Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 21 Novembre 2021

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Testimonianza e confessione di fede

Lโ€™anno liturgico si conclude con una celebrazione del Cristo risorto e asceso al cielo che dal Padre ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra e stende la sua signoria sullโ€™intero universo. La pagina evangelica (che in questโ€™ultima domenica dellโ€™annata B รจ tratta dal IV vangelo), presentando il confronto tra Gesรน e Pilato (Gv 18,33b-37), aiuta a comprendere evangelicamente la qualitร  del โ€œregnoโ€ di cui Gesรน รจ portatore. E aiuta a far uscire dallโ€™ambiguitร  una festa che celebra un โ€œtitoloโ€ di Cristo (le liturgie antiche non celebravano titoli di Cristo, ma li confessavano a partire dal loro manifestarsi storico nella vita di Cristo) e che รจ segnata dal clima culturale e politico dellโ€™epoca in cui รจ stata istituita (Pio XI, enciclica Quas primas del 1925) e a cui cercava di reagire presentando una concezione della regalitร  di Cristo anche come rerum civilium imperium.

Il confronto tra Gesรน e Pilato prelude alla consegna di Gesรน alla crocifissione e proprio la croce sarร  il luogo di manifestazione della paradossale regalitร  di Gesรน. Cristo rivela la sua regalitร  sulla croce e il credente รจ chiamato a dispiegare nella sua vita la regalitร  di Cristo nel pentimento (cf. Lc 23,48) e nella testimonianza di fede fino al martirio (cf. At 7,59).

Lโ€™episodio del confronto tra Gesรน e Pilato, cosรฌ centrato sulla regalitร  di Gesรน, รจ interpretato da 1Tm 6,13 come evento in cui Gesรน โ€œha testimoniato la sua bella confessione di fedeโ€: la categoria della regalitร , riferita a Gesรน, deve essere completata da quella della testimonianza (martyrรญa) e della confessione di fede (homologhรญa). La valenza pubblica della fede cristiana passa attraverso un vivere che รจ rinvio al mistero divino, ciรฒ che avviene mediante la martyrรญa e la homologhรญa.

La scena evangelica si svolge nel Pretorio. I Giudei hanno appena affermato che Gesรน รจ un malfattore (Gv 18,30: โ€œSe costui non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnatoโ€). Se il confronto tra Pilato e Gesรน verte sulla qualitร  regale di Gesรน, come sempre in Giovanni, il discorso avviene su un doppio registro: per Pilato la regalitร  รจ affare terreno, รจ problema politico e di potere; per Gesรน la regalitร  รจ afferente a unโ€™altra sfera, la sfera della veritร , della rivelazione, la sfera dellโ€™alto, non di quaggiรน. E la logica del regnare di Gesรน si differenzia da quella mondana, da quella di Pilato proprio perchรฉ non รจ violenta, non รจ assolutista, cioรจ perchรฉ non fa il male, si rifiuta di fare violenza: โ€œSe la mia regalitร  provenisse da questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto perchรฉ non fossi consegnato ai capi dei Giudeiโ€ (Gv 18,36). La regalitร  di Gesรน รจ non violenta.

รˆ una regalitร  sul male, non nel senso che si fonda e si appoggia anche sul compiere il male, ma perchรฉ vince il male e lo rifiuta. รˆ dunque una regalitร  sulla tendenza che รจ in noi a compiere il male, a essere affascinati dal male, a usare violenza, a prevaricare. La logica di โ€œquaggiรนโ€ imporrebbe di sottrarsi in ogni modo e con ogni mezzo a una consegna che da tutti i punti di vista รจ ingiusta, non retta, non secondo il diritto, perfino assurda. Ecco di nuovo lo scandalo e il paradosso del vangelo. La regalitร  di Gesรน รจ dellโ€™ordine delle beatitudini e passa attraverso il subire una condanna e una morte ingiuste, passa anche attraverso il non far valere i propri diritti, attraverso il sottomettersi a eventi decisi da volontร  umane di prepotenza e prevaricazione. Questa regalitร  rifiuta di imporsi sugli altri, rifiuta di fare violenza. Questa รจ davvero una logica non di questo mondo. La vittoria (e dunque anche la regalitร ) che Gesรน chiede ai suoi seguaci di far propria, รจ anzitutto la vittoria su di sรฉ e sulla propria tendenza al male, alla violenza e alla prevaricazione.

La lotta รจ per lasciar spazio a Cristo in noi, รจ la lotta che ci disarma, che ci rende inermi, senza piรน la volontร  di spuntarla, di imporci, di primeggiare. Non a caso la dimensione attraverso cui la veritร  di cui Cristo dร  testimonianza e che lui stesso vive ed รจ (cf. Gv 14,6), raggiunge lโ€™uomo, รจ lโ€™ascolto, il piรน mite dei sensi, quello che liberamente si apre allโ€™accoglienza della parola e della volontร  di Cristo, fino a divenire accoglienza dei suoi modi e conformitร  alle sue vie relazionali improntate a mitezza. Non lโ€™imposizione nรฉ la coercizione, non la seduzione nรฉ la manipolazione della libertร  dellโ€™altro sono i mezzi con cui il Signore regna sui credenti, ma lโ€™ascolto della sua parola che richiede la libertร , la soggettivitร  e la responsabilitร  dellโ€™uomo.

Di fronte allโ€™affermazione di Gesรน di essere venuto nel mondo โ€œper dare testimonianza alla veritร โ€ (Gv 18,37), la risposta di Pilato – perchรฉ di risposta si tratta ben piรน che di vera domanda – รจ: โ€œChe cosโ€™รจ la veritร ?โ€ (Gv 18,38). รˆ talmente vero che quella non รจ una domanda che Pilato nemmeno aspetta una risposta, ma subito esce verso i Giudei (v. 38). Quel โ€œche cosโ€™รจ la veritร ?โ€ รจ dichiarazione di disinteresse, di cinismo: la veritร  non รจ di sua competenza ed รจ assolutamente irrilevante per lui. E cosรฌ Pilato, che pure per tre volte ripeterร  che โ€œnon trova in Gesรน alcuna colpaโ€ (Gv 18,38; 19,4.6), arriverร  anche lui a fare il male condannando una persona innocente: paura di perdere il potere, paura di mettersi contro Cesare, paura di inimicarsi i Giudei, lo condurranno a fare ciรฒ che รจ contrario a ciรฒ che pensa e sente. E cosรฌ Pilato attuerร  il piรน grande, grave e vero tradimento che un uomo possa fare: tradire se stesso. Tradire la propria veritร . La propria coscienza.

Colpisce che al cuore della fede cristiana, dellโ€™evangelo, della buona notizia della salvezza, vi sia una storia di violenza, una storia intrisa di violenza, di violenza debordante e traboccante. Violenza che i vangeli non tacciono ma anzi narrano e pongono in evidenza perchรฉ questo รจ lโ€™unico modo per smascherarla. Si tratta di violenza molteplice e articolata, rozza e brutale, fisica e verbale, morale e psicologica, sul corpo e sullโ€™anima, individuale e di gruppo. Seguendo il filo della narrazione del IV vangelo troviamo la violenza di un discepolo di Gesรน, Pietro, che sfodera e usa la spada, la violenza del cinismo di Caifa (โ€œConviene che muoia un solo uomo per il popoloโ€: Gv 18,14), la violenza fisica di una guardia che percuote con schiaffi Gesรน, la violenza della massa, del branco, della folla urlante che sceglie la libertร  di un brigante e invoca la crocifissione di Gesรน, la violenza dei sacerdoti che sobillano e manipolano le folle, la violenza brutale dei soldati che scherniscono e deridono Gesรน infierendo sul suo corpo inerme e torturandolo, la violenza della codardia e della pusillanimitร  di Pilato che, pur convinto dellโ€™innocenza di Gesรน, lo fa flagellare e lo consegna alla morte, ovvero la violenza del potere, dellโ€™interesse personale da difendere a ogni costo, anche a costo della veritร  e della coerenza personali, anche a costo di passare sopra la vita degli altri, e poi la violenza della menzogna, del carattere menzognero delle accuse contro Gesรน che Pilato stesso constata ripetendo per tre volte che non trova in Gesรน nessun motivo di condanna, e infine la violenza del denudamento del condannato a morte, la violenza dellโ€™esecuzione capitale con la morte infamante e dolorosa della crocifissione.

Nel IV vangelo poi, noi vediamo che Gesรน appare sottomesso a violenza e a processo non solo nel momento dellโ€™arresto, ma durante tutto il suo ministero pubblico: sempre Gesรน รจ sottoposto a interrogatorio, sempre gli avversari cercano motivi per metterlo a morte (Gv 5,18; 7,1.19.20.25; 8,37.40; 11,53). La vita di Gesรน nel IV vangelo รจ costantemente minacciata di morte dai suoi nemici e di fronte a questo si leva la domanda di Gesรน che non trova risposta: โ€œPerchรฉ volete uccidermi?โ€ (Gv 7,19). Anche al cuore del racconto della passione emerge una domanda che rischia di passare inosservata e di perdersi nel flusso del racconto, ma che invece deve essere posta in rilievo. La domanda รจ ancora un โ€œPerchรฉ?โ€. La troviamo poco prima del testo odierno in Gv 18,23: โ€œPerchรฉ mi percuoti?โ€. Lรฌ รจ rivolta a una guardia che lโ€™ha preso a schiaffi, ma la possiamo e dobbiamo applicare a tutti gli attori della violenza e a tutte le manifestazioni di violenza: perchรฉ? perchรฉ mi fai violenza? Di piรน. La dobbiamo estendere al di lร  della vicenda di Gesรน e riferirla a ogni vittima di violenza, a ogni persona oggetto di violenza nella storia e nel mondo. E dobbiamo porla in bocca, anzi ascoltarla, anche quando รจ solo un grido inespresso e muto del cuore, a ogni vittima di violenza: perchรฉ mi viene fatto del male? Non ci รจ lecito non ascoltare e non farci eco di questa domanda di fronte a ogni corpo e a ogni volto umano che subisce violenza.

Eppure, lโ€™evangelo ci mostra che lโ€™ambiente del giusto รจ lโ€™ingiustizia. Il giusto forgia la sua giustizia in mezzo allโ€™ingiustizia e alla violenza, circondato da nemici che altro non possono essere che i fratelli e gli amici, coloro presso i quali vive, accanto ai quali passa i suoi giorni, essendo presenza quotidiana che lo accerchia, lo minaccia, lo perseguita, gode nel farlo cadere. E quando Pietro sfodera la spada per difendere Gesรน al momento dellโ€™arresto e ferisce il servo del sommo sacerdote (cf. Gv 18,10), anche lui mostra lโ€™incomprensione della regalitร  di Gesรน: tragico errore destinato a riproporsi in forme diverse nella storia della chiesa. Errore antico, e sempre nuovo. Il regnare di Dio si manifesta nel fare non-violenza.


A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose