Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 20 Marzo 2022

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Non la morte ma la conversione

Il testo evangelico odierno si apre con lโ€™annotazione โ€œin quello stesso momentoโ€ (Lc 13,1) che lega la pericope liturgica a ciรฒ che precede. Ovvero, al discorso sul discernimento del tempo, sulla capacitร  di giudicare lโ€™oggi e ciรฒ che รจ giusto (Lc 12,54-57). รˆ proprio in quel momento che โ€œalcuniโ€ si avvicinano a Gesรน e gli riferiscono di un fatto di cronaca, un fatto di sangue sacrilego perchรฉ Pilato aveva fatto uccidere dei Galilei mescolando il loro sangue a quello dei sacrifici durante una cerimonia religiosa (Lc 13,1). Non si dice quale sia il fine per cui a Gesรน sono riferiti quei fatti che non hanno una relazione immediata con il gruppo dei discepoli e con la sequela di Gesรน. Ma a questi fatti, sia Gesรน che i discepoli non possono rendersi sordi. Ne sono interpellati. E sono chiamati a un discernimento e a un giudizio. A una lettura di fede.

La fede non puรฒ restare estranea ai fatti di quel mondo che รจ il destinatario della cura e della sollecitudine di Dio. E il giudizio che Gesรน รจ libero, svincolato da credenze teologiche diffuse e luoghi comuni spirituali. Gesรน spezza il legame tra peccato e disgrazia: egli non vede dei peccatori, ma degli umani, non va in cerca di un colpevole, ma vede la vittima del male. Il suo sguardo รจ compassionevole, non giudiziale. Ma soprattutto รจ libero: non si adagia sul giร  detto, non ripete il ritornello teologico che pretende di trovare un senso anche lร  dove non cโ€™รจ. Gesรน รจ molto libero, ha coraggio e dimostra molta fiducia in sรฉ. Non รจ esitante: sta affermando, anzi sta polemizzando. La domanda: โ€œPensate forse cheโ€ฆ?โ€ (Lc 13,2.4) esprime lโ€™opposizione ferma a unโ€™opinione diffusa, che cioรจ disgrazia e morte siano causati dai peccati commessi. La forza di Gesรน si esprime nel suo credere nel proprio pensiero, nella convinzione che lo anima e che lo conduce a uscire da rassicuranti schemi teologici. Gesรน non puรฒ certo essere accusato di conformismo: la fiducia che mostra in sรฉ e la convinzione che lo abita lo rendono una potenza che spazza via abitudini e denuncia pigrizie, anche intellettuali e spirituali.

Ma questo ardore si fonda sullo zelo per il Signore. Per questo Gesรน si impegna in una lettura e interpretazione degli eventi successi. Che hanno dunque una parola da dire: sono un invito a conversione. Non certo che Dio mandi eventi calamitosi perchรฉ lโ€™uomo si converta. Sarebbe blasfemo. E tuttavia per non abbandonare gli eventi a se stessi e perchรฉ gli eventi non abbandonino noi, e restino una mera serie di accadimenti senza nesso e senza senso, occorre ascoltare gli eventi stessi e osare parole su di essi, occorre la fatica e il rischio dellโ€™interpretazione. Sapendo che ogni interpretazione non รจ definitiva e unica, ma che ha il compito di aiutare a vivere. E di rispondere al mandato di vivere davanti a Dio in questo mondo. Perchรฉ รจ proprio a vivere โ€œin questo mondoโ€, non fuori di esso, che Gesรน ci insegna (cf. Tt 2,12). Gesรน poi aggiunge di suo il riferimento a un fatto di cronaca, anchโ€™esso luttuoso: il crollo della torre di Siloe che ha provocato la morte di diciotto persone (Lc 13,4). Siamo sul piano della storia: un evento politico-militare e una disgrazia.

La successiva parabola (Lc 13,6) si situa invece sul piano della natura: un fico non dร  frutti da tre anni. Ma si parla anche dellโ€™intervento del vignaiolo che decide di lavorare il fico ancora un anno, zappando e concimando, affinchรฉ possa dare frutti. Vediamo cosรฌ due atteggiamenti opposti: un intervento violento che produce morte, quello di Pilato, e un intervento di cura che intende portare vita a un albero giร  condannato a morte dal padrone. Esiste un filo rosso che unisce la prima parte del testo (vv. 1-5), in cui cโ€™รจ una conversazione, e la seconda (vv. 6-9), in cui al cuore della parabola vi รจ pure una conversazione, anzi, un dialogo vero e proprio. E il filo rosso รจ la morte: morte violenta dei galilei uccisi; morte accidentale delle persone schiacciate dal crollo della torre; morte di cui รจ minacciato lโ€™albero.

Interessante il dialogo conflittuale che si svolge intorno ad esso. โ€œTaglialoโ€ dice il padrone (v. 7); โ€œLascialoโ€ ribatte il vignaiolo (v. 8). Alla luce dellโ€™orizzonte della morte si comprende lโ€™invito alla conversione che Gesรน fa. Si tratta della morte di altri, di altre persone nei due primi esempi, e di morte minacciata nella parabola (e se anche si tratta di un albero e non di esseri umani, il fico, che รจ anche figura di Israele, ha una portata simbolica). La morte di altri diviene motivo non certo per colpevolizzare le vittime (โ€œPensate forse che costoro fossero piรน peccatori o colpevoli degli altri per aver subito tale sorte?โ€: cf. vv. 2.4) e nemmeno per dare risposte spiritualizzanti o rassegnate: non si fa riferimento nรฉ alla volontร  di Dio nรฉ al destino.

Ci sono eventi che accadono e che recidono la vita da un momento allโ€™altro. Sono eventi di cui non abbiamo responsabilitร , e tuttavia Gesรน indica una via attraverso la quale essi possono parlarci e divenire transitivi, cosรฌ da non perdersi totalmente nel non-senso, ma divenire capaci di ri-orientare la vita di altri. Il problema รจ una morte a cui non si รจ preparati, che ci sorprende improvvisamente, inopinata, inattesa, che ci coglie nellโ€™incoscienza, nella non consapevolezza. Gesรน, facendo di quei casi lโ€™occasione di un invito alla conversione, esorta a vivere con coscienza la propria vita, lโ€™oggi, il tempo a disposizione, e a vivere consapevolmente la novitร  del vangelo e del Regno di Dio che รจ stato instaurato. La morte รจ ciรฒ che dร  forma alla vita: quando sopravviene, essa dichiara che cosa รจ stata la nostra vita, ne dร  la forma compiuta. La non-consapevolezza, invece, รจ nemica della responsabilitร , che รจ anzitutto responsabilitร  della nostra vita.

Gesรน dunque avverte che si puรฒ imparare dagli eventi. Il fatto della morte di alcuni diviene avvertimento per altri: โ€œSe non vi convertite, perirete tutti allo stesso modoโ€. In fondo anche la parabola del fico improduttivo pone un problema analogo. Questo albero di fico รจ vivo, ma in realtร  รจ morto, visto che non produce nulla. Facendo il parallelo con altri testi lucani possiamo dire che รจ nella condizione di ciรฒ che รจ perduto, morto, ma che suscita lโ€™interesse del Signore che va in cerca e salva ciรฒ che era perduto (Lc 19,10: Zaccheo); รจ nella condizione del figlio minore della parabola che, dice il padre, โ€œera morto, ed รจ tornato in vitaโ€ (Lc 15,32); o possiamo pensare anche al malfattore sulla croce, un condannato a morte a cui Gesรน promette: โ€œOggi sarai con me in paradisoโ€ (Lc 23,43).

Siamo di fronte alla narrazione della pazienza del Signore che non vuole morte ma conversione, e per questo si sottomette ai tempi dellโ€™altro. Se lโ€™annuncio del Battista diceva che ormai la scure รจ posta alla radice degli alberi e ogni albero che non produce buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco (Lc 3,9), qui alla logica della scure e del taglio si oppone la logica del lavoro, della pazienza e dellโ€™attesa. Il lavoro del contadino appare qui come una terapia, unโ€™opera di guarigione, un lavoro che cerca di ottenere la guarigione di un albero che รจ infruttifero da molto, troppo tempo. Forse non รจ un caso che subito dopo la parabola del fico infruttuoso da tre anni, Luca riporti un racconto di guarigione, quello della donna che era inferma da diciotto anni (Lc 13,10-13).

Dunque, di fronte al padrone della vigna che gli comanda di tagliare lโ€™albero, il contadino dice di no. Oppone quel lascialo, ร fes, che รจ il verbo usato anche per indicare la remissione dei peccati e la liberazione dal male. Il contadino obietta. Obbedendo, eseguendo lโ€™ordine non entrerebbe in conflitto con il padrone e avrebbe anche una pianta in meno da lavorare e forse da lavorare inutilmente come negli ultimi tre anni. Ma il contadino mostra di credere al cambiamento possibile.

Crede che una novitร  puรฒ intervenire e che il frutto puรฒ spuntare. E paga il prezzo di questa novitร  possibile per quanto non certa. Egli impegna se stesso, promette il suo lavoro, chiede pazienza, chiede di far fiducia anche contro lโ€™evidenza. Almeno, per un altro anno. Va notato che lโ€™atteggiamento di obiezione del contadino รจ in linea con la libertร  e lโ€™audacia di Gesรน che, nella prima parte del testo, si oppone a una credenza diffusa. Qui il contadino fa mostra della sua libertร  dicendo di no al padrone e addirittura, dopo avergli chiesto di lasciarglielo ancora un anno per curarlo e lavorarlo, aggiunge: e se non darร  frutti, tu lo taglierai. Dove il contadino, che quella pianta conosce, avendola lavorata e amata, si rifiuta di tagliarla. Se proprio vuoi, la taglierai tu, ma non io.

Il contadino oppone un altro no al padrone. A dire che lโ€™obbedienza non รจ sempre e comunque una virtรน, nรฉ umana nรฉ evangelica. E che a volte รจ molto piรน facile e comodo dire di sรฌ, sia esplicitamente, che implicitamente, restando dove e come si รจ, senza aprirsi al nuovo che interviene nella vita, senza assumere la responsabilitร  della propria vita. Il contadino apre uno spazio di fiducia alla pianta. Certo, se ne assume anche il rischio: nulla gli garantisce ora il buon esito della sua iniziativa. Del resto: chi conosce i tempi in cui un uomo puรฒ dare frutti e convertirsi? Se perfino questo contadino, che assomiglia tanto a Gesรน, non si erge a padrone dei tempi dellโ€™altro e non taglia lโ€™albero infruttuoso, chi siamo noi per fare diversamente?

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A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose