Luciano Manicardi โ€“ Commento al Vangelo di domenica 16 Febbraio 2025

Domenica 16 Febbraio 2025 - VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
Commento al brano del Vangelo di: Lc 6,17.20-26

Data:

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La polaritร  del discepolato

La prima lettura (Ger 17,5-8) e il vangelo (Lc 6,17.20-26) della VI domenica dellโ€™Ordinario dellโ€™annata C sono caratterizzati da una polaritร : nel testo profetico รจ espressa nei termini di โ€œbenedizioneโ€ e โ€œmaledizioneโ€, nella pagina evangelica dalla tensione fra โ€œbeatitudiniโ€ e โ€œguaiโ€.

Analoga polaritร  รจ presente anche nel Salmo responsoriale, il Salmo 1 (molto vicino al testo di Geremia), che presenta lโ€™antitesi fra giusti e malvagi e che si apre con il macarismo (โ€œBeato [makรกrios, in greco] lโ€™uomo โ€ฆโ€: Sal 1,1) rivolto allโ€™uomo che medita giorno e notte la Legge del Signore e in essa trova la sua gioia. Chi pone nella Legge del Signore il suo desiderio, non solo ne riceve saldezza e feconditร , ma diviene lui stesso fonte di benedizione per altri. E questo perchรฉ con la meditazione assidua, la Torah del Signore diventa la sua Legge: e โ€œsuaโ€ si puรฒ benissimo riferire allโ€™uomo stesso e non al Signore: โ€œBeato lโ€™uomo โ€ฆ / che nella Legge del Signore trova la sua gioia, / la sua Legge medita giorno e notteโ€ (Sal 1,1).

La volontร  di Dio espressa nella Torah, introiettata dallโ€™orante con lโ€™ascolto, la ripetizione e la meditazione, radica il credente nella fonte di vita che fa di lui una sorgente di benedizione. Il Salmo si compone di due quadri che presentano il giusto e la sua via (vv. 1-3) e il malvagio e la sua via (vv. 4-6). Il giusto รจ colui che discerne, sceglie e prende decisioni: pronuncia tre no (โ€œnon entra โ€ฆ non resta โ€ฆ non siedeโ€) e dice un sรฌ (โ€œmedita la legge del Signoreโ€) su cui fonda la propria saldezza umana e spirituale (cf. v. 1) che gli apre un futuro di feconditร . Il malvagio, invece, รจ descritto come perso nellโ€™inconsistenza e nellโ€™infeconditร . Aprendo lโ€™intero Salterio, il Salmo 1 vuole sbarrare la strada allโ€™indifferenza e affermare la necessitร  della scelta. Questo รจ anche il messaggio dellโ€™Antico Testamento e del Vangelo. Cโ€™รจ una necessaria scelta di campo, unโ€™opzione che in definitiva รจ tra lโ€™autosufficienza e la fiducia nel Signore, ovvero tra lโ€™idolatria e la fede: questo dice Geremia con la polaritร  tra chi confida nellโ€™uomo e chi confida nel Signore, e questo dice il vangelo che mette a confronto chi รจ povero (e dunque affamato e afflitto) e chi รจ ricco (e dunque sazio e gaudente).

La domanda che ci possiamo porre รจ quanto queste polaritร  onorino la complessitร  dellโ€™esistenza che normalmente non si presenta in bianco e nero, ma contiene una quantitร  di sfumature tendente allโ€™infinito. Incontriamo qui lo scarto tra la vita e i testi che cercano dire la vita. Questโ€™ultima รจ sempre piรน ricca e non racchiudibile in formule che, per quanto pedagogicamente utili (le espressioni antitetiche dicono che occorre scegliere, imboccare una via, dunque pronunciare un sรฌ che comporta tanti no), sono superate dai casi e dalle situazioni imprevedibili che la quotidianitร  presenta.

I campi del giusto e dellโ€™empio non sono comparti stagni, ma si intrecciano, si sovrappongono, si compenetrano: le pareti della giustizia e della malvagitร  sono porose, anche nellโ€™intimo della stessa persona. Del resto, come le beatitudini rivolte a poveri, affamati e afflitti (โ€œvoi che ora piangeteโ€: Lc 6,21) non costituiscono la sacralizzazione di categorie, cosรฌ i guai rivolti a ricchi, sazi e gaudenti (โ€œvoi che ora rideteโ€: Lc 6,25), non rappresentano una condanna, ma sono un ammonimento che intende suscitare un cambiamento che non solo viene intravisto come possibile, ma che ne costituisce il vero fine.

Lo stesso Geremia, subito dopo le parole presenti nella pericope liturgica, parla del cuore umano come contorto, non lineare, fallace, ingannevole (Ger 17,9): come farvi affidamento? Come dunque trarre indicazioni perentorie e schematiche sui comportamenti umani quando il profondo dellโ€™essere umano โ€“ il suo cuore โ€“ รจ cosรฌ contraddittorio e ambiguo? Vale la pena ricordare il passo in cui Agostino, che ben sa che lโ€™uomo รจ abisso, mostra la labilitร  delle appartenenze e dunque invita a non giudicare frettolosamente e a non trarre indicazioni perentorie che accompagnerebbero una prassi fondamentalista e intollerante.

Scrive Agostino: โ€œLa cittร  pellegrina di Cristo si ricordi che sicuramente fra i suoi avversari si nascondono dei futuri suoi concittadini e non ritenga vano sopportare presso di loro lโ€™ostilitร , finchรฉ non li raggiunga come credenti; allo stesso modo, fra quelli che la cittร  di Dio porta anche con sรฉ, ad essa legati nella comunione sacramentale, finchรฉ รจ pellegrina nel mondo, alcuni non li avrร  con sรฉ nella condizione eterna dei santi; questi sono in parte noti, in parte ignoti e non esitano a mormorare contro Dio, con cui sono uniti per mezzo dei sacramenti, fino a riempire una volta i teatri assieme agli altri, una volta le chiese assieme a noi. Ma persino della correzione di alcuni di questi non si deve assolutamente disperare, perchรฉ presso chi ci รจ apertamente contrario si nascondono dei futuri compagni, anche se tuttavia essi non ne sono consapevoliโ€ (De civitate Dei I,35). Ovvero, รจ difficile stabilire confini netti tra chi รจ nella chiesa e chi ne รจ fuori.

La prima lettura parla di una fiducia che รจ salda e non delude e di false fiducie, ovvero di sicurezza posta in realtร  che illudono, ma non salvano, non danno pienezza di vita. Di fatto, emerge che โ€œin qualcosaโ€ o โ€œin qualcunoโ€ la fiducia la si mette sempre: non si vive senza fiducia. Gesรน โ€œha confidato in Dioโ€ (Mt 27,43). Ma si puรฒ confidare, ovvero fondare la propria sicurezza e la propria saldezza โ€“ il fondamento che ci fa avanzare nella vita, e dunque anche ciรฒ che regge la nostra speranza โ€“ su basi sdrucciolevoli e inconsistenti che, presto o tardi, condurranno alla rovina.

Il confidare โ€œnellโ€™uomoโ€ (Ger 17,5) si declina come un porre la propria sicurezza nelle ricchezze, o nelle armi, o nei beni che si possiedono, o in se stessi e nella propria forza, o nel prestigio sociale, ecc. Porre la fiducia โ€œnel Signoreโ€ (Ger 17,7) implica invece un processo di spogliamento, di disarmo, cioรจ un cammino di veritร  nei confronti di se stessi. Un far cadere le maschere con cui non solo ci illudiamo di essere forti, ma pensiamo anche di poter esorcizzare la morte. E lโ€™atto di fiducia si configura come paradossale: la propria saldezza la si trova in un movimento che ci decentra da noi stessi. Lโ€™atto di fiducia ha una struttura pasquale, implica una morte a se stessi per trovare vita e saldezza in altri da sรฉ: โ€œse non credete, non sussistereteโ€, โ€œnon avrete stabilitร โ€ (Is 7,9).

La pagina evangelica presenta quattro beatitudini che Gesรน rivolge in modo speciale ai suoi discepoli (โ€œAlzati gli occhi verso i suoi discepoli, dicevaโ€: Lc 6,20), mentre i successivi quattro โ€œguaiโ€, che sono un puntuale contraltare delle beatitudini, li possiamo cogliere come una messa in guardia rivolta agli stessi discepoli affinchรฉ non assumano lโ€™atteggiamento che contraddice le beatitudini e offende il loro statuto di seguaci di Cristo. Ovviamente, le beatitudini non proclamano la felicitร  del povero in quanto povero, ma annunciano che nel Cristo che ha abitato la povertร , queste situazioni non hanno lโ€™ultima parola, non hanno la forza di ostruire il futuro e di uccidere la speranza, ma vengono risignificate e diventano esperienza del Regno e apertura a esso.

La beatitudine non consiste nella povertร  o nel patire la fame o nel piangere o nella persecuzione, ma nellโ€™essere raggiunti dallโ€™azione di Dio in Gesรน, il Messia che secondo la profezia di Is 61,1ss รจ venuto a portare ai poveri la buona notizia (cf. Lc 4,18-19). In particolare, la beatitudine espressa nel v. 22 riguarda i cristiani odiati, discriminati ed esclusi, insultati e diffamati. La dimensione di beatitudine consiste nel fatto che proprio quando ci si trova in situazioni cosรฌ penose a causa del vangelo, situazioni vissute da Gesรน stesso, si puรฒ credere di essere veramente suoi discepoli e di trovarsi lร  dove lui stesso si รจ trovato. Ma la beatitudine consiste anche nel fatto che di quel male si รจ oggetto e non soggetto: lo si subisce e non lo si compie.

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Analoghe considerazioni troviamo nella prima lettera di Pietro: โ€œรˆ meglio soffrire operando il bene che facendo il maleโ€ (1Pt 3,18); โ€œBeati voi se venite insultati per il nome di Cristoโ€ (1Pt 4,14); โ€œNessuno di voi abbia a soffrire come โ€ฆ malfattore โ€ฆ ma se uno soffre come cristiano โ€ฆ dia gloria a Dioโ€ (1Pt 4,15-16). Il credente, avverte Gesรน, puรฒ incontrare odio (โ€œsarete odiati da tutti a causa del mio nomeโ€: Lc 21,17), puรฒ patire esclusione e messa al bando, puรฒ essere oggetto di ingiurie e insulti, puรฒ conoscere la diffamazione: ponendo la sua fiducia nel Signore puรฒ reggere nel silenzio e portare tutto questo senza lasciarsene destrutturare.

Importante รจ che non arrivi lui stesso a mettere in atto tali azioni. Infatti, odiare, discriminare, escludere, ingiuriare, diffamare sono pratiche anche interne alla compagine ecclesiale. E allโ€™interno della comunitร  cristiana risuonano anche le parole di Gesรน che mettono in guardia dal compiacersi nel fatto che โ€œtutti parlano bene di voiโ€ (Lc 6,26). Chi cerca di essere sempre lodato, di incontrare lโ€™apprezzamento altrui, chi mendica lโ€™applauso e il riconoscimento (e oggi, con gli strumenti mediatici a disposizione, questa deriva narcisistica รจ enormemente facilitata) dimostra di non avere come referente il Cristo, ma di cercare il consenso umano. E questo รจ il tipico atteggiamento dei falsi profeti. Gesรน direbbe: โ€œHanno giร  ricevuto la loro ricompensaโ€ (Mt 6,2.5.16).

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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