede al cambiamento possibile. Fa fiducia, crede che una novitร possa intervenire e il frutto spuntare. E impegna se stesso, promette il suo lavoro, chiede pazienza, almeno, per un altro anno. Il contadino fa mostra della sua libertร dicendo di no al padrone e addirittura, dopo avergli chiesto di lasciarglielo ancora un anno per curarlo e lavorarlo, aggiunge: se non darร frutti, โtu lo taglieraiโ (v. 9). Il contadino si rifiuta di tagliare lโalbero: se proprio vuoi, lo taglierai tu, non io. Il contadino oppone un altro no al padrone. Egli apre uno spazio di fiducia alla pianta, ne paga il prezzo e se ne assume il rischio: nulla gli garantisce il buon esito della sua iniziativa. Del resto: chi conosce i tempi in cui un uomo puรฒ dare frutti e convertirsi? Se perfino questo contadino, che assomiglia cosรฌ tanto a Gesรน, non si erge a padrone dei tempi dellโaltro e non taglia lโalbero infruttuoso, chi siamo noi per fare diversamente?
Per gentile concessione del Monastero di Bose