Responsabili della propria vita
Il legame tra prima lettura (Pr 31,10-13.19-20.30-31) e vangelo (Mt 25,14-30) emerge se si considera che il testo di Proverbi non solo descrive il tipo di donna che il sapiente, al termine del percorso di formazione e studio, delinea per i suoi allievi come moglie ideale, ma tratteggia quella figura femminile nella sua doppia valenza simbolica che indica a un tempo la sapienza e il sapiente, ovvero, il dono e il frutto che tale dono suscita nellโuomo.
Al cuore del ritratto della donna forte (o โdi valoreโ) vi รจ la responsabilitร . Responsabilitร che si configura, tra lโaltro, come affidabilitร (cf. Pr 31,11), laboriositร (cf. 31,13.19), vigilanza (cf. 31,27), generositร (cf. 31,20). E responsabilitร รจ anche parola chiave per cogliere la differenza di comportamento tra i due tipi di servi nella parabola evangelica: il โservo buono e fedeleโ (Mt 25,21.23) e il โservo malvagio e pigroโ (Mt 25,26). La responsabilitร cristiana รจ coscienza del dono ricevuto e fedeltร a esso. Anzi, piรน radicalmente, fedeltร al Donatore.
Gli esegeti si interrogano sullโidentitร della donna elogiata nel capitolo finale dei Proverbi. Si tratta di una figura reale? Forse di una donna ormai defunta e il cui elogio sarebbe pronunciato dal marito (Pr 31,28-29)? O si tratta di una figura simbolica? Oppure โ come credo piรน probabile โ occorre cogliere la dimensione polisemica di questa figura? Di certo, la collocazione canonica del libro dei Proverbi ci rinvia a una precisa figura di donna: Rut, la donna moabita. Nelle Bibbie ebraiche, infatti, il libro dei Proverbi precede immediatamente il libro di Rut, uno dei pochissimi libri biblici il cui titolo รจ il nome di una donna (gli altri sono Ester e Giuditta). E qui il gioco dellโintertestualitร e lโesegesi canonica โ quella cioรจ che rivela il senso della dislocazione dei libri allโinterno del testo biblico โ mostra unโinteressante sequenza. Il capitolo finale del libro dei Proverbi (Pr 31,10-31) contiene lโelogio della donna di valore aprendolo con la domanda: โUna donna di valore chi potrร trovarla?โ (Pr 31,10).
Il libro di Rut fornisce la risposta: questa donna รจ Rut. Rut, infatti, รจ chiamata โdonna di valoreโ in Rt 3,11. Il risultato di questa considerazione รจ spiazzante: come tipo della sapienza biblica personificata nella โdonna di valoreโ viene presentata una donna straniera, una non ebrea, una donna appartenente a un popolo storicamente nemico del popolo eletto. Tenendo presente che la sapienza biblica mette spesso in guardia il giovane dallโattrazione verso la donna straniera vista come seducente ammaliatrice che conduce alla perdizione (Pr 2,16; 5,3.20; 6,24; 7,5; 22,1423,27), colpisce che proprio la straniera Rut sia presentata come modello di donna eccellente, donna di valore, dunque come donna sapiente. Ma la sapienza biblica consiste anche nel saper smentirsi e accogliere le lezioni della vita e dellโesperienza: Rut smentisce lo stereotipo della donna straniera sempre venale, interessata, lussuriosa e che induce allโidolatria, rivelando che questa immagine รจ anche frutto di pregiudizio.
Rut, con il suo comportamento ispirato a gratuitร , dedizione, pudicizia, rispetto, generositร , amore fedele e disinteressato, con la sua disponibilitร a entrare in uno spazio culturale, linguistico e religioso altro dal suo, per puro amore, merita di assurgere a figura che interpreta la sapienza stessa. Dal libro che porta il suo nome, Rut emerge come donna di eccezionale carattere, determinazione, anzi, di autodeterminazione. Gli stereotipi che rischierebbero di ingabbiarla in maglie di commiserazione o di diffidenza โ straniera, vedova, povera, senza figli โ, lei li vince in se stessa. E cosรฌ ciรฒ che emerge di lei รจ appunto il suo valore, che viene riconosciuto da tutti: โTutti sanno che sei una donna di valoreโ (Rt 3,11).
In certo modo dunque, la figura di Rut, fa compiere un passo ulteriore alla raffigurazione della donna di valore di Pr 31 che รจ descritta nella sua alacritร , industriositร , intraprendenza, capacitร manageriale (sembra unโimprenditrice del tessile ante-litteram), ma anche attenzione agli altri, ai poveri, generositร , responsabilitร nella conduzione degli affari domestici, affidabilitร , motivo di fiducia e fonte di sicurezza per il marito (Pr 31,11-12.23.28-29). In Pr 31,19-20 รจ suggestivo il duplice ricorrere dellโespressione โtendere la manoโ a indicare, da un lato, la sua instancabile attivitร lavorativa (โtende la mano alla conocchiaโ: Pr 31,19) e, dallโaltro, la sua altrettanto perseverante caritร (โtende la mano al poveroโ: Pr 31,20). Testo finale di quel libro dei Proverbi che รจ destinato allโeducazione alla sapienza, il nostro brano traccia la figura ideale del sapiente presentando lโimmagine di una concreta donna industriosa e caritatevole che diviene simbolo della sapienza e cosรฌ pure della persona sapiente, uomo o donna che sia. Grazie a questa triplice valenza semantica, la donna di valore di Pr 31 sintetizza in sรฉ lโintero processo sapienziale di conoscenza della realtร : โsi parte dallโosservazione dellโesperienza, nella quale si percepisce una manifestazione dellโordine cosmico, conoscendo il quale e adeguandosi al quale si diventa sapientiโ (Antonio Bonora).
Matteo pone in stretto legame la parabola dei talenti con quella immediatamente precedente, la parabola delle dieci vergini. Il โcome infattiโ (Mt 25,14) che apre la nostra parabola ne fa una esemplificazione ulteriore di cosa significhi vigilare nellโattesa della venuta del Signore: โVegliate, dunque, perchรฉ non sapete nรฉ il giorno nรฉ lโoraโ (v. 13). Nella parabola delle vergini si trattava di uno sposo che tardava ad arrivare, qui di un padrone che รจ partito per un lungo viaggio (vv. 14-16). Lร erano in scena dieci ragazze di cui cinque si rivelavano sapienti e cinque stolte, qui tre servi di cui due risultano buoni e fedeli e uno malvagio e pigro. La dimensione escatologica emerge con forza nel giudizio di condanna escatologico per il servo pigro (v. 30), mentre la ricompensa per i servi intraprendenti รจ la partecipazione alla gioia del loro padrone (vv. 21.23).
Ma la portata del testo รจ anche parenetica. Giovanni Crisostomo ne ha ben compreso sia il legame con la precedente parabola sia la dimensione esortativa: โFinchรฉ cโรจ tempo, diamoci da fare per la nostra salvezza, prendiamo lโolio per le lampade, mettiamo a frutto il talento. Se siamo pigri e viviamo quaggiรน nellโinerzia, nessuno lassรน avrร compassione di noi, per quanti lamenti faremo. Condannรฒ se stesso chi aveva avuto un solo talento, restituรฌ il deposito che gli era stato affidato e cosรฌ fu condannato. Supplicarono quelle vergini, si presentarono e bussarono alla porta, ma tutto fu inutile e vanoโ. La parabola non intende certo porsi come giustificazione di ogni profitto e sfruttamento come appare nella predica del vescovo nellโopera di Brecht Romanzo da tre soldi, che รจ una feroce requisitoria anticapitalistica. Constatando che nel mondo tante persone non hanno talenti da far fruttare e possono moltiplicare non il denaro ma solo la propria miseria, lโautore tedesco perviene allโaffermazione che โlโuomo รจ il talento dellโuomoโ.
Nel nostro testo ciรฒ che รจ in gioco รจ la relazione tra i servi e il loro padrone, o meglio, tra gli uomini e il Signore che, dopo aver dotato ciascuno secondo le proprie capacitร (cf. v. 15), tornerร in un momento ignoto. Il dono รจ diversificato perchรฉ รจ personalizzato: il dono ci precede e suscita la responsabilitร . Le diverse misure del dono ai diversi servi indicano che a ognuno รจ fatto il dono di tutto. Che farรฒ dunque della mia vita, di me stesso? Questa la domanda a cui ciascuno รจ chiamato a rispondere e questo รจ ciรฒ su cui verte il โgiudizioโ, che dunque si risolve in un accorato appello a essere responsabili della vita, a non sprecarla. Poichรฉ, come abbiamo detto, la parabola non vuole insegnare lโuso del denaro e non puรฒ essere usata per unโapologia di un sistema economico che assolutizzi il profitto, la paura di eventuali perdite provata dal terzo servo va intesa come paura della vita che nasce da unโimmagine di Dio distorta.
Il desiderio di sicurezza, la paura di spendersi, il timore del giudizio altrui, hanno neutralizzato in questโuomo la volontร di Dio che era che egli cercasse un guadagno (cf. v. 27) con il denaro ricevuto: e quel cercare un guadagno avrebbe significato anche il suo vivere, lavorare, rischiare, gioire e soffrire, insomma: dare senso allโesistenza. A coloro che hanno โlavorato conโ i talenti ricevuti (vv. 16.17) succede colui che nasconde sottoterra il dono ricevuto. Non ha accolto il dono, non ha dato credito a chi gli ha dato fiducia: in effetti, il padrone, partendo, non ha lasciato nessuna consegna ai servi, non ha dato loro alcun ordine o comando.
Il servo malvagio ha fatto del male a se stesso, la sua pigrizia รจ stata il suo vivere evitando la vita. La bontร e la fedeltร dei due primi servi (vv. 21.23) fa dunque rima con libertร e creativitร . La loro fedeltร essi lโhanno inventata, nel tempo dellโassenza del loro padrone. La loro partecipazione alla gioia del padrone dice che la gioia del Signore รจ la libertร dei suoi figli. Malvagitร e pigrizia (v. 26) situano invece il terzo servo tra gli insipienti, coloro che per paura hanno evitato il rischio di vivere, di amare, di esporsi, di entrare in relazione con il mondo, le cose e gli altri. E cosรฌ si sono consegnati allโinfelicitร .
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