Il dono che mi rivela
La parabola evangelica di questa domenica aggiunge una specificazione al significato della vigilanza. Se nella parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13) vigilare significa essere previdenti, essere pronti, prepararsi, dotarsi del necessario mettendo in conto una lunga attesa, ora, nella parabola dei talenti (Mt 25,14-30), la vigilanza viene specificata come attenzione e responsabilitร nel quotidiano, come fedeltร nelle piccole cose (โsei stato fedele nel pocoโ: Mt 25,21.23). Dunque, la vigilanza non riguarda solo lโattesa escatologica ma investe in pieno il rapporto con il quotidiano, con le realtร di ogni giorno. La parabola di Matteo, che ha un parallelo un poโ differente e piรน complesso in Luca 19,11-27, รจ certamente inserita in un contesto escatologico (il v. 30 la situa nellโorizzonte del giudizio finale: โIl servo inutile gettatelo nelle tenebre, lร sarร pianto e stridor di dentiโ), ma questo non fa che ribadire che il giudizio finale lo si prepara qui e ora, nellโoggi storico, cosa che apparirร in tutta la sua evidenza nella parabola del giudizio universale (Mt 25,31-46) domenica prossima. Lร apparirร chiaramente lโautoritร escatologica dei piccoli e dei poveri. Il giudizio finale si baserร sulle azioni di caritร e di giustizia compiute in loro favore oppure omesse. Il quotidiano appare cosรฌ luogo escatologico per eccellenza.
Un primo avvertimento che ci viene da questa parabola riguarda dunque lโattenzione che siamo chiamati ad avere per il quotidiano. Quel quotidiano in cui siamo immersi e perciรฒ rischiamo di non conoscere, di non darvi peso, di trascurarlo. Eppure รจ proprio il quotidiano il luogo in cui noi realizziamo la nostra umanitร , ci costruiamo come persone, edifichiamo le relazioni che danno senso e sapore al nostro vivere: amicizie, amori, una famiglia, una comunitร . Ovvero, le piccole cose del quotidiano non sono poi cosรฌ piccole. Per dirla con Karl Rahner, che ha colto la dimensione teologica del quotidiano: โil quotidiano รจ lo spazio della fede, la scuola della sobrietร , lโesercizio della pazienza, il salutare smascheramento delle parole pesanti e degli ideali fittizi, lโoccasione silenziosa per amare ed essere fedeli in modo autentico, la prova dellโobiettivitร , che รจ il seme della sapienza piรน altaโ.
Un uomo, forse un uomo dโaffari, un commerciante, parte per un viaggio e affida il suo capitale ai suoi servi affinchรฉ lo facciano fruttificare. Egli affida cifre consistenti a ciascuno e la diversitร di distribuzione (cinque, due e uno) รจ commisurata alla capacitร di ognuno: โA uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacitร di ciascunoโ (Mt 25,15). Lโidea che unifica la diversa distribuzione dei talenti รจ che in ogni caso, per ciascuno, allโorigine vi รจ un dono che proviene da un altro, e che ciascuno riceve secondo la propria capacitร . Si tratta dunque di un dono โpersonalizzatoโ. Si puรฒ dire che si tratta di un dono che rivela il destinatario del dono a se stesso. Il dono affidatomi mi rivela a me stesso. Entrare nella logica del paragone e magari nella recriminazione, distoglie lโuomo dallโunica attivitร veramente sensata: conoscere se stesso e conoscere Dio, il Donatore, riconoscendo e accogliendo i doni ricevuti. In questโottica รจ interessante lโinterpretazione di Ireneo di Lione secondo cui il denaro affidato dal padrone ai suoi servi significa il dono della vita accordato da Dio agli uomini. Dono che รจ anche compito e che chiede di non essere sprecato o ignorato o disprezzato, ma accolto con gratitudine attiva e responsabile. Paolo scrive: โChe cosa hai che non hai ricevuto?โ (1Cor 4,7). Potremmo aggiungere che non solo ciรฒ che abbiamo, ma anche ciรฒ che siamo รจ dono di Dio. Noi siamo dono. Sempre in questa luce vi รจ un aspetto del giudizio che incombe su chi non ha fatto fruttare i talenti ricevuti che non ha a che fare anzitutto con la prospettiva escatologica (cf. Mt 25,30), ma giร qui e ora con il rischio di sprecare la vita, di non viverla, di sciuparla โfino a farne una stucchevole estraneaโ (Constantinos Kavafis). Il rischio รจ quello di una vita insignificante, di una vita non vissuta.
โSubitoโ (Mt 25,15), dice il testo, i primi due servi impiegano il denaro e ottengono dei guadagni commisurati alle somme ricevute e impegnate. A differenza di coloro che โsubitoโ, senza perdere tempo, hanno impiegato il denaro, il terzo servo scava una buca nel terreno e nasconde il denaro. Ed ecco che โDopo molto tempoโ (Mt 25,19) torna il padrone. โSubitoโ, โdopo molto tempoโ: il testo sottolinea la dimensione del trascorrere del tempo. La durata del tempo fa emergere la veritร delle persone, dei loro comportamenti, della loro tenuta, della loro responsabilitร . Il trascorrere del tempo รจ rivelatore. Possiamo dire che i primi due servi hanno saputo cogliere che il primo grande dono di cui possono usufruire รจ il tempo e non lo sprecano, non lo gettano via. Dovremmo riflettere maggiormente sul โpeccatoโ del perdere tempo. E qual รจ il tempo perso? Per dirla con Bonhoeffer โperduto sarebbe il tempo in cui non avessimo vissuto da uomini, non avessimo fatto delle esperienze, non avessimo imparato, operato, goduto, sofferto. Tempo perduto รจ il tempo non pieno, il tempo vuotoโ. Incoscienza o responsabilitร si misurano anzitutto in rapporto al tempo. Non รจ poi rilevante ai fini del messaggio della parabola il numero di talenti ricevuti: i primi due, che ne hanno ricevuto cinque e due, ricevono lo stesso e identico responso dal padrone, il che significa che anche lโultimo, che ne aveva ricevuto uno solo, avrebbe ricevuto la stessa ricompensa degli altri se avesse anche lui impiegato il suo talento (Mt 25,21.23).
Il dialogo tra i servi e il padrone รจ rivelativo: i primi due, con oggettivitร , gli dicono ciรฒ che hanno fatto e i frutti del loro lavoro (Mt 25,20-23). Il terzo si dilunga in considerazioni soggettive sulla durezza del padrone e sulla paura che questo gli avrebbe provocato sicchรฉ egli, per paura, ha nascosto il suo talento e non lo ha fatto fruttare. Non c’รจ stata evoluzione e dinamica in questโultimo, ma lโattenersi a un giudizio che lโha paralizzato sicchรฉ egli ha preferito la paura e la paralisi al dinamismo dellโimpiego e del lavoro. ร rimasto dominato dal giudizio sul padrone: si รจ chiuso nella sua non libertร come in una prigione in cui altri lโavrebbero rinchiuso. Il suo discorso porta a dire: se tu non fossi duro, io avrei agito diversamente. So, infatti, che se avessi investito il denaro e avessi perso, avrei dovuto anche restituire ciรฒ che avevo perso. Di fatto รจ un discorso che, mentre deresponsabilizza il servo, colpevolizza il padrone. Il terzo servo non ha voluto correre rischi. La paura che ha paralizzato il servo รจ stata anche paura del rischio. Ed essendo evidente che questa parabola non vuole insegnare lโuso del denaro e non puรฒ essere usata per unโapologia di un sistema economico che assolutizzi il profitto, ecco che la paura di eventuali perdite va intesa come paura della vita che nasce da unโimmagine di Dio distorta. Il desiderio di sicurezza, la paura di spendersi, il timore del giudizio altrui, hanno neutralizzato in questโuomo la volontร di Dio che era che egli cercasse un guadagno (cf. Mt 25,27) con il denaro ricevuto: e quel cercare un guadagno avrebbe significato anche un suo vivere, lavorare, rischiare, gioire e soffrire, insomma, un suo dare senso allโesistenza. Nascondendo il denaro per non perdere nulla, quel servo ha cercato di mantenere tutto, di salvare tutto e invece ha perso tutto: il denaro e se stesso. Di fatto, il gesto del servo รจ un non rispondere alla fiducia che il padrone gli ha accordato affidandogli i suoi beni da amministrare. Ed รจ anche un non avere fiducia in se stesso, un dichiararsi inadatti a compiere il servizio richiesto. Dio vuole che lโuomo viva e cerchi la felicitร , che osi la propria unicitร e la propria umanitร , che non si lasci paralizzare da paure e da immagini di Dio distorte. Il dono impegnativo che Dio affida allโuomo รจ dunque anche la sua fiducia nei confronti dellโuomo.
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ร interessante che se i primi due servi sono lodati per la loro โfedeltร โ, il terzo รจ stigmatizzato per la sua โmalvagitร โ e โpigriziaโ (Mt 25,26) e infine viene bollato come โinutileโ (Mt 25,30). La sterilitร a cui si รจ condannato รจ il sigillo della sua irresponsabilitร . Non ha saputo rispondere al dono. Un dono che รจ sempre anche un compito. E mostrandosi infedele al padrone ha anche compiuto il tradimento piรน grave, ha tradito se stesso, รจ stato infedele a se stesso. Ecco dunque che la luce che questa parabola getta sul tema della vigilanza ci porta a vedere che questo atteggiamento umano e spirituale fondamentale comprende in sรฉ anche il buon uso dei doni ricevuti, lโassunzione della responsabilitร piena della nostra vita, delle poche e piccole cose di cui disponiamo ma che sono pur sempre preziose e inestimabili, poichรฉ su di esse si gioca il nostro giudizio: โSei stato fedele nel poco, ti darรฒ potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padroneโ (Mt 25,21.23).
A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose