Testimonianza e confessione di fede
Lโanno liturgico si conclude con una celebrazione del Cristo risorto e asceso al cielo che dal Padre ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra e stende la sua signoria sullโintero universo. La pagina evangelica (che in questโultima domenica dellโannata B รจ tratta dal IV vangelo), presentando il confronto tra Gesรน e Pilato (Gv 18,33b-37), aiuta a comprendere evangelicamente la qualitร del โregnoโ di cui Gesรน รจ portatore. E aiuta a far uscire dallโambiguitร una festa che celebra un โtitoloโ di Cristo (le liturgie antiche non celebravano titoli di Cristo, ma li confessavano a partire dal loro manifestarsi storico nella vita di Cristo) e che รจ segnata dal clima culturale e politico dellโepoca in cui รจ stata istituita (Pio XI, enciclica Quas primas del 1925) e a cui cercava di reagire presentando una concezione della regalitร di Cristo anche come rerum civilium imperium.
Il confronto tra Gesรน e Pilato prelude alla consegna di Gesรน alla crocifissione e proprio la croce sarร il luogo di manifestazione della paradossale regalitร di Gesรน. Cristo rivela la sua regalitร sulla croce e il credente รจ chiamato a dispiegare nella sua vita la regalitร di Cristo nel pentimento (cf. Lc 23,48) e nella testimonianza di fede fino al martirio (cf. At 7,59).
Lโepisodio del confronto tra Gesรน e Pilato, cosรฌ centrato sulla regalitร di Gesรน, รจ interpretato da 1Tm 6,13 come evento in cui Gesรน โha testimoniato la sua bella confessione di fedeโ: la categoria della regalitร , riferita a Gesรน, deve essere completata da quella della testimonianza (martyrรญa) e della confessione di fede (homologhรญa). La valenza pubblica della fede cristiana passa attraverso un vivere che รจ rinvio al mistero divino, ciรฒ che avviene mediante la martyrรญa e la homologhรญa.
La scena evangelica si svolge nel Pretorio. I Giudei hanno appena affermato che Gesรน รจ un malfattore (Gv 18,30: โSe costui non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnatoโ). Se il confronto tra Pilato e Gesรน verte sulla qualitร regale di Gesรน, come sempre in Giovanni, il discorso avviene su un doppio registro: per Pilato la regalitร รจ affare terreno, รจ problema politico e di potere; per Gesรน la regalitร รจ afferente a unโaltra sfera, la sfera della veritร , della rivelazione, la sfera dellโalto, non di quaggiรน. E la logica del regnare di Gesรน si differenzia da quella mondana, da quella di Pilato proprio perchรฉ non รจ violenta, non รจ assolutista, cioรจ perchรฉ non fa il male, si rifiuta di fare violenza: โSe la mia regalitร provenisse da questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto perchรฉ non fossi consegnato ai capi dei Giudeiโ (Gv 18,36). La regalitร di Gesรน รจ non violenta.
ร una regalitร sul male, non nel senso che si fonda e si appoggia anche sul compiere il male, ma perchรฉ vince il male e lo rifiuta. ร dunque una regalitร sulla tendenza che รจ in noi a compiere il male, a essere affascinati dal male, a usare violenza, a prevaricare. La logica di โquaggiรนโ imporrebbe di sottrarsi in ogni modo e con ogni mezzo a una consegna che da tutti i punti di vista รจ ingiusta, non retta, non secondo il diritto, perfino assurda. Ecco di nuovo lo scandalo e il paradosso del vangelo. La regalitร di Gesรน รจ dellโordine delle beatitudini e passa attraverso il subire una condanna e una morte ingiuste, passa anche attraverso il non far valere i propri diritti, attraverso il sottomettersi a eventi decisi da volontร umane di prepotenza e prevaricazione. Questa regalitร rifiuta di imporsi sugli altri, rifiuta di fare violenza. Questa รจ davvero una logica non di questo mondo. La vittoria (e dunque anche la regalitร ) che Gesรน chiede ai suoi seguaci di far propria, รจ anzitutto la vittoria su di sรฉ e sulla propria tendenza al male, alla violenza e alla prevaricazione.
La lotta รจ per lasciar spazio a Cristo in noi, รจ la lotta che ci disarma, che ci rende inermi, senza piรน la volontร di spuntarla, di imporci, di primeggiare. Non a caso la dimensione attraverso cui la veritร di cui Cristo dร testimonianza e che lui stesso vive ed รจ (cf. Gv 14,6), raggiunge lโuomo, รจ lโascolto, il piรน mite dei sensi, quello che liberamente si apre allโaccoglienza della parola e della volontร di Cristo, fino a divenire accoglienza dei suoi modi e conformitร alle sue vie relazionali improntate a mitezza. Non lโimposizione nรฉ la coercizione, non la seduzione nรฉ la manipolazione della libertร dellโaltro sono i mezzi con cui il Signore regna sui credenti, ma lโascolto della sua parola che richiede la libertร , la soggettivitร e la responsabilitร dellโuomo.
Di fronte allโaffermazione di Gesรน di essere venuto nel mondo โper dare testimonianza alla veritร โ (Gv 18,37), la risposta di Pilato – perchรฉ di risposta si tratta ben piรน che di vera domanda – รจ: โChe cosโรจ la veritร ?โ (Gv 18,38). ร talmente vero che quella non รจ una domanda che Pilato nemmeno aspetta una risposta, ma subito esce verso i Giudei (v. 38). Quel โche cosโรจ la veritร ?โ รจ dichiarazione di disinteresse, di cinismo: la veritร non รจ di sua competenza ed รจ assolutamente irrilevante per lui. E cosรฌ Pilato, che pure per tre volte ripeterร che โnon trova in Gesรน alcuna colpaโ (Gv 18,38; 19,4.6), arriverร anche lui a fare il male condannando una persona innocente: paura di perdere il potere, paura di mettersi contro Cesare, paura di inimicarsi i Giudei, lo condurranno a fare ciรฒ che รจ contrario a ciรฒ che pensa e sente. E cosรฌ Pilato attuerร il piรน grande, grave e vero tradimento che un uomo possa fare: tradire se stesso. Tradire la propria veritร . La propria coscienza.
Colpisce che al cuore della fede cristiana, dellโevangelo, della buona notizia della salvezza, vi sia una storia di violenza, una storia intrisa di violenza, di violenza debordante e traboccante. Violenza che i vangeli non tacciono ma anzi narrano e pongono in evidenza perchรฉ questo รจ lโunico modo per smascherarla. Si tratta di violenza molteplice e articolata, rozza e brutale, fisica e verbale, morale e psicologica, sul corpo e sullโanima, individuale e di gruppo. Seguendo il filo della narrazione del IV vangelo troviamo la violenza di un discepolo di Gesรน, Pietro, che sfodera e usa la spada, la violenza del cinismo di Caifa (โConviene che muoia un solo uomo per il popoloโ: Gv 18,14), la violenza fisica di una guardia che percuote con schiaffi Gesรน, la violenza della massa, del branco, della folla urlante che sceglie la libertร di un brigante e invoca la crocifissione di Gesรน, la violenza dei sacerdoti che sobillano e manipolano le folle, la violenza brutale dei soldati che scherniscono e deridono Gesรน infierendo sul suo corpo inerme e torturandolo, la violenza della codardia e della pusillanimitร di Pilato che, pur convinto dellโinnocenza di Gesรน, lo fa flagellare e lo consegna alla morte, ovvero la violenza del potere, dellโinteresse personale da difendere a ogni costo, anche a costo della veritร e della coerenza personali, anche a costo di passare sopra la vita degli altri, e poi la violenza della menzogna, del carattere menzognero delle accuse contro Gesรน che Pilato stesso constata ripetendo per tre volte che non trova in Gesรน nessun motivo di condanna, e infine la violenza del denudamento del condannato a morte, la violenza dellโesecuzione capitale con la morte infamante e dolorosa della crocifissione.
Nel IV vangelo poi, noi vediamo che Gesรน appare sottomesso a violenza e a processo non solo nel momento dellโarresto, ma durante tutto il suo ministero pubblico: sempre Gesรน รจ sottoposto a interrogatorio, sempre gli avversari cercano motivi per metterlo a morte (Gv 5,18; 7,1.19.20.25; 8,37.40; 11,53). La vita di Gesรน nel IV vangelo รจ costantemente minacciata di morte dai suoi nemici e di fronte a questo si leva la domanda di Gesรน che non trova risposta: โPerchรฉ volete uccidermi?โ (Gv 7,19). Anche al cuore del racconto della passione emerge una domanda che rischia di passare inosservata e di perdersi nel flusso del racconto, ma che invece deve essere posta in rilievo. La domanda รจ ancora un โPerchรฉ?โ. La troviamo poco prima del testo odierno in Gv 18,23: โPerchรฉ mi percuoti?โ. Lรฌ รจ rivolta a una guardia che lโha preso a schiaffi, ma la possiamo e dobbiamo applicare a tutti gli attori della violenza e a tutte le manifestazioni di violenza: perchรฉ? perchรฉ mi fai violenza? Di piรน. La dobbiamo estendere al di lร della vicenda di Gesรน e riferirla a ogni vittima di violenza, a ogni persona oggetto di violenza nella storia e nel mondo. E dobbiamo porla in bocca, anzi ascoltarla, anche quando รจ solo un grido inespresso e muto del cuore, a ogni vittima di violenza: perchรฉ mi viene fatto del male? Non ci รจ lecito non ascoltare e non farci eco di questa domanda di fronte a ogni corpo e a ogni volto umano che subisce violenza.
Eppure, lโevangelo ci mostra che lโambiente del giusto รจ lโingiustizia. Il giusto forgia la sua giustizia in mezzo allโingiustizia e alla violenza, circondato da nemici che altro non possono essere che i fratelli e gli amici, coloro presso i quali vive, accanto ai quali passa i suoi giorni, essendo presenza quotidiana che lo accerchia, lo minaccia, lo perseguita, gode nel farlo cadere. E quando Pietro sfodera la spada per difendere Gesรน al momento dellโarresto e ferisce il servo del sommo sacerdote (cf. Gv 18,10), anche lui mostra lโincomprensione della regalitร di Gesรน: tragico errore destinato a riproporsi in forme diverse nella storia della chiesa. Errore antico, e sempre nuovo. Il regnare di Dio si manifesta nel fare non-violenza.
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose