Luca Rubin – Commento al Vangelo di domenica 20 Settembre 2020

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.

Un padre di famiglia. Il primo protagonista di questa parabola viene identificato come “padrone di casa, capofamiglia”. Forse era più normale se chi ha scritto il vangelo lo avesse definito fin da subito “padrone della vigna” (verrà chiarito in seguito). Tuttavia questo uomo è un papà, che lavora per il bene della sua famiglia. Il suo lavoro principale è quello di uscire per cercare e assumere lavoratori.

Possiamo notare una compulsività in questo padrone che esce in tanti momenti diversi della giornata, perché la vigna ne ha bisogno, ma ancora prima, lui è il padre di famiglia che sa cosa vuol dire non arrivare a fine mese, e si prende cura di chi vive la stessa difficoltà. Definisce anche il trattamento economico: un denaro, che per l’epoca dei fatti corrispondeva a una giusta retribuzione a un giorno di lavoro. Oltre che padrone di casa (capofamiglia) è anche un uomo giusto e onesto.

Esce all’alba, e prende i lavoratori, coloro che si danno da fare e si alzano presto per cercare lavoro a giornata. Questa prima uscita è la più facile e sicura, poiché incontra persone motivate, disposte a faticare e a lavorare sodo. Eppure proprio loro creeranno problemi alla chiusura dei conti… Il primo gruppo di operai sono i lavoratori, che vogliono lavorare e per farlo sono già in piazza all’alba, quando è ancora buio.

Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: «Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò». Ed essi andarono. 

Quelli del bar. Verso le nove del mattino: è l’orario giusto per un caffè al bar, tanto più che non lavoro… Questo secondo gruppo è costituito dai disoccupati, esattamente come i lavoratori assunti all’alba, ma con una differenza sostanziale: questi sono disoccupati che non cercano lavoro. Senza pensarci due volte li invia nella vigna con la garanzia della giusta ricompensa. Ed essi andarono, ci disse il testo. Non erano motivati, ma l’invito e la promessa di una ricompensa allettante li sveglia dal loro torpore.

Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto.

Continua a uscire. Queste due uscite credo siano state le più difficoltose, visto l’orario. L’azione di assumere lavoratori è la stessa, ma il testo non identifica chi siano queste persone: possiamo chiamarli gli anonimi, persone senza volto, senza nome, senza categoria sociale. E il vangelo non ci dice neppure la reazione di costoro: viene evidenziata solo l’azione di chi assume, è lui il centro di tutto l’episodio, è lui il cuore di questa parabola. Un padre di famiglia che esce continuamente per diffondere nuove possibilità, per riscattare vite e sollevarle dal vuoto e dal non senso di giornate vissute invano.

Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: «Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?». Gli risposero: «Perché nessuno ci ha presi a giornata». Ed egli disse loro: «Andate anche voi nella vigna».

Gli oziosi. Alle cinque la giornata di lavoro è praticamente al termine, eppure esce ancora, e trova un gruppo di sfaccendati oziosi , e prima di assumerli li rimprovera, come se avesse a cuore la loro vita. Nessuna persona incontrata da quest’uomo è per lui indifferente, ognuna trova accoglienza nella sua casa, ognuna trova nuova dignità e valore, anche a fine giornata. Quest’ultimo gruppo avrebbe voluto lavorare ma, a quanto dicono, nessuno li ha assunti. Il padrone taglia corto e li manda nella vigna. Non promette loro che domani lavoreranno, ma li manda subito, anche se tardi, non può aspettare domani chi ha fame di pane e dignità.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: «Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi».

Normalmente è di pensiero comune agire dal più al meno, dal più meritevole in giù, da chi ha lavorato più ore (più merito) a chi ha lavorato un’ora soltanto (meno merito), da chi si comporta bene a chi si comporta male… Qui invece il padre di famiglia opera una rivoluzione: certamente ha a cuore che il lavoro sia fatto bene e che la sua vigna produca buoni e tanti frutti, ma prima del fare c’è l’essere, prima del merito o demerito c’è la persona, la sua dignità, la sua sacralità: ognuno è stato pensato dalla mente di Dio, amato dal suo cuore, plasmato dalle sue mani. Salvando la persona, tutto sarà una conseguenza: la giusta paga, una bella soddisfazione per chi ha lavorato e torna, stanco ma sereno, alla propria casa, dai suoi cari.

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

Un’altra rivoluzione. Chi ha lavorato un’ora percepisce lo stesso stipendio di chi ne ha lavorate otto: qualcosa non quadra, si sarà sbagliato… No, non si è sbagliato. Il capofamiglia ha concordato un denaro con ogni operaio, anche con quelli del tardo pomeriggio, a lui va bene così. Non paga solo in base al lavoro svolto, ma investe nel futuro di quelle persone, cercando di portare pace nel loro passato, e un po’ di consolazione nel presente è la medicina giusta che agisce in entrambe le direzioni.

A qualcuno non sta bene. Ci sembra di sentire il coro degli indignati: non è giusto! Chi si lamenta declina sempre due verbi: pensarono e mormoravano. Il pensiero scava dentro di noi il bene e il male, plasma meraviglie o distrugge creando voragini. Conseguentemente la mormorazione è esternare e dare voce a quel pensiero distorto. Chi mormora non ha a cuore né la dignità né la necessità della persona, vede solo se stesso, vivendo la religione dell’egoismo, e incarnando l’egocentrismo come stile di vita.

Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?

Amico? Non proprio. La risposta del padrone di casa e della vigna non si fa attendere. Lo chiama amico, ma il termine greco dà più luce alla scena, e lo traduce anche come compagno, colui che mangia con me il pane, che condivide con me qualcosa, ma lo fa esclusivamente per un interesse personale. Il termine si trova solo tre volte nel Nuovo Testamento, solo nel vangelo di Matteo: nella parabola che stiamo leggendo, indica chi mormora; durante il tradimento, Giuda viene così chiamato, e nella parabola del banchetto di nozze, a chi non è rivestito dell’abito nuziale. In tutti e tre i casi, questo termine indica chi se ne approfitta.

Oltre a ricordare le clausole del contratto di assunzione, il padrone pone due domande, molto profonde: non posso fare quello che voglio? In altre parole: cosa vuoi da me? E poi, una domanda che è una risposta, come uno specchio per l’interlocutore: sei invidioso perché io sono buono? Padrone è per definizione colui che ha potere su ciò che possiede. Chi si lamenta vorrebbe gestire a suo piacimento dei beni altrui, ma ciò, ovviamente non è né possibile, né corretto.

L’invidia non porta da nessuna parte, anzi sì: porta alla rovina se stessi e gli altri. Il capofamiglia ha a cuore chiunque incontra, anche l’invidioso riceve, oltre al salario, anche una giusta terapia e con due domande tenta di riportarlo in carreggiata.

Gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi.

Ecco qui, la rivoluzione è portata a compimento e viene espressa dal capofamiglia, che conclude la sua giornata e le sue scorribande in cerca di operai con questa formula. Il rovesciamento delle liste di attesa, e delle piramidi gerarchiche è sempre un momento delicato, ma necessario: solo così facendo potremo vedere nell’altro non un antagonista che sta prima o dopo di me, quindi qualcuno da superare e da schiacciare, ma un fratello, che come me, esattamente come me, ha estremo bisogno di dignità, di rispetto, di amore.

Il capofamiglia si siede a tavola con i suoi, e avrà raccontato il contenuto di quella giornata. Tante altre famiglie condivideranno la gioia e lo stupore di chi sa andare oltre al giusto, al merito e al dovere, per incontrare il volto di chi mi è vicino.

Fonte: Sito Web


A cura di Luca Rubin

Sono maestro elementare, professione che cerco di vivere in pienezza, non come lavoro ma come vocazione e missione.
In parrocchia sono catechista, referente per i ministranti e accolito: in una parola, cerco di dare una mano! Mi piace molto leggere e scrivere, ascoltare musica classica, country e latina, stare in compagnia di amici. […]

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