Luciano Manicardi, Commento al Vangelo di domenica 15 Novembre 2020

1213

Il dono che mi rivela

La parabola evangelica di questa domenica aggiunge una specificazione al significato della vigilanza. Se nella parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13) vigilare significa essere previdenti, essere pronti, prepararsi, dotarsi del necessario mettendo in conto una lunga attesa, ora, nella parabola dei talenti (Mt 25,14-30), la vigilanza viene specificata come attenzione e responsabilitร  nel quotidiano, come fedeltร  nelle piccole cose (โ€œsei stato fedele nel pocoโ€: Mt 25,21.23). Dunque, la vigilanza non riguarda solo lโ€™attesa escatologica ma investe in pieno il rapporto con il quotidiano, con le realtร  di ogni giorno. La parabola di Matteo, che ha un parallelo un poโ€™ differente e piรน complesso in Luca 19,11-27, รจ certamente inserita in un contesto escatologico (il v. 30 la situa nellโ€™orizzonte del giudizio finale: โ€œIl servo inutile gettatelo nelle tenebre, lร  sarร  pianto e stridor di dentiโ€), ma questo non fa che ribadire che il giudizio finale lo si prepara qui e ora, nellโ€™oggi storico, cosa che apparirร  in tutta la sua evidenza nella parabola del giudizio universale (Mt 25,31-46) domenica prossima. Lร  apparirร  chiaramente lโ€™autoritร  escatologica dei piccoli e dei poveri. Il giudizio finale si baserร  sulle azioni di caritร  e di giustizia compiute in loro favore oppure omesse. Il quotidiano appare cosรฌ luogo escatologico per eccellenza.

Un primo avvertimento che ci viene da questa parabola riguarda dunque lโ€™attenzione che siamo chiamati ad avere per il quotidiano. Quel quotidiano in cui siamo immersi e perciรฒ rischiamo di non conoscere, di non darvi peso, di trascurarlo. Eppure รจ proprio il quotidiano il luogo in cui noi realizziamo la nostra umanitร , ci costruiamo come persone, edifichiamo le relazioni che danno senso e sapore al nostro vivere: amicizie, amori, una famiglia, una comunitร . Ovvero, le piccole cose del quotidiano non sono poi cosรฌ piccole. Per dirla con Karl Rahner, che ha colto la dimensione teologica del quotidiano: โ€œil quotidiano รจ lo spazio della fede, la scuola della sobrietร , lโ€™esercizio della pazienza, il salutare smascheramento delle parole pesanti e degli ideali fittizi, lโ€™occasione silenziosa per amare ed essere fedeli in modo autentico, la prova dellโ€™obiettivitร , che รจ il seme della sapienza piรน altaโ€.

Un uomo, forse un uomo dโ€™affari, un commerciante, parte per un viaggio e affida il suo capitale ai suoi servi affinchรฉ lo facciano fruttificare. Egli affida cifre consistenti a ciascuno e la diversitร  di distribuzione (cinque, due e uno) รจ commisurata alla capacitร  di ognuno: โ€œA uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacitร  di ciascunoโ€ (Mt 25,15). Lโ€™idea che unifica la diversa distribuzione dei talenti รจ che in ogni caso, per ciascuno, allโ€™origine vi รจ un dono che proviene da un altro, e che ciascuno riceve secondo la propria capacitร . Si tratta dunque di un dono โ€œpersonalizzatoโ€. Si puรฒ dire che si tratta di un dono che rivela il destinatario del dono a se stesso. Il dono affidatomi mi rivela a me stesso. Entrare nella logica del paragone e magari nella recriminazione, distoglie lโ€™uomo dallโ€™unica attivitร  veramente sensata: conoscere se stesso e conoscere Dio, il Donatore, riconoscendo e accogliendo i doni ricevuti. In questโ€™ottica รจ interessante lโ€™interpretazione di Ireneo di Lione secondo cui il denaro affidato dal padrone ai suoi servi significa il dono della vita accordato da Dio agli uomini. Dono che รจ anche compito e che chiede di non essere sprecato o ignorato o disprezzato, ma accolto con gratitudine attiva e responsabile. Paolo scrive: โ€œChe cosa hai che non hai ricevuto?โ€ (1Cor 4,7). Potremmo aggiungere che non solo ciรฒ che abbiamo, ma anche ciรฒ che siamo รจ dono di Dio. Noi siamo dono. Sempre in questa luce vi รจ un aspetto del giudizio che incombe su chi non ha fatto fruttare i talenti ricevuti che non ha a che fare anzitutto con la prospettiva escatologica (cf. Mt 25,30), ma giร  qui e ora con il rischio di sprecare la vita, di non viverla, di sciuparla โ€œfino a farne una stucchevole estraneaโ€ (Constantinos Kavafis). Il rischio รจ quello di una vita insignificante, di una vita non vissuta.

โ€œSubitoโ€ (Mt 25,15), dice il testo, i primi due servi impiegano il denaro e ottengono dei guadagni commisurati alle somme ricevute e impegnate. A differenza di coloro che โ€œsubitoโ€, senza perdere tempo, hanno impiegato il denaro, il terzo servo scava una buca nel terreno e nasconde il denaro. Ed ecco che โ€œDopo molto tempoโ€ (Mt 25,19) torna il padrone. โ€œSubitoโ€, โ€œdopo molto tempoโ€: il testo sottolinea la dimensione del trascorrere del tempo. La durata del tempo fa emergere la veritร  delle persone, dei loro comportamenti, della loro tenuta, della loro responsabilitร . Il trascorrere del tempo รจ rivelatore. Possiamo dire che i primi due servi hanno saputo cogliere che il primo grande dono di cui possono usufruire รจ il tempo e non lo sprecano, non lo gettano via. Dovremmo riflettere maggiormente sul โ€œpeccatoโ€ del perdere tempo. E qual รจ il tempo perso? Per dirla con Bonhoeffer โ€œperduto sarebbe il tempo in cui non avessimo vissuto da uomini, non avessimo fatto delle esperienze, non avessimo imparato, operato, goduto, sofferto. Tempo perduto รจ il tempo non pieno, il tempo vuotoโ€. Incoscienza o responsabilitร  si misurano anzitutto in rapporto al tempo. Non รจ poi rilevante ai fini del messaggio della parabola il numero di talenti ricevuti: i primi due, che ne hanno ricevuto cinque e due, ricevono lo stesso e identico responso dal padrone, il che significa che anche lโ€™ultimo, che ne aveva ricevuto uno solo, avrebbe ricevuto la stessa ricompensa degli altri se avesse anche lui impiegato il suo talento (Mt 25,21.23).

Il dialogo tra i servi e il padrone รจ rivelativo: i primi due, con oggettivitร , gli dicono ciรฒ che hanno fatto e i frutti del loro lavoro (Mt 25,20-23). Il terzo si dilunga in considerazioni soggettive sulla durezza del padrone e sulla paura che questo gli avrebbe provocato sicchรฉ egli, per paura, ha nascosto il suo talento e non lo ha fatto fruttare. Non c’รจ stata evoluzione e dinamica in questโ€™ultimo, ma lโ€™attenersi a un giudizio che lโ€™ha paralizzato sicchรฉ egli ha preferito la paura e la paralisi al dinamismo dellโ€™impiego e del lavoro. รˆ rimasto dominato dal giudizio sul padrone: si รจ chiuso nella sua non libertร  come in una prigione in cui altri lโ€™avrebbero rinchiuso. Il suo discorso porta a dire: se tu non fossi duro, io avrei agito diversamente. So, infatti, che se avessi investito il denaro e avessi perso, avrei dovuto anche restituire ciรฒ che avevo perso. Di fatto รจ un discorso che, mentre deresponsabilizza il servo, colpevolizza il padrone. Il terzo servo non ha voluto correre rischi. La paura che ha paralizzato il servo รจ stata anche paura del rischio. Ed essendo evidente che questa parabola non vuole insegnare lโ€™uso del denaro e non puรฒ essere usata per unโ€™apologia di un sistema economico che assolutizzi il profitto, ecco che la paura di eventuali perdite va intesa come paura della vita che nasce da unโ€™immagine di Dio distorta. Il desiderio di sicurezza, la paura di spendersi, il timore del giudizio altrui, hanno neutralizzato in questโ€™uomo la volontร  di Dio che era che egli cercasse un guadagno (cf. Mt 25,27) con il denaro ricevuto: e quel cercare un guadagno avrebbe significato anche un suo vivere, lavorare, rischiare, gioire e soffrire, insomma, un suo dare senso allโ€™esistenza. Nascondendo il denaro per non perdere nulla, quel servo ha cercato di mantenere tutto, di salvare tutto e invece ha perso tutto: il denaro e se stesso. Di fatto, il gesto del servo รจ un non rispondere alla fiducia che il padrone gli ha accordato affidandogli i suoi beni da amministrare. Ed รจ anche un non avere fiducia in se stesso, un dichiararsi inadatti a compiere il servizio richiesto. Dio vuole che lโ€™uomo viva e cerchi la felicitร , che osi la propria unicitร  e la propria umanitร , che non si lasci paralizzare da paure e da immagini di Dio distorte. Il dono impegnativo che Dio affida allโ€™uomo รจ dunque anche la sua fiducia nei confronti dellโ€™uomo.

- Pubblicitร  -

รˆ interessante che se i primi due servi sono lodati per la loro โ€œfedeltร โ€, il terzo รจ stigmatizzato per la sua โ€œmalvagitร โ€ e โ€œpigriziaโ€ (Mt 25,26) e infine viene bollato come โ€œinutileโ€ (Mt 25,30). La sterilitร  a cui si รจ condannato รจ il sigillo della sua irresponsabilitร . Non ha saputo rispondere al dono. Un dono che รจ sempre anche un compito. E mostrandosi infedele al padrone ha anche compiuto il tradimento piรน grave, ha tradito se stesso, รจ stato infedele a se stesso. Ecco dunque che la luce che questa parabola getta sul tema della vigilanza ci porta a vedere che questo atteggiamento umano e spirituale fondamentale comprende in sรฉ anche il buon uso dei doni ricevuti, lโ€™assunzione della responsabilitร  piena della nostra vita, delle poche e piccole cose di cui disponiamo ma che sono pur sempre preziose e inestimabili, poichรฉ su di esse si gioca il nostro giudizio: โ€œSei stato fedele nel poco, ti darรฒ potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padroneโ€ (Mt 25,21.23).

A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose