Luciano Manicardi โ€“ Commento al Vangelo di domenica 23 Luglio 2023

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Mitezza onnipotente

La mitezza di Dio nel suo agire con gli uomini (Sap 12,13.16-19), mitezza narrata dal padrone del campo nella parabola della zizzania (Mt 13,24-43), costituisce un elemento di unitร  fra prima lettura e vangelo.

Costitutiva dellโ€™agire di Dio fin dallโ€™atto creazionale, la mitezza รจ essenziale anche agli uomini e allโ€™agire ecclesiale. Essa non appare tanto come debolezza o impotenza, ma come volontร  e capacitร  di dominare la propria forza, di governarla, di addomesticarla, di orientarla. Come Dio ha dato prova di forza creando, cosรฌ ha dato prova di forza cessando di lavorare nel settimo giorno e chiedendo allโ€™uomo, sua immagine nel mondo, di realizzare la somiglianza con lui dando prova di forza su di sรฉ, non sugli altri: cioรจ limitando se stesso per consentire la crescita di altri. Come la mitezza si รจ manifestata nellโ€™atto di creazione facendo spazio allโ€™alteritร  umana, cosรฌ la mitezza umana รจ il lasciare che lโ€™altro sia quel che รจ. La mitezza di Dio si manifesta anche come pazienza, attesa dei tempi dellโ€™uomo, fiducia accordata allโ€™uomo: โ€œTu concedi dopo i peccati la possibilitร  della conversioneโ€ (Sap 12,19).

La mitezza si esprime ancora come non esclusione, non estirpazione, capacitร  di non dare giudizi ultimativi e senza scampo, ma come forza inclusiva e capacitร  di convivere con il negativo, come appare dalla parabola della zizzania. La mitezza, come attitudine a mettere limiti alla propria forza, appare anche come metodo di convivenza che si oppone alla logica della societร  tecnologica che ha come fine il proprio accrescimento e autopotenziamento e che ritiene ammissibile e perfino doveroso tutto ciรฒ che รจ tecnicamente fattibile. La mitezza accorda ancora una sensatezza al limite come elemento in qualche modo costitutivo dellโ€™umano, mentre una cultura radicale si compiace dellโ€™erosione progressiva di ogni limite, fino alla loro abolizione, quasi che in questo si manifestasse la potenza dellโ€™uomo e il pieno dispiegamento dellโ€™umano.

Lโ€™autore del libro della Sapienza collega la forza di Dio, e dunque anche la sua mitezza, alla compassione e alla misericordia: โ€œHai compassione di tutti perchรฉ tutto tu puoiโ€ (Sap 11,23). Quella compassione che รจ il sentire lโ€™altro nella sua unicitร  preziosa e precaria, irripetibile, espressa dal suo volto, icona del trascendente nella storia, e che invoca rispetto e pietร . Il Dio a cui si rivolge lโ€™autore del libro della Sapienza รจ anche colui che โ€œha cura di tutte le coseโ€ (Sap 12,13) e anche in questo si presenta come indicatore di via per gli umani. Non รจ forse di una cultura della cura di cui abbiamo bisogno mentre siamo immersi in una cultura della guerra? La guerra รจ lโ€™esatto contrario della cura: lโ€™altro รจ nemico da eliminare, la natura e lโ€™habitat vengono distrutti, alla logica della riparazione e della custodia si sostituisce quello della distruzione, alla solidarietร  si sostituisce il paradigma dellโ€™inimicizia.

E la mitezza si oppone alla prepotenza, alla soperchieria e allโ€™abuso, al prevalere sullโ€™altro con la forza. โ€œOpposte alla mitezza sono lโ€™arroganza, la protervia e la prepotenzaโ€ (Norberto Bobbio). Anche, la giustizia, afferma il libro della Sapienza (Sap 12,18), si accompagna alla mitezza mostrando cosรฌ la dimensione sociale fondamentale di questโ€™ultima come regolatore dei rapporti intra-umani. Anzi, il giusto โ€œdeve amare gli uominiโ€ (Sap 12,19), essere amico degli uomini (philรกnthropos), essere โ€œumanoโ€ (humanus) come traduce lโ€™antica versione latina. Insomma, per il libro della Sapienza, la mitezza รจ vera dimostrazione di forza, o forse meglio, dimostrazione della vera forza, di ciรฒ in cui consiste la vera forza di un uomo.

Nel vangelo la mitezza รจ presente nella parabola della zizzania, di cui Matteo ci fornisce prima la narrazione (Mt 13,24-30) e poi la spiegazione (13,36-43). Nella parabola si tratta della pazienza e della lungimiranza del โ€œpadrone di casaโ€ (13,27) che impedisce ai suoi servi di strappare la graminacea infestante cresciuta in mezzo al grano e di rimandare lโ€™operazione al tempo della mietitura che peraltro, sarร  affidata non ai servi ma ad altre figure, โ€œi mietitoriโ€ (13,30.39): โ€œLasciate crescere insieme (รกphete synauxรกnesthai) ambedueโ€. Lโ€™impazienza suggerirebbe di estirpare le piante di zizzania e di liberare cosรฌ il campo per il solo frutto del โ€œbuon semeโ€ (13,37.38), ma questa azione viene bocciata dallo stesso seminatore del buon seme (13,24), che sa anche immediatamente discernere che la presenza della zizzania รจ opera di un nemico (13,28). La domanda che pongono i servi รจ la tipica domanda che lโ€™uomo pone di fronte al male: Unde? Da dove? Da dove viene? Se Regno di Dio indica il modo dellโ€™agire divino, la parabola ci mostra che la presenza del male รจ un fatto, scandaloso fin che si vuole, ma da accogliersi con realismo. La storia umana, campo in cui viene seminato il seme buono, ne รจ intrisa fino alla fine del mondo (13,39), quando il giudizio di colui che scruta i cuori e i reni opererร  il discernimento tra figli del Regno e figli del Maligno (13,38). Pretendere di far piazza pulita del male prima del tempo รจ voler anticipare il giudizio e arrogarsi unโ€™azione che va lasciata a Dio. Ed รจ anche illusorio. Il male รจ compresente con il bene, nel cuore di ogni uomo come nella chiesa e nella storia. E come รจ stato โ€œseminatoโ€, cosรฌ puรฒ sempre rispuntare in tempi e forme non preventivabili.

Vi รจ un perfezionismo che รจ nemico del bene e spinge ad agire in base a unโ€™illusione, a unโ€™ideologia. Le parole del padrone di casa (13,27) e seminatore del buon seme (13,24), cioรจ del Figlio dellโ€™uomo (13,37), invitando a lasciar crescere insieme grano e loglio, mettono in guardia dallโ€™intraprendere azioni che possano impedire o ostacolare la crescita del bene. Certo, la parabola pone il lettore di fronte a uno scandalo: la โ€œgratuitร โ€ del male. Ovvero, la presenza di persone che agiscono in modo malvagio deliberatamente, al solo fine di procurare danni ad altri. Ed รจ interessante notare come lโ€™azione malvagia sappia camuffarsi e rendersi somigliante allโ€™azione buona: si tratta sempre di seminare un seme. Il tempo mostrerร  il frutto diverso, ma lโ€™unica differenza immediatamente percepibile รจ che lโ€™azione malvagia รจ stata compiuta di nascosto, di notte, โ€œmentre tutti dormivanoโ€ (13,25).

Il messaggio ha una valenza significativa anche per lโ€™individuo: in ciascuno di noi vi รจ unโ€™ombra, un enigma, che normalmente cerchiamo di rimuovere o di ignorare o che odiamo e vorremmo che sparisse, ma questa รจ la via per accordargli potere su di noi e continuare a vivere in dipendenza da esso. Se invece accettiamo di riconoscerne la presenza e smettiamo di opporci accanitamente ad esso, non gli forniamo piรน lโ€™appiglio per tenerci in ostaggio e possiamo cominciare a farne qualcosa, ad avere cioรจ noi un potere su di lui. Se cominciamo ad amare invece che ad odiare la parte che sentiamo irricevibile in noi, possiamo cominciare ad amare il nemico e a operare il grande miracolo: trasformare il nemico in amico. Sรฌ, perchรฉ esistono anche i nemici interiori, non solo quelli esterni e, anzi, lโ€™odio di sรฉ puรฒ essere molto piรน frequente dellโ€™amore di sรฉ. Spiritualmente, il perfezionismo, il non tollerare aspetti bui o negativi nel nostro cuore, o il volerli cancellare nellโ€™illusione di raggiungere una condizione immacolata, รจ azione insipiente e dannosa. Oltre che votata al fallimento.

La mitezza qui diventa pazienza nei confronti di se stessi, coscienza delle proprie lacune e fragilitร , assumendone perรฒ il peso e portandolo senza negarlo o gettarlo sugli altri. E questa pazienza diventa via verso la sapienza. Che mi piace esprimere con la folgorante espressione di Fernando Pessoa: โ€œPer essere grande, sii intero: non esagerare e non escludere niente di te. Sii tutto in ogni cosa. Metti quanto sei nel minimo che fai. Come la luna in ogni lago tutta risplende, perchรฉ in alto viveโ€.

La logica del Regno espressa nelle parabole non chiede dunque opere di asportazione chirurgica delle parti โ€œtenebroseโ€ di sรฉ e non chiede nemmeno di temere la piccolezza quasi fosse sinonimo di insignificanza. La parabola del grano di senape che รจ il piรน piccolo fra tutti i semi ma che, se lasciato crescere (cf. 13,32), diventa il piรน grande degli ortaggi, dice esattamente questo. E la parabola del lievito (13,33) afferma che non si deve temere neppure il nascondimento, la non rinomanza, la non visibilitร , quasi che fossero sinonimi di insuccesso o di inesistenza. La massaia protagonista della breve parabola non mescola (come traduce la Bibbia CEI), ma โ€œnascondeโ€ (vb. krรฝptoabscondit) il lievito nella farina. E la massa di farina รจ enorme, spropositata: tre sea (la Bibbia CEI traduce โ€œtre misureโ€) di fior di farina corrispondono circa a mezzo quintale.

Siamo rinviati alla logica del paradosso che sempre attraversa le parabole: piccolezza e nascondimento possono manifestare una potenza straordinaria e sviluppare una vitalitร  impensata. Non รจ forse questa la paradossale potenza della fede stessa? Dice Gesรน in Mt 17,20 โ€œSe avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: โ€˜Spostati da qui a lร โ€™ ed esso si sposterร , e nulla vi sarร  impossibileโ€. Forse invece possono essere sinonimi di mondanitร  e di non fede la ricerca di grandezza, lโ€™ansia di visibilitร  e la rimozione del negativo per presentare unโ€™immagine di sรฉ (individuale e collettivo) distante dalla realtร .

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A cura di: Luciano Manicardi

Per gentile concessione del Monastero di Bose