Luca Rubin – Commento al Vangelo di domenica 4 Luglio 2021

A cura di Luca Rubin

Sono maestro elementare, professione che cerco di vivere in pienezza, non come lavoro ma come vocazione e missione.
In parrocchia sono catechista, referente per i ministranti e accolito: in una parola, cerco di dare una mano! Mi piace molto leggere e scrivere, ascoltare musica classica, country e latina, stare in compagnia di amici. […]


Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga.

Potremo definire questa pagina di vangelo come un ritorno alle origini: Gesù, insieme ai discepoli, torna a Nazareth, in visita alla sua mamma e ai suoi parenti. Finché è una semplice visita, niente di strano: è bello rivedere qualcuno del proprio paese dopo un periodo di assenza. I problemi nascono il sabato, quando Gesù insegna, e i paesani iniziano a porsi e a porre una serie di domande, che partono da un livello alto (sapienza, prodigi…) fino ad abbassarsi per raschiare il fondo del giorno più ordinario (lavoro e gradi di parentela), creano una sorta di identikit. Come gli abitanti di Nazareth che non riconoscono più il loro compaesano e hanno bisogno di capire, anche chi legge o ascolta la Parola di Dio talvolta può rimanere spiazzato se non interdetto davanti a ciò che Gesù il nazareno insegna.

Da dove gli vengono queste cose?

Da dove: ciò che Gesù insegna è totalmente estraneo alla piccola borgata, quindi ha senso che la prima domanda sia un “dove”, per localizzare la persona e capire dove si trova.

E che sapienza è quella che gli è stata data?

Cosa dice: come fa a sapere queste cose? Noi che siamo dello stesso paese non le sappiamo…. Una sapienza che gli abitanti non riconoscono come la loro, e che reputano sia stata data a Gesù da qualcun altro, magari un vecchio maestro della legge, o un sacerdote. A pensarci bene, qualcosa di simile era già successo, quando Gesù a 12 anni rimase nel tempio, all’insaputa di Giuseppe e Maria. Anche quella volta ci fu una reazione molto simile: “Tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.” (Lc 2,47).

E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?

Cosa fa: Il riferimento alle mani è un grande indizio sulla concretezza dell’opera di Gesù, che non si limita al sapere (come i greci), ma compie prodigi, dà vita nuova a chi incontra, guarendo, riconciliando e pacificando. Le mani di Gesù sono mani che sanno lavorare duramente, e quelle stesse mani callose e ruvide compiono meraviglie.

Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?».

Uno di noi. Il lavoro identifica la persona, è una categoria che dà uno status sociale. Ancora di più l’appartenenza a una famiglia specifica. Se le domande precedenti possono essere lette in senso positivo, non come illazioni, ma appunto come domande, quest’ultima prende già il sapore acido dell’impossibilità e del “chi si crede di essere”. Questa è una di quelle domande che squalifica e annulla la persona.

Ed era per loro motivo di scandalo.

Lo scandalo è il laccio usato dai cacciatori, è l’inciampo di chi sta camminando. I nazaretani inciampano in un laccio teso da loro stessi, ritenendo impossibile che uno di loro, dalle umili origini, possa insegnare, sapere e fare queste cose. Il profeta Isaia, 700 anni prima, aveva previsto una situazione del genere: “Egli sarà insidia e pietra di ostacolo e scoglio d’inciampo per le due case d’Israele, laccio e trabocchetto per gli abitanti di Gerusalemme”. (Is 8,14). Quando inciampiamo, il nostro cammino è destinato a fermarsi, in varia misura possiamo barcollare, cadere, ferirci. Gesù è motivo di scandalo, di inciampo, quando non metto in discussione la mia vita, ma mi ancoro a poche idee ben confuse e sfido l’universo a voler cambiare una virgola delle mie convinzioni.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».

Il profeta non è colui che predice il futuro! Le profezie sono parole e azioni comunicate da una persona che in quel momento parla con la voce e con il cuore di Dio. Ti è mai successo che una persona cara ti abbia detto qualcosa e tu l’hai percepita come la cosa migliore da fare, l’atteggiamento migliore da vivere in una data situazione? Il profeta non dice cosa avverrà tra mille anni, ma ti aiuta a vivere l’oggi nel modo migliore possibile. Se questa persona è una vicina di casa, un collega di lavoro, o il proprio parroco, tendiamo a chiudere le orecchie, increduli che questa persona così ordinaria possa aiutarci.

La conclusione di Gesù segue lo stesso schema delle domande precedenti: dal generale al particolare: patria, parenti, casa. Questo zoom sempre più dettagliato fa comprendere come il disprezzo in realtà è una non conoscenza: pur essendo uno di loro, non riconoscono Gesù, lo sminuiscono, lo umiliano, ritenendo impossibile ciò che Lui propone. Il disprezzo sarà portato avanti fino alle estreme conseguenze, quando il Figlio di Dio verrà condannato a morte, fuori dalla città, lontano dalle case, perché non riconosciuto.

Come una medicina, questa pagina di vangelo ci lascia un po’ di amaro in bocca. Incontrare Dio e la sua luce anche nei luoghi più ordinari e talvolta banali, nelle relazioni più bistrattate, può suscitare in noi stupore e sorpresa: questi non siano un inciampo, ma piuttosto uno sprone all’ascolto e all’accoglienza: “A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Un figlio di Nazareth ti rende figlio di Dio.

Fonte: Sito Web

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