In una Siria e Medio Oriente ancora attraversati da troppa violenza, dove il terrore dell’estremismo colpisce cristiani e musulmani, indistintamente, diventa sempre più luminoso il ricordo vivo di padre Paolo Dall’Oglio, della sua fede nel dialogo, della sua vita offerta per un annuncio universale di salvezza, che sa farsi, fino all’estremo, accoglienza e pace.
Ci sono storie con cui ti incontri a distanza e hanno la potenza di cambiarti la vita… come se avessero fatto realmente parte di te, dei tuoi incontri, della tua storia, di dialoghi ed esperienze realmente vissute. In realtà sono storie di persone che ti vivono lontano, ma la cui vita ti raggiunge e interpella la coscienza.
Così, oggi, tra le mai finite notizie di terrore, attentati e rapimenti… facendomi largo tra le valanghe di post sui social che fomentano, a ruota continua, tensioni tra religioni, fondamentalismi, soluzioni violentemente estreme, ho scelto di lasciarmi raggiungere da uno di quei protagonisti della nostra storia, che facilmente, molti definirebbero un perdente: padre Paolo D’Oglio.
Spero di cuore che il nome non sia già un vago ricordo, non può diventarlo! Al più, possiamo scegliere di renderlo un pungolo scomodo di coscienze sornione, che hanno smesso di cercare la Verità e hanno scelto di accontentarsi degli eventi. Già, perché questo è padre Paolo; questo è la sua avventura umana di cui forse abbiamo perso le tracce, ma che sta continuando a generare vita; questa è la sfida della pace e del dialogo che su cui lui a Mar Musa ha scelto di giocarsi, rimettendo in gioco la sua vita, le sue scelte e il futuro.
Una chiamata a cui rispondere
[ads2]Ho incontrato Paolo Dall’Oglio attraverso le pagine di un libro, nato da un dialogo appassionato e sincero tra lui e una giornalista francese, Guyonne de Montjou, esperta di Vicino Oriente e di dialogo interreligioso. La sua storia, la sua infanzia, e poi un incontro, straordinario e imprevisto, quello con un antichissimo monastero in Siria, Mar Musa, o meglio con ciò che di quell’antico monastero era rimasto. «Nel cortile interno era tutto rotto: non c’erano porte né finestre, a malapena qualche muro…» ricorda padre Paolo, «Qua e là, tracce di vandalismo, della brama di scavare senza riguardo, segni che gli uomini avevano aiutato il tempo a demolire quel luogo. In questo caos vidi riflesso il dramma della regione, devastata dalla guerra. Alla mia sinistra notai che alcuni muri erano ancora in piedi, come per circoscrivere uno spazio diverso: forse le pareti della chiesa… Entrai. Alzai gli occhi, e rimasi meravigliato dallo splendore del soffitto di stelle. In certe chiese si possono trovare stelle dorate dipinte sulle cupole blu. Qui, una profonda luce di stelle penetrava attraverso le tre navate della chiesa. Ero soggiogato». Da quel momento, da quell’incontro-chiamata, nulla sarebbe stato più come prima, né per Mar Musa né per Paolo.
Ciò che sarebbe nato in quel luogo, ne sono certa, è ancora destinato a diventare profezia di una nuova umanità. Leggo le pagine di questo libro-colloquio, divorandole, e non perché ci sia da scoprire un atteso finale a sorpresa, ma perché a pretendere di essere ascoltata è la lungimirante forza di un uomo di Dio che ha scommesso su ogni figlio di Dio, su un’umanità lacerata dall’odio, ma sempre amabile, diversificata dalle lingue, dalle diverse esperienze di Dio, dalle culture, ma pur sempre capace di vita.
La casa del futuro
È forse a questa umanità che padre Paolo Dall’Oglio e Jacques, suo primo compagno nell’avventura in Siria, hanno voluto offrire una casa. Un casa ancora aperta, seppur ignorata dai media, in cui tanti continuano a passare, molti non per restare, ma tutti certamente per assaporare le profondità che la vita vera può raggiungere.
Mar Musa è la casa in cui l’Islam e il Cristianesimo continuano a incontrarsi, a parlare, a pregare e lavorare insieme, a dialogare e tentare tutte le vie possibili per costruire un mondo diverso e religioni diverse. Anche oggi, anche senza padre Paolo, anche a pochi chilometri da una Damasco in guerra, da un Aleppo semidistrutta e da una Palmira violentata dalle milizie dell’Isis.
Mar Musa e uomini e donne come Paolo sono la voce profonda di un’umanità che vuole ancora costruire pace, tra i diversi. E io, di questa umanità voglio essere parte!
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