Voce del silenzio
Questa domenica presenta come prima lettura (1Re 19,9a.11-13a) una teofania, una manifestazione di Dio a Elia sul monte Horeb. A sua volta il vangelo (Mt 14,22-33) presenta una cristofania, una manifestazione della potenza divina che abita in Cristo ai suoi discepoli, in particolare a Pietro, sul lago di Galilea. La manifestazione della presenza divina โ spesso evocata nellโAT da fenomeni naturali eclatanti che esprimono lo sconvolgimento che provoca lโintervento divino nel mondo (si pensi a Es 19,16.18 dove troviamo โtuoni e lampi, suono fortissimo di corno, fuoco, fumo come di fornace, tremore del monte) โ appare nella prima lettura come evento discreto che chiede a Elia di farsi sensibile alla โvoce di un silenzio sottileโ (1Re 19,12: letteralmente) in una esperienza interiore e, nel vangelo, chiede a Pietro un incontro personalissimo nella fede. Occorre dunque prestare attenzione alla prima lettura per fornirne una chiave di lettura adeguata.
La traduzione ufficiale italiana della Bibbia rende 1Re 19,12 con โil sussurro di una brezza leggeraโ. Si tratta perรฒ di una traduzione non del testo ebraico ma di quello delle versioni greca dei LXX (phonรฉ aรบras leptรชs) e latina della Vulgata (sibilus aurae tenuis). Perรฒ il senso dellโespressione ebraica รจ inequivocabile: qol demamah daqqah significa voce di silenzio sottile. Giร queste antiche versioni hanno censurato il silenzio e zittito la sua voce di fronte a ciรฒ che veniva compreso come un insostenibile ossimoro: la voce del silenzio. Parlando di โbrezzaโ, esse adottano unโespressione piรน conforme allโidea che ci si faceva di una teofania, che era sempre accompagnata da fenomeni atmosferici. In questo modo, lโultimo elemento della serie dei quattro elementi che si presentano a Elia allโHoreb dopo il vento, il terremoto e il fuoco, รจ anchโesso un fenomeno atmosferico, per quanto piรน tenue rispetto agli altri.
Questo che potrebbe apparire come un dettaglio poco rilevante รจ invece molto importante perchรฉ ci porta a una rilettura radicale di questo passo che ci mostra che la presenza di Dio รจ svelata non da fenomeni straordinari, esteriori ed eclatanti, ma dallโinvisibile silenzio, dallโinteriore silenzio, nella mitezza di un silenzio sottile. Il silenzio di Dio qui dunque non dice la sua assenza, ma la sua presenza inedita, la sua capacitร di incontrare lโuomo in forme rinnovate. Nel nostro testo รจ infatti presente lo schema retorico profetico e sapienziale โtre cose, anzi quattroโ che presenta tre realtร piรน una quarta, omogenea alle altre, dello stesso ordine, ma che รจ la piรน importante, quella decisiva. Questo schema si trova in Am 1-2 (โPer tre peccati di Giuda, anzi per quattro, non revocherรฒ la condannaโ e in Pr 30,15-33.
Per esempio: โTre cose non si saziano mai e quattro non dicono mai โbasta!โ: lo sheol, il ventre sterile, la terra che non si sazia mai di acqua e il fuoco che non dice mai: โbasta!โโ (Pro 30,15-16). Sulla base di questa osservazione, si deve rovesciare lโinterpretazione tradizionale che ha fatto della quarta cosa un fenomeno atmosferico e rileggere le tre precedenti alla luce dellโultima che รจ un fenomeno interiore. Vento, terremoto, fuoco e voce (che, tra lโaltro, sono simboli che nel racconto della Pentecoste indicano lo Spirito: At 2,1-6) rinviano a dimensioni interiori dellโuomo quali, rispettivamente, la volontร , lโemotivitร e lโaffettivitร , che trovano la loro sintesi nel silenzio interiore di colui che sta davanti a Dio interamente, totalmente, unificato nelle sue dimensioni profonde.
Questo schema, da ravvisarsi in forma narrativa dietro al testo di 1Re 19,11-13, implica che alle prime tre cose ne segua una quarta, sempre dello stesso ordine, ma decisiva, la piรน importante. Dunque, le prime tre cose (vento, terremoto, fuoco) vanno interpretate alla luce dellโultima, che รจ un fenomeno interiore, non atmosferico. Si tratta pertanto di cogliere la dimensione simbolica di vento, terremoto, fuoco. Alla luce di questo schema anche lโespressione โil Signore non era nel vento, โฆ nel fuoco, โฆ nel terremotoโ, non significa una assoluta assenza, ma che non รจ in quelle cose come รจ nellโultima.
Il vento impetuoso: rรปah significa โventoโ, โalitoโ, ma anche โspiritoโ. Puรฒ essere una realtร atmosferica, ma anche antropologica o teologica. Di certo, un vento che spacchi le rocce e spezzi le montagne non esiste in natura: lโautore intende orientare verso unโinterpretazione simbolica di rรปah. Rรปah รจ forza, potenza, ma una potenza che puรฒ schiacciare e travolgere chi la detiene. Maimonide interpreta rรปah come forza di volontร . La forza di volontร รจ un elemento della personalitร del profeta Elia, una forza che puรฒ perรฒ rivelarsi eccessiva, troppo impetuosa e aggressiva. Lo Spirito investe anche la dimensione volitiva della persona, ma lโesperienza spirituale non รจ riducibile alla forza della volontร . Il religioso lasciato in balia della volontร umana diventa distruttivo.
Il terremoto: lโebraico parla di racaลก, โtremoreโ, โtremitoโ, che puรฒ designare il tremare della terra, ma anche un fenomeno psicologico ed emotivo come โtrepidazioneโ, โtremoreโ (Ez 12,18), e indica una reazione emotiva dellโuomo. Se si vuole tradurre con terremoto si tratta di un terremoto interiore, di uno sconvolgimento intimo. Siamo rinviati alla sfera emotiva, che certamente accompagna lโesperienza spirituale, ma non la puรฒ esaurire. Il religioso lasciato in balia dellโemotivo diviene anchโesso distruttivo.
Il fuoco: spesso simbolo del farsi presente di Dio (Es 3,2-4), il fuoco rinvia anche alla dimensione passionale, affettiva, erotica: lโeros รจ โfiamma di Yahโ, dice il Cantico dei Cantici (8,6). E lโesperienza spirituale traversa lโaffettivitร e la sfera erotica dellโuomo, ma lโaffettivitร e lโeros non esauriscono lโesperienza dello Spirito. E il religioso, preda della dimensione affettiva ed erotica, diviene ancora distruttivo.
Con la voce, qol, e la voce del silenzio, siamo di fronte al simbolo di una presenza ineffabile e interiore. Lโesperienza spirituale si fa apofatica. La voce รจ silenziosa: non eccesso di zelo, non sussulto emotivo, non passione incontrollata. Applichiamolo alle espressioni religiose odierne e allโuso del divino oggi: non fondamentalismo violento e intollerante, non zelo aggressivo e assassino, non integrismo settario, non passione acritica e irrazionale, non fanatismo omicida, ma lโascolto e il dialogo che sprigionano dallโesperienza del Dio rivelato nella voce del silenzio tenue. Voce che chiede finezza di ascolto spirituale per essere accolta. Lโascolto di sรฉ conduce alla conoscenza di sรฉ, ma anche e soprattutto allโincontro con il Dio che si manifesta anche nel silenzio.
Il testo evangelico si apre presentando un Gesรน che desidera solitudine, che ha bisogno di ritiro, di distanza dai suoi discepoli e dalle folle. Egli allontana i discepoli da sรฉ, li costringe a salire sulla barca e a precederlo dallโaltra parte del lago e poi licenzia le folle (Mt 14,22). E sta in disparte, da solo, senza distrazioni, senza presenze altre, solo lui con se stesso, lui con il suo Dio: Solus erat ibi (Mt 14,23). Solo spazio della sua preghiera รจ la solitudine, solo tempo della sua preghiera รจ il silenzio, solo giudice della sua veritร รจ la sua coscienza, il luogo intimo e a tutti inaccessibile che fonda la sua stabilitร e nutre la sua forza, il luogo del suo dialogo con il Padre che orienta anche il suo muoversi nel mondo tra gli uomini, il suo scegliere, il suo parlare, il suo tacere, il suo rimproverare, il suo consolare, il suo curare.
Ed ecco che sul finire della notte Gesรน si fa presente ai suoi che stanno tribolando in una faticosa e contrastata traversata delle acque agitate dal vento contrario. E vedendolo camminare sulle acque essi sono sconvolti e si fanno prendere dalla paura. Lo stesso Pietro, che in un primo momento fa fiducia Gesรน che gli chiede di andare verso di lui camminando sulle acque, quando vede il vento e non piรน il Signore, diviene preda della paura e inizia ad affondare.
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Chiediamoci: Perchรฉ quella paura? Perchรฉ la nostra paura nel nostro cammino di fede ed ecclesiale anchโesso scosso da turbolenze e contrarietร ? Forse perchรฉ non si ritiene che le contrarietร (il vento contrario) e le sofferenze comunitarie (la barca tormentata dalle onde) debbano far parte del cammino di vita a cui il Signore ci ha chiamati. Forse per scoraggiamento o per ribellione verso colui che ci ha affascinato ma da cui poi ci siamo sentiti abbandonati, lasciati in balรฌa delle onde.
Forse perchรฉ non pensavamo che la pur difficile sequela fosse addirittura impossibile come camminare sulle acque del mare. Forse perchรฉ pensavamo che in noi stessi cโerano le risorse per andare fino in fondo senza dover andare anche a fondo. Forse perchรฉ non avevamo preso sul serio le parole di Gesรน โdove sono io voglio che sia anche il mio servoโ e โchi vuol salvare la propria vita la perderร โ. Forse perchรฉ, come i discepoli sulla barca avevamo preso lโabitudine a parlare di Gesรน tralasciando di parlare a lui, di pregarlo, come i discepoli che di lui dicono โร un fantasmaโ mentre a lui diranno nella preghiera comune: โTu sei veramente il Figlio di Dioโ.
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose