Lo Spirito Santo, il grande sconosciuto

608

Ascolta l’omelia di san Josemaría "Lo Spirito Santo, il grande sconosciuto", dedicata allo Spirito Santo.
Gli Atti degli Apostoli, narrando gli avvenimenti di quel
giorno di Pentecoste in cui lo Spirito Santo discese sotto forma di
lingue di fuoco sui discepoli di Cristo, ci fanno assistere alla grande
manifestazione della potenza di Dio con cui la Chiesa iniziò il suo
cammino in mezzo alle nazioni. […]

{audio}http://multimedia.opusdei.org/audio/it/gesu_che_passa_13_lo_spirito_santo_il_grande_sconosciuto.mp3{/audio} 

Oppure ascolta in una {mgmediabot2}path=http://multimedia.opusdei.org/audio/it/gesu_che_passa_13_lo_spirito_santo_il_grande_sconosciuto.mp3|popup=finestra pop-up|width=300|height=50{/mgmediabot2}

 


Gli Atti degli Apostoli,
narrando gli avvenimenti di quel
giorno di Pentecoste in cui lo Spirito Santo discese sotto forma di
lingue di fuoco sui discepoli di Cristo, ci fanno assistere alla grande
manifestazione della potenza di Dio con cui la Chiesa iniziò il suo
cammino in mezzo alle nazioni. La vittoria sulla morte e sul peccato,
ottenuta da Cristo con la sua obbedienza, con la sua immolazione sulla
Croce e con la sua Risurrezione, si rivelò quel giorno in tutto il suo
divino splendore.

I discepoli, che già erano testimoni della gloria del Risorto,
sperimentarono in sé la forza dello Spirito Santo: la loro intelligenza
e il loro cuore si aprirono a una nuova luce. Avevano seguito Cristo e
avevano accolto con fede i suoi insegnamenti, ma non sempre erano
riusciti a penetrarne pienamente il senso: era necessario che giungesse
lo Spirito di verità a far loro comprendere tutte le cose. Sapevano che
soltanto in Gesù potevano trovare parole di vita eterna, ed erano
disposti a seguirlo e a dare per Lui la loro vita; ma erano deboli, e
quando era venuta l’ora della prova erano fuggiti e lo avevano lasciato
solo. Nella Pentecoste, però, — tutto questo è finito: lo Spirito
Santo, che è spirito di fortezza, li ha resi saldi, sicuri, audaci. La
parola degli Apostoli risuona ora alta e vibrante per le strade e le
piazze di Gerusalemme.

Gli uomini e le donne che erano convenuti in quei giorni dalle più
diverse regioni e affollavano la città, ascoltano pieni di meraviglia. Parti,
Medi, ed Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della
Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, abitanti della Frigia, della
Panfilia e dell’Egitto, gente della Libia e della regione confinante
con Cirene, gente venuta da Roma, sia giudei che proseliti, Cretesi e
Arabi: tutti noi sentiamo proclamare nelle nostre lingue le meraviglie
di Dio
. Questi prodigi che si realizzano davanti ai loro occhi li
inducono ad ascoltare con attenzione la predicazione apostolica. Lo
stesso Spirito Santo che agiva sui discepoli del Signore tocca anche il
loro cuore e li porta alla fede.

Narra san Luca che, dopo il discorso in cui san Pietro aveva proclamato
la Risurrezione di Cristo, molti dei circostanti gli si accostarono
domandando: Che cosa dobbiamo fare, fratelli? L’Apostolo rispose: Fate
penitenza, e ognuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo
perché vi siano rimessi i vostri peccati, e allora riceverete il dono
dello Spirito Santo
. E in quel giorno si unirono alla Chiesa — conclude il testo sacro — tremila persone circa.

La discesa solenne dello Spirito il giorno di Pentecoste non fu un evento isolato. Quasi non c’è pagina degli Atti degli Apostoli
in cui non si parli di Lui e dell’azione con cui Egli informa, dirige e
vivifica la vita e le opere della comunità cristiana primitiva. È Lui
che ispira la predicazione di san Pietro, che conferma nella fede tutti
i discepoli, che sigilla con la sua presenza la vocazione dei gentili,
e che manda Saulo e Barnaba in terre lontane per aprire strade nuove
all’insegnamento di Gesù. La sua presenza e il suo intervento, insomma,
presiedono ogni cosa.

La realtà profonda che il testo della Sacra Scrittura ci fa conoscere
non è un ricordo del passato, un’età dell’oro della Chiesa che si perde
nella lontananza dei tempi. È invece, al di sopra delle miserie e dei
peccati di ciascuno di noi, anche la realtà della Chiesa di oggi e
della Chiesa di tutti i tempi. Io pregherò il Padre — aveva annunciato il Signore ai suoi discepoli — ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre.
Gesù ha compiuto le sue promesse: è risorto, è salito in Cielo, e in
unità con l’Eterno Padre ci manda lo Spirito Santo per santificarci e
darci la vita.

La forza e il potere di Dio illuminano la faccia della terra. Lo
Spirito Santo continua ad assistere la Chiesa di Cristo in modo che sia
sempre e in ogni cosa un segno innalzato in mezzo a tutte le nazioni,
per annunciare all’umanità la benevolenza e l’amore di Dio. Per quanto
grandi possano essere i nostri limiti, noi uomini possiamo guardare con
fiducia al Cielo e sentirci colmi di gioia: Dio ci ama e ci libera dai
nostri peccati. La presenza e l’azione dello Spirito Santo nella Chiesa
sono pegno e anticipo della felicità eterna, della gioia e della pace
che Dio ha in serbo per noi.

Anche noi, come quei primi che si avvicinarono a san Pietro il giorno
di Pentecoste, siamo stati battezzati. Con il Battesimo, Dio nostro
Padre ha preso possesso della nostra vita, ci ha incorporati alla vita
di Cristo e ci ha mandato lo Spirito Santo. Il Signore — dice la
Scrittura — ci ha salvati mediante
un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo,
effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo,
Salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo
eredi, secondo la speranza, della vita eterna
.

L’esperienza della nostra debolezza e delle nostre cadute, lo scandalo
che può produrre la vista penosa della pochezza o addirittura della
meschinità di taluni che si chiamano cristiani, l’apparente insuccesso
e lo sbandamento di talune iniziative apostoliche, tutte queste cose —
che rappresentano una verifica della realtà del peccato e dei limiti
umani — possono però mettere a dura prova la nostra fede, tanto che
possono insinuarsi la tentazione e il dubbio: dove sono la forza e il
potere di Dio? È il momento di reagire, di esercitare in modo più puro
e più energico la nostra speranza, e quindi di rendere più solida la
nostra fedeltà.

Consentitemi di raccontare un episodio accadutomi parecchi anni or
sono. Un amico di buon cuore, ma privo di fede, mi disse un giorno
indicando il mappamondo: « Guardi, dal nord al sud e da oriente a
occidente ». « Che cosa vuole che guardi? », gli chiesi. Ed egli: « Il
fallimento di Cristo! Tanti secoli per cercare di introdurre la sua
dottrina nella vita degli uomini… ed ecco il risultato ». Sulle prime
fui colto da una profonda tristezza, perché causa un gran dolore vedere
che sono molti quelli che non conoscono ancora Cristo, e molti, fra
coloro che lo conoscono, quelli che vivono come se non lo conoscessero.

Ma questa sensazione durò solo un attimo: subito mi sentii pieno di
amore e di riconoscenza, perché il Signore ha voluto fare di ogni uomo
un libero cooperatore della sua opera di redenzione. Cristo non è
fallito: la sua dottrina e la sua vita stanno fecondando il mondo
incessantemente. La redenzione che Egli ha effettuato è sufficiente e
sovrabbondante.

Dio non vuole degli schiavi, ma dei figli, e quindi rispetta la nostra
libertà. La salvezza è ancora in atto, e noi partecipiamo ad essa: la
volontà di Cristo è che noi portiamo a compimento nella nostra carne,
nella nostra vita — come dice con un’incisiva espressione san Paolo —
ciò che manca alla sua passione, pro corpore eius quod est Ecclesia, per il bene del suo corpo, che è la Chiesa.

Vale la pena di giocarsi la vita, di darsi del tutto per rispondere
all’amore e alla fiducia che Dio ha riposto in noi. Vale la pena, in
primo luogo, di decidersi a prendere sul serio la nostra fede
cristiana. Quando recitiamo il Credo,
noi professiamo di credere in Dio Padre onnipotente, nel suo Figlio
Gesù Cristo che morì e risuscitò, nello Spirito Santo, che è Signore e
dà la vita. Proclamiamo che la Chiesa, una, santa, cattolica e
apostolica, è il Corpo di Cristo, animato dallo Spirito Santo. Ci
rallegriamo della remissione dei peccati e della speranza della futura
risurrezione. Queste verità, però, penetrano davvero in fondo al cuore,
oppure restano sulle labbra? Il messaggio divino di vittoria, di gioia
e di pace della Pentecoste deve essere il fondamento incrollabile del
modo con cui ogni cristiano pensa, sceglie e vive.

Non est abbreviata manus Domini: la mano di Dio non si è
accorciata: oggi Dio non è meno potente che in altri tempi, né il suo
amore per gli uomini è oggi meno vero. La nostra fede ci insegna che
tutta la creazione, il movimento della terra e degli astri, le azioni
rette delle creature e ciò che esiste di positivo nel corso della
storia, tutto insomma viene da Dio e a Dio è ordinato.

L’azione dello Spirito Santo può passare inosservata ai nostri occhi,
dato che Dio non ci mette al corrente dei suoi piani, e dato anche che
il peccato di noi uomini intorbida e offusca i doni divini. Ma la fede
ci ricorda che Dio agisce incessantemente: è Lui che ci ha creati e ci
mantiene nell’essere; è Lui che con la sua grazia conduce la creazione
tutta verso la libertà della gloria dei figli di Dio.

Giustamente la tradizione cristiana ha perciò riassunto in una sola
idea l’atteggiamento che dobbiamo avere nei confronti dello Spirito
Santo: docilità. Docilità significa essere sensibili a ciò che lo
Spirito divino suscita intorno a noi e in noi: sensibili ai carismi che
distribuisce, ai movimenti e alle istituzioni che promuove, agli
affetti e alle decisioni che fa nascere nel nostro cuore. Lo Spirito
Santo realizza nel mondo le opere di Dio; Egli è, come dice l’inno
liturgico, datore dei doni, luce dei cuori, ospite dell’anima, riposo
nella fatica, conforto nel pianto. Senza il suo soccorso nulla vi è
nell’uomo che sia innocente e valido, perché è Lui che purifica ciò che
è contaminato, sana ciò che è malato, accende ciò che è gelido,
riconduce sulla retta via chi si è smarrito e avvia tutti gli uomini
verso il porto della salvezza e della gioia eterna.

Ma questa nostra fede nello Spirito Santo deve essere piena e completa:
non basta una vaga credenza nella sua presenza nel mondo, è necessaria
una riconoscente accettazione dei segni e delle realtà alle quali in
modo particolare ha voluto legare la sua forza. Quando verrà lo Spirito
di verità — ha annunciato Gesù — mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà.
Lo Spirito Santo è lo Spirito inviato da Cristo per operare in noi la
santificazione che Egli ci ha meritato sulla terra. Pertanto non ci può
essere fede nello Spirito Santo se non c’è fede in Cristo, nella
dottrina di Cristo, nei sacramenti di Cristo, nella Chiesa di Cristo.
Non è coerente con la fede cristiana e non crede veramente nello
Spirito Santo chi non ama la Chiesa, chi non ha fiducia in essa, chi si
compiace solo di denunciare i difetti e i limiti di coloro che la
rappresentano, chi la giudica dall’esterno ed è incapace di sentirsi
suo figlio. Pensate un momento a tutta la grandezza meravigliosa e
sovrabbondante dell’opera del divino Paraclito quando il sacerdote,
celebrando sull’altare la Santa Messa, rinnova il sacrificio del
Calvario.

Ma noi cristiani portiamo i grandi tesori della grazia in vasi di
argilla. Dio ha affidato i suoi doni alla fragile e debole libertà
umana, e benché la sua forza certamente ci assista, la nostra
concupiscenza, la nostra comodità e il nostro orgoglio spesso la
respingono e ci inducono a incorrere nel peccato. Parecchie volte, da
oltre venticinque anni a questa parte, quando recito il Credo e affermo la mia fede nella divinità della Chiesa una, santa cattolica e apostolica, aggiungo: malgrado tutto… E se qualcuno, quando parlo di questa mia abitudine, mi domanda a che cosa intendo alludere, rispondo: Ai tuoi peccati e ai miei.

Tutto ciò è vero, ma non per questo siamo autorizzati a giudicare la
Chiesa con criteri umani, senza fede teologale, fondandoci solamente
sulle qualità più o meno esemplari di taluni ecclesiastici e di taluni
cristiani. Chi fa così rimane alla superficie. La cosa più importante
da scorgere nella Chiesa non è il modo con cui rispondono gli uomini,
ma l’azione di Dio. La Chiesa è questo: Cristo presente in mezzo a noi,
Dio che viene incontro all’umanità per salvarla, chiamandoci con la sua
rivelazione, santificandoci con la sua grazia, sostenendoci con il suo
costante aiuto nelle piccole e grandi battaglie della vita quotidiana

Possiamo anche arrivare a non avere fiducia negli uomini; anzi,
ciascuno di noi è tenuto a non fidarsi di se stesso, e a concludere le
sue giornate con un mea culpa,
con un atto di contrizione profondo e sincero. Ma non abbiamo il
diritto di non fidarci di Dio. E non aver fiducia nella Chiesa, nella
sua origine divina, nell’efficacia salvifica della sua predicazione e
dei suoi sacramenti, è come non aver fiducia in Dio stesso e non
credere pienamente alla realtà della discesa dello Spirito Santo.

Prima che Cristo fosse crocifisso — scrive san Giovanni Crisostomo — non
vi era riconciliazione. E fin tanto che non c’era riconciliazione, non
fu inviato lo Spirito Santo… La mancanza dello Spirito Santo era il
segno dell’ira divina. Ora che lo vedi inviato con tanta pienezza, non
dubitare della riconciliazione. E se domandano: dov’è ora lo Spirito
Santo? Si poteva parlare della sua presenza quando avvenivano i
miracoli, quando venivano risuscitati i morti e mondati i lebbrosi;
come facciamo a sapere ora che è davvero presente? — Non vi
preoccupate. Io vi dimostrerò che lo Spirito Santo è ancora adesso in
mezzo a noi (…) Se non esistesse lo Spirito Santo, non potremmo dire
"Signore Gesù", poiché nessuno può invocare Gesù come Signore se non
nello Spirito Santo
(1 Cor 12, 13). Se non esistesse lo Spirito
Santo, non potremmo pregare con fiducia; infatti, quando preghiamo
diciamo: « Padre nostro che sei nei cieli »
(Mt 6, 9). Se non
esistesse lo Spirito Santo non potremmo chiamare Dio Padre nostro. Come
lo sappiamo? Perché l’Apostolo ci dice: « E siccome siamo figli, Dio
mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio che grida: Abbà, Padre
»
(Gal 4, 6). Perciò quando invochi Dio Padre ricordati che è
stato lo Spirito che, muovendo la tua anima, ti ha dato questa
preghiera. Se non esistesse lo Spirito Santo, non ci sarebbe nella
Chiesa nessuna parola di sapienza o di scienza perché è scritto: « La
tua parola di sapienza è data dallo Spirito »
(1 Cor 12, 8). Se
lo Spirito Santo non fosse presente, la Chiesa non esisterebbe. Ma dato
che la Chiesa esiste, è cosa certa che lo Spirito Santo non viene meno
.

Al di sopra delle manchevolezze e dei limiti umani, ripeto, la Chiesa è
questo: il segno e in certo modo — non nel senso stretto con cui è
stata definita dogmaticamente l’essenza dei sette sacramenti della
Nuova Alleanza — il sacramento universale della presenza di Dio nel
mondo. Essere cristiani significa esser stati rigenerati da Dio e
inviati agli uomini per annunciar loro la salvezza. Se avessimo una
fede energica e vissuta, e facessimo conoscere Cristo con franchezza,
vedremmo realizzarsi davanti ai nostri occhi gli stessi miracoli che si
realizzavano ai tempi degli Apostoli.

E infatti anche adesso viene ridata la vista ai ciechi, a persone che
avevano perso la capacità di guardare il cielo e di contemplare le
meraviglie di Dio; si dà la libertà agli zoppi e agli storpi che si
trovavano paralizzati dalle proprie passioni, con un cuore che non
sapeva più amare; si ridà l’udito ai sordi che non volevano più saperne
di Dio; si riesce a far parlare i muti, che avevano la lingua impedita
perché non volevano confessare le proprie sconfitte; e si risuscitano i
morti, coloro nei quali il peccato aveva spento la vita. Verifichiamo
ancora una volta che la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio;
e, come i primi fedeli cristiani, ci rallegriamo scorgendo la forza
dello Spirito Santo e il suo intervento nell’intelligenza e nella
volontà delle sue creature.

Vedo tutti gli avvenimenti della vita — quelli di ogni esistenza
individuale, e in certo modo quelli delle grandi svolte della storia —
come altrettanti appelli che Dio rivolge agli uomini perché affrontino
la verità: e anche come occasioni offerte a noi cristiani per
annunciare con le nostre opere e le nostre parole, aiutati dalla
grazia, lo Spirito al quale apparteniamo.

Ogni generazione di cristiani deve redimere e santificare il suo tempo,
e per riuscirci deve comprendere e condividere le ansie degli altri
uomini, a loro uguali, per far loro conoscere, con il dono delle lingue,
come devono corrispondere all’azione dello Spirito Santo, all’effusione
permanente delle ricchezze del Cuore divino. Tocca a noi cristiani del
nostro tempo annunciare oggi, a questo mondo al quale apparteniamo e
nel quale viviamo, il messaggio antico e nuovo del Vangelo.

Non è vero che tutto il mondo attuale — globalmente considerato — sia
chiuso o indifferente a ciò che insegna la fede cristiana circa il
destino e l’essere dell’uomo; non è vero che gli uomini di oggi si
occupino soltanto delle cose della terra e non si curino più di
guardare il cielo.

Certo, non mancano ideologie chiuse — e persone che le appoggiano
ostinatamente —; ma nella nostra epoca ci sono molte cose: alti ideali
e atteggiamenti meschini, eroismo e codardia, progetti ambiziosi e
delusioni; c’è gente che sogna un mondo nuovo, più giusto e più umano,
e gente che invece, magari delusa dal crollo degli ideali in cui
credeva, si rifugia nell’atteggiamento egoista di chi non cerca altro
che la propria tranquillità, o permane immerso nell’errore.

A tutti costoro, uomini e donne, dovunque si trovino, nei momenti di
entusiasmo e nei momenti di crisi o di fallimento, noi dobbiamo far
giungere l’annuncio solenne e categorico che san Pietro fece nei giorni
che seguirono la Pentecoste: Gesù è la pietra d’angolo, il Redentore,
il tutto della nostra vita, perché al di fuori di lui non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati.

Direi che fra i doni dello Spirito Santo ce n’è uno di cui tutti i
cristiani hanno particolare bisogno: il dono di sapienza, che ci fa
conoscere e gustare Iddio, rendendoci capaci di valutare rettamente le
situazioni e le cose di questa vita. Se fossimo coerenti con la nostra
fede, guardandoci attorno e contemplando lo spettacolo della storia e
del mondo, ci sentiremmo nel cuore gli stessi sentimenti che animavano
il cuore di Gesù, il quale, vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.

Certamente il cristiano sa anche riconoscere quanto c’è di buono
nell’uomo, apprezza le vere gioie della vita, e partecipa alle lotte e
agli ideali terreni. Anzi, sente tutte queste cose nell’intimo
dell’anima, le condivide e le vive con impegno tutto speciale, proprio
perché egli conosce come nessun altro le profondità dello spirito umano.

La fede cristiana non rende quindi pusillanimi né frena gli aneliti
migliori dell’anima, ma anzi li dilata e li potenzia rivelandone il
senso autentico: non siamo infatti destinati a una felicità qualunque,
perché siamo stati chiamati a penetrare nell’intimità divina, a
conoscere e ad amare Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo e, nella
Trinità e Unità di Dio, tutti gli angeli e tutti gli uomini.

Questo è il grande ardimento della fede cristiana: proclamare il valore
e la dignità della natura umana e affermare che, mediante la grazia che
ci eleva all’ordine soprannaturale, siamo stati creati per conseguire
la dignità di figli di Dio. Tanta audacia sarebbe davvero impossibile
se non si basasse sul decreto di salvezza di Dio Padre e non fosse
stata confermata dal sangue di Cristo, e riaffermata e resa possibile
dall’azione incessante dello Spirito Santo.

Dobbiamo vivere di fede, crescere nella fede, tanto che si possa dire
di ognuno di noi, di ogni cristiano, quello che scriveva molti secoli
or sono uno dei grandi scrittori della Chiesa d’Oriente: Allo
stesso modo in cui i corpi trasparenti e nitidi quando ricevono i raggi
di luce diventano splendenti e irradiano luminosità, così le anime che
sono guidate e illuminate dallo Spirito Santo diventano anch’esse
spirituali e recano agli altri la luce della grazia. Dallo Spirito
Santo proviene la conoscenza delle cose future, l’intelligenza dei
misteri, la comprensione delle verità occulte, la distribuzione dei
doni, la cittadinanza celeste, la conversazione con gli angeli. Da lui
viene la gioia imperitura, la perseveranza in Dio, la somiglianza con
Dio e la cosa più sublime che può essere concepita, cioè immedesimarsi
con Dio
.

La coscienza della grandezza della dignità umana — particolarmente
eminente e ineffabile, per il fatto di essere stati fatti, per la
grazia, figli di Dio — forma, assieme all’umiltà, una cosa sola nel
cristiano, dato che non sono le nostre forze a salvarci e a darci la
vita, bensì il favore divino. Questa è una verità da non dimenticare
mai, perché altrimenti la divinizzazione
scadrebbe in presunzione vana, in superbia e, prima o poi, in un
completo crollo spirituale causato dall’esperienza della propria
debolezza e della propria miseria.

Sant’Agostino si chiedeva: Potrò mai osare dire che sono
santo? Se dicessi di essere santo in quanto santificatore e in quanto
non bisognoso di nessuno che mi santificasse, sarei superbo e bugiardo.
Ma se per santo intendo dire santificato (d’accordo con quanto si legge
nel Levitico: siate santi perché io, Iddio, sono santo), allora anche
il corpo di Cristo fino all’ultimo uomo che si trova ai confini della
terra, potrà dire audacemente, unito al suo Capo e subordinato a Lui:
io sono santo
.

Amate la Terza Persona della Trinità Beatissima: ascoltate
nell’intimità del vostro essere le mozioni divine — incoraggiamenti,
rimproveri

 —; camminate sulla terra guidati dalla luce che ha inondato la vostra
anima: e il Dio della speranza ci colmerà di ogni sorta di pace, in
modo che questa speranza cresca in noi sempre di più, in virtù dello
Spirito Santo.

Vivere secondo lo Spirito Santo è vivere di fede, di speranza, di
carità: permettere che Dio prenda possesso di noi e cambi il nostro
cuore alla radice, portandolo alla Sua misura. Una vita cristiana
matura, profonda ed energica non è cosa che si possa improvvisare, ma è
il risultato dello sviluppo della grazia di Dio in noi. Negli Atti degli Apostoli la situazione della comunità cristiana primitiva viene descritta con una frase breve ma carica di significato: Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.

Così vissero i primi cristiani, e così dobbiamo vivere tutti noi: la
meditazione della dottrina della fede, fino ad assimilarla pienamente,
l’incontro con Cristo nell’Eucaristia, il dialogo personale — la
preghiera senza anonimato — a tu per tu con Dio, devono arrivare a
essere come la sostanza della nostra condotta. Se dovessero mancare, ci
potrebbero pur essere la riflessione erudita, l’attività più o meno
intensa, le devozioni e le pratiche di pietà. Ma non ci sarebbe
autentica esistenza cristiana, perché mancherebbe la compenetrazione
con Cristo, la partecipazione reale e vissuta all’opera della salvezza.

È una dottrina che si applica a tutti i cristiani, perché tutti sono
ugualmente chiamati alla santità. Non ci sono cristiani di seconda
classe, tenuti a praticare soltanto una versione ridotta del Vangelo:
tutti abbiamo ricevuto un medesimo Battesimo, e pur nella grande
diversità di carismi e di situazioni umane, uno solo è lo Spirito che
elargisce i doni divini, una sola è la fede, una sola la speranza, una
sola la carità.

Possiamo quindi considerare come rivolta a noi la domanda dell’Apostolo: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?,
e possiamo prenderla come un invito a un rapporto più personale e
diretto con Dio. Purtroppo il Paraclito,per taluni cristiani, è il
Grande Sconosciuto: è un nome che si pronuncia, ma non è un Qualcuno —
una delle tre Persone dell’unico Dio — con cui parlare e di cui vivere.

E invece bisogna rivolgersi a Lui con familiarità e con fiducia, come
la Chiesa ci insegna mediante la Liturgia. Allora conosceremo meglio
Nostro Signore e allo stesso tempo ci renderemo conto molto di più che
chiamarsi cristiani è veramente un dono immenso: scopriremo tutta la
grandezza e tutta la verità di quella divinizzazione, di quella
partecipazione alla vita divina di cui prima parlavo.

Infatti, lo Spirito Santo non è un artista che raffiguri in
noi la sostanza di Dio, come se Egli le fosse estraneo: non è così che
ci porta alla somiglianza con Dio; ma Egli stesso, che è Dio e da Dio
procede, si imprime nei cuori che lo ricevono come il sigillo sulla
cera; e in questo modo, mediante la comunicazione di sé e la
somiglianza, ristabilisce la natura nella bellezza del modello divino,
e restituisce all’uomo l’immagine di Dio
.

Se ora vogliamo determinare — sia pure in linee generali — quale sia lo
stile di vita che porti ad avere un rapporto di amicizia e di
familiarità con lo Spirito Santo — e, assieme a Lui, con il Padre e il
Figlio — dobbiamo considerare tre realtà fondamentali: la docilità, la
vita di preghiera, l’unione alla Croce.

In primo luogo la docilità, perché è lo Spirito Santo che con le sue
ispirazioni dà tono soprannaturale ai nostri pensieri, ai nostri
desideri e alle nostre opere. È Lui che ci spinge ad aderire alla
dottrina di Cristo e ad assimilarla in tutta la sua profondità; è Lui
che ci illumina per farci prendere coscienza della nostra vocazione
personale e ci sostiene per farci realizzare tutto ciò che Dio si
attende da noi. Se siamo docili allo Spirito Santo, l’immagine di
Cristo verrà a formarsi sempre più nitidamente in noi, e in questo modo
saremo sempre più vicini a Dio Padre. Sono infatti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, i veri figli di Dio.
Se ci lasciamo guidare da questo principio di vita presente in noi, la
nostra vitalità spirituale si svilupperà sempre più, e noi ci
abbandoneremo nelle mani di Dio nostro Padre con la stessa spontaneità
e con la stessa fiducia con cui il bambino si getta nelle braccia del
padre. Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli, ha detto il Signore.
Questo antico e sempre attuale itinerario interiore di infanzia, non è
fragile sentimentalismo né carenza di maturità umana, bensì la vera
maturità soprannaturale, che ci porta a scoprire sempre meglio le
meraviglie dell’amore divino, a riconoscere la nostra piccolezza e a
identificare del tutto la nostra volontà con la volontà di Dio.

Poi, la vita di preghiera: perché la dedizione, l’obbedienza, la
mansuetudine del cristiano nascono dall’amore e all’amore tendono. E
l’amore porta al rapporto, al colloquio, all’amicizia. La vita
cristiana richiede un dialogo costante con Dio uno e trino, e proprio a
questa intimità ci spinge lo Spirito Santo. Chi
conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui?
Così i segreti di Dio nessuno li ha potuti conoscere se non lo Spirito
di Dio
. Se avremo un rapporto continuo con lo Spirito Santo,
diventeremo spirituali, ci sentiremo fratelli di Cristo e figli di Dio,
e non esiteremo a invocare Iddio come vero Padre di ciascuno di noi.

Bisogna che ci abituiamo a frequentare lo Spirito Santo che ci deve
santificare, ad avere fiducia in Lui, a invocare il suo aiuto, a
sentirlo vicino a noi. Così il nostro povero cuore si dilaterà sempre
di più, e avremo un anelito sempre più ardente d’amore verso Dio e, per
Lui, d’amore per tutte le creature. E si riprodurrà nella nostra vita
la visione finale dell’Apocalisse:
lo spirito e la sposa, lo Spirito Santo e la Chiesa — e con essi ogni
cristiano — si rivolgono a Gesù, a Cristo, e gli chiedono di venire, di
rimanere con noi per sempre.

E infine l’unione con la Croce: perché nella vita di Cristo il Calvario
ha preceduto la Risurrezione e la Pentecoste, e questo medesimo
processo deve riprodursi nella vita di ogni cristiano: Noi siamo coeredi di Cristo — dice san Paolo — se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Lo Spirito Santo è il frutto della Croce, della dedizione totale a Dio,
della ricerca esclusiva della sua gloria e della totale rinuncia a noi
stessi.

Quando l’uomo, fedele alla grazia, si decide a collocare la Croce nel
centro della sua anima, rinnegando se stesso per amor di Dio,
distaccandosi veramente dall’egoismo e da ogni falsa sicurezza umana;
quando cioè l’uomo vive veramente di fede, allora e solo allora riceve
con pienezza il grande fuoco, la grande luce, la grande consolazione
dello Spirito Santo.

Ed è allora che vengono date all’anima anche la pace e la libertà che
Cristo ci ha conquistato e che otteniamo mediante la grazia dello
Spirito Santo. Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di se; e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà.

In mezzo ai limiti che sono inscindibilmente connessi con la nostra
situazione presente, perché il peccato abita ancora in noi in qualche
modo, il cristiano avverte con nuova luce tutta la ricchezza della sua
filiazione divina quando si riconosce pienamente libero perché lavora
nelle cose del Padre suo, quando la sua gioia diventa costante perché
nulla riesce a far crollare la sua speranza.

Oltretutto, è proprio allora che egli può ammirare ogni bellezza e ogni
meraviglia della terra, può apprezzare ogni ricchezza e ogni bontà, e
può amare con tutta l’integrità e tutta la purezza per le quali è stato
fatto il cuore dell’uomo. Ed è allora che il dolore per il peccato non
degenera in atteggiamenti d’amarezza, di disperazione o di alterigia,
perché la contrizione e la consapevolezza della miseria umana lo
conducono a identificarsi di nuovo con l’impegno di redenzione di
Cristo e a sentire più intimamente la solidarietà con tutti gli uomini.
È allora, infine, che il cristiano avverte in se con certezza la forza
dello Spirito Santo, tanto che le sue cadute non lo prostrano più: sono
piuttosto un invito a ricominciare, per continuare a essere, in tutte
le strade della terra, un fedele testimone di Cristo, nonostante tutte
le miserie personali, che poi in questi casi sono quasi sempre delle
mancanze lievi che appena offuscano l’anima; e, anche se fossero gravi,
ricorrendo con compunzione al sacramento della Penitenza, il cristiano
ritorna alla pace di Dio e ridiventa un buon testimone delle sue
misericordie.

È questa, in una rapida sintesi che a mala pena riesce a tradurre nelle
povere parole umane la ricchezza della fede, la vita del cristiano che
si lascia guidare dallo Spirito Santo. E quindi, per concludere, non
trovo di meglio che far mia la supplica di uno degli inni liturgici
della festa di Pentecoste, che è come l’eco della ininterrotta
preghiera di tutta la Chiesa: Vieni,
Spirito creatore, visita la mente dei tuoi, ricolma di grazia celeste i
cuori che tu hai creato. Fa’ che per tua grazia conosciamo il Padre,
dacci a conoscere anche il Figlio, e facci credere sempre in te,
Spirito che procedi da entrambi
.

 

Fonte:
Opus Dei