La polaritร del discepolato
La prima lettura (Ger 17,5-8) e il vangelo (Lc 6,17.20-26) della VI domenica dellโOrdinario dellโannata C sono caratterizzati da una polaritร : nel testo profetico รจ espressa nei termini di โbenedizioneโ e โmaledizioneโ, nella pagina evangelica dalla tensione fra โbeatitudiniโ e โguaiโ.
Analoga polaritร รจ presente anche nel Salmo responsoriale, il Salmo 1 (molto vicino al testo di Geremia), che presenta lโantitesi fra giusti e malvagi e che si apre con il macarismo (โBeato [makรกrios, in greco] lโuomo โฆโ: Sal 1,1) rivolto allโuomo che medita giorno e notte la Legge del Signore e in essa trova la sua gioia. Chi pone nella Legge del Signore il suo desiderio, non solo ne riceve saldezza e feconditร , ma diviene lui stesso fonte di benedizione per altri. E questo perchรฉ con la meditazione assidua, la Torah del Signore diventa la sua Legge: e โsuaโ si puรฒ benissimo riferire allโuomo stesso e non al Signore: โBeato lโuomo โฆ / che nella Legge del Signore trova la sua gioia, / la sua Legge medita giorno e notteโ (Sal 1,1).
La volontร di Dio espressa nella Torah, introiettata dallโorante con lโascolto, la ripetizione e la meditazione, radica il credente nella fonte di vita che fa di lui una sorgente di benedizione. Il Salmo si compone di due quadri che presentano il giusto e la sua via (vv. 1-3) e il malvagio e la sua via (vv. 4-6). Il giusto รจ colui che discerne, sceglie e prende decisioni: pronuncia tre no (โnon entra โฆ non resta โฆ non siedeโ) e dice un sรฌ (โmedita la legge del Signoreโ) su cui fonda la propria saldezza umana e spirituale (cf. v. 1) che gli apre un futuro di feconditร . Il malvagio, invece, รจ descritto come perso nellโinconsistenza e nellโinfeconditร . Aprendo lโintero Salterio, il Salmo 1 vuole sbarrare la strada allโindifferenza e affermare la necessitร della scelta. Questo รจ anche il messaggio dellโAntico Testamento e del Vangelo. Cโรจ una necessaria scelta di campo, unโopzione che in definitiva รจ tra lโautosufficienza e la fiducia nel Signore, ovvero tra lโidolatria e la fede: questo dice Geremia con la polaritร tra chi confida nellโuomo e chi confida nel Signore, e questo dice il vangelo che mette a confronto chi รจ povero (e dunque affamato e afflitto) e chi รจ ricco (e dunque sazio e gaudente).
La domanda che ci possiamo porre รจ quanto queste polaritร onorino la complessitร dellโesistenza che normalmente non si presenta in bianco e nero, ma contiene una quantitร di sfumature tendente allโinfinito. Incontriamo qui lo scarto tra la vita e i testi che cercano dire la vita. Questโultima รจ sempre piรน ricca e non racchiudibile in formule che, per quanto pedagogicamente utili (le espressioni antitetiche dicono che occorre scegliere, imboccare una via, dunque pronunciare un sรฌ che comporta tanti no), sono superate dai casi e dalle situazioni imprevedibili che la quotidianitร presenta.
I campi del giusto e dellโempio non sono comparti stagni, ma si intrecciano, si sovrappongono, si compenetrano: le pareti della giustizia e della malvagitร sono porose, anche nellโintimo della stessa persona. Del resto, come le beatitudini rivolte a poveri, affamati e afflitti (โvoi che ora piangeteโ: Lc 6,21) non costituiscono la sacralizzazione di categorie, cosรฌ i guai rivolti a ricchi, sazi e gaudenti (โvoi che ora rideteโ: Lc 6,25), non rappresentano una condanna, ma sono un ammonimento che intende suscitare un cambiamento che non solo viene intravisto come possibile, ma che ne costituisce il vero fine.
Lo stesso Geremia, subito dopo le parole presenti nella pericope liturgica, parla del cuore umano come contorto, non lineare, fallace, ingannevole (Ger 17,9): come farvi affidamento? Come dunque trarre indicazioni perentorie e schematiche sui comportamenti umani quando il profondo dellโessere umano โ il suo cuore โ รจ cosรฌ contraddittorio e ambiguo? Vale la pena ricordare il passo in cui Agostino, che ben sa che lโuomo รจ abisso, mostra la labilitร delle appartenenze e dunque invita a non giudicare frettolosamente e a non trarre indicazioni perentorie che accompagnerebbero una prassi fondamentalista e intollerante.
Scrive Agostino: โLa cittร pellegrina di Cristo si ricordi che sicuramente fra i suoi avversari si nascondono dei futuri suoi concittadini e non ritenga vano sopportare presso di loro lโostilitร , finchรฉ non li raggiunga come credenti; allo stesso modo, fra quelli che la cittร di Dio porta anche con sรฉ, ad essa legati nella comunione sacramentale, finchรฉ รจ pellegrina nel mondo, alcuni non li avrร con sรฉ nella condizione eterna dei santi; questi sono in parte noti, in parte ignoti e non esitano a mormorare contro Dio, con cui sono uniti per mezzo dei sacramenti, fino a riempire una volta i teatri assieme agli altri, una volta le chiese assieme a noi. Ma persino della correzione di alcuni di questi non si deve assolutamente disperare, perchรฉ presso chi ci รจ apertamente contrario si nascondono dei futuri compagni, anche se tuttavia essi non ne sono consapevoliโ (De civitate Dei I,35). Ovvero, รจ difficile stabilire confini netti tra chi รจ nella chiesa e chi ne รจ fuori.
La prima lettura parla di una fiducia che รจ salda e non delude e di false fiducie, ovvero di sicurezza posta in realtร che illudono, ma non salvano, non danno pienezza di vita. Di fatto, emerge che โin qualcosaโ o โin qualcunoโ la fiducia la si mette sempre: non si vive senza fiducia. Gesรน โha confidato in Dioโ (Mt 27,43). Ma si puรฒ confidare, ovvero fondare la propria sicurezza e la propria saldezza โ il fondamento che ci fa avanzare nella vita, e dunque anche ciรฒ che regge la nostra speranza โ su basi sdrucciolevoli e inconsistenti che, presto o tardi, condurranno alla rovina.
Il confidare โnellโuomoโ (Ger 17,5) si declina come un porre la propria sicurezza nelle ricchezze, o nelle armi, o nei beni che si possiedono, o in se stessi e nella propria forza, o nel prestigio sociale, ecc. Porre la fiducia โnel Signoreโ (Ger 17,7) implica invece un processo di spogliamento, di disarmo, cioรจ un cammino di veritร nei confronti di se stessi. Un far cadere le maschere con cui non solo ci illudiamo di essere forti, ma pensiamo anche di poter esorcizzare la morte. E lโatto di fiducia si configura come paradossale: la propria saldezza la si trova in un movimento che ci decentra da noi stessi. Lโatto di fiducia ha una struttura pasquale, implica una morte a se stessi per trovare vita e saldezza in altri da sรฉ: โse non credete, non sussistereteโ, โnon avrete stabilitร โ (Is 7,9).
La pagina evangelica presenta quattro beatitudini che Gesรน rivolge in modo speciale ai suoi discepoli (โAlzati gli occhi verso i suoi discepoli, dicevaโ: Lc 6,20), mentre i successivi quattro โguaiโ, che sono un puntuale contraltare delle beatitudini, li possiamo cogliere come una messa in guardia rivolta agli stessi discepoli affinchรฉ non assumano lโatteggiamento che contraddice le beatitudini e offende il loro statuto di seguaci di Cristo. Ovviamente, le beatitudini non proclamano la felicitร del povero in quanto povero, ma annunciano che nel Cristo che ha abitato la povertร , queste situazioni non hanno lโultima parola, non hanno la forza di ostruire il futuro e di uccidere la speranza, ma vengono risignificate e diventano esperienza del Regno e apertura a esso.
La beatitudine non consiste nella povertร o nel patire la fame o nel piangere o nella persecuzione, ma nellโessere raggiunti dallโazione di Dio in Gesรน, il Messia che secondo la profezia di Is 61,1ss รจ venuto a portare ai poveri la buona notizia (cf. Lc 4,18-19). In particolare, la beatitudine espressa nel v. 22 riguarda i cristiani odiati, discriminati ed esclusi, insultati e diffamati. La dimensione di beatitudine consiste nel fatto che proprio quando ci si trova in situazioni cosรฌ penose a causa del vangelo, situazioni vissute da Gesรน stesso, si puรฒ credere di essere veramente suoi discepoli e di trovarsi lร dove lui stesso si รจ trovato. Ma la beatitudine consiste anche nel fatto che di quel male si รจ oggetto e non soggetto: lo si subisce e non lo si compie.
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Analoghe considerazioni troviamo nella prima lettera di Pietro: โร meglio soffrire operando il bene che facendo il maleโ (1Pt 3,18); โBeati voi se venite insultati per il nome di Cristoโ (1Pt 4,14); โNessuno di voi abbia a soffrire come โฆ malfattore โฆ ma se uno soffre come cristiano โฆ dia gloria a Dioโ (1Pt 4,15-16). Il credente, avverte Gesรน, puรฒ incontrare odio (โsarete odiati da tutti a causa del mio nomeโ: Lc 21,17), puรฒ patire esclusione e messa al bando, puรฒ essere oggetto di ingiurie e insulti, puรฒ conoscere la diffamazione: ponendo la sua fiducia nel Signore puรฒ reggere nel silenzio e portare tutto questo senza lasciarsene destrutturare.
Importante รจ che non arrivi lui stesso a mettere in atto tali azioni. Infatti, odiare, discriminare, escludere, ingiuriare, diffamare sono pratiche anche interne alla compagine ecclesiale. E allโinterno della comunitร cristiana risuonano anche le parole di Gesรน che mettono in guardia dal compiacersi nel fatto che โtutti parlano bene di voiโ (Lc 6,26). Chi cerca di essere sempre lodato, di incontrare lโapprezzamento altrui, chi mendica lโapplauso e il riconoscimento (e oggi, con gli strumenti mediatici a disposizione, questa deriva narcisistica รจ enormemente facilitata) dimostra di non avere come referente il Cristo, ma di cercare il consenso umano. E questo รจ il tipico atteggiamento dei falsi profeti. Gesรน direbbe: โHanno giร ricevuto la loro ricompensaโ (Mt 6,2.5.16).
Per gentile concessione del Monastero di Bose