Lectio Divina di domenica 9 aprile 2017, Domenica delle Palme dell’anno A, a cura della Comunità monastica di Pulsano.
DOMENICA «DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE»
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Con questa Domenica che è l’ultima della quaresima ha inizio la grande settimana dell’anno liturgico, la «settimana santa»; questa «Grande e Santa settimana» è come un’inquadratura generale di tutto il mistero, che nei giorni seguenti rivivremo con fedeltà addirittura cronologica.
In una «settimana» della storia del mondo si sono compiuti gli avvenimenti decisivi attraverso i quali Dio ha operato la -nostra redenzione. Questi eventi sono la passione, la morte e la risurrezione di Cristo. É il mistero della pasqua, ossia il «passaggio di Cristo da questo mondo al Padre» attraverso la sua passione, morte e risurrezione e, in lui e per lui, dell’umanità intera dalla schiavitù del peccato alla vita divina della grazia. Gesù, morendo ha distrutto la morte, e risorgendo ha ridato a noi la vita.
La morte e la risurrezione di Cristo, che è rinnovata in ogni divina liturgia celebrata ogni domenica, nella settimana santa viene come rivissuta dalla Chiesa anche cronologicamente. La caratteristica, infatti, di questa celebrazione annuale della pasqua è di essere compiuta in tre giorni. La chiesa attraverso i riti segue passo passo, momento per momento, il suo Signore che per lei va al Calvario e per lei è glorificato dalla potenza di Dio.
Questi giorni hanno qualcosa di sacramentale: in essi opera Cristo. Per chi crede, sono i giorni della salvezza. La settimana santa, soprattutto il triduo pasquale, è al centro di tutto l’anno liturgico e di tutta la vita sacramentale della Chiesa.
Perciò «se v’è liturgia che dovrebbe trovarci tutti compresi, attenti, solleciti ed uniti per una partecipazione quanto mai piena, degna, pia e amorosa, questa è quella della grande settimana. Per una ragione chiara e profonda: il mistero pasquale, che trova nella settimana santa la sua più alta e commossa celebrazione, non è semplicemente un momento dell’anno liturgico; esso è la sorgente di tutte le altre celebrazioni dell’anno liturgico stesso, perché tutte si riferiscono al mistero della nostra redenzione, cioè al mistero pasquale» (Paolo VI).
La liturgia di questa Domenica, come dice il titolo stesso, fa commemorazione:
- dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme;
- della passione del Signore.
1. La commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme
Tutti gli evangelisti mettono in rilievo questo ingresso solenne nella città santa da parte di Gesù, acclamato dalla folla degli ebrei il messia, cioè il salvatore.
Il fatto ha un profondo significato di fede. Mentre i capi del sinedrio pensano ormai alla eliminazione di Gesù, in quel momento il chicco di grano che muore comincia a dare frutto: alcuni pagani chiedono di vedere Gesù. Quel piccolo gruppo di stranieri sono il nucleo della futura chiesa. Il Figlio dell’uomo è glorificato: è riconosciuto dal resto d’Israele e dalle primizie dei popoli pagani (cf. Gv. 12, 12-50).
La liturgia, fedele al dato rivelato, non trascura questo mistero di salvezza.
Non si tratta di fare un pio ricordo o di mirare un avvenimento del passato, ma si tratta di rendere presente «oggi» l’avvenimento attraverso la parola di Dio e di viverlo nella fede.
«Oggi» siamo chiamati a riconoscere la divinità di Gesù e la sua azione di salvezza, come messia, trovando i modi più adeguati per dare rilievo concreto alla nostra fede.
Anche il segno esterno della processione, quindi, acquista tutta la sua rilevanza nella misura in cui formiamo una comunità di fede con l’annuncio della parola di Dio.
2. La commemorazione della passione del Signore
Questa è la Domenica dell’anno nella quale la liturgia della Chiesa commemora in modo particolare la passione del Signore. In tutte le altre domeniche, infatti, la liturgia sottolinea congiuntamente la passione e la risurrezione.
Gesù, oggi, entra nella città santa per consumarvi il sacrificio: i capi del popolo giudaico hanno già deciso di condannarlo.
Tutta la liturgia della messa, illuminata dai racconti della passione dei tre evangelisti Matteo, Marco e Luca, che si leggono nel susseguirsi di un triennio, ci aiuta coi suoi testi a comprendere il significato salvifico della passione e morte di Gesù:
«Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un’ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza» (Prefazio).
Il Padre celeste ci dà come modello di vita il Cristo, suo figlio, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce. La Chiesa prega di avere sempre presente, attraverso questo modello, l’insegnamento della passione del Signore per partecipare alla gloria della risurrezione (colletta).
Gesù, infatti, con la sua persona e la sua storia non è soltanto un modello morale da imitare, ma è il principio vitale della nostra vita di credenti. Mediante la fede e i sacramenti noi partecipiamo alla sua stessa vita che dobbiamo poi esprimere con la nostra.
Con la processione delle palme iniziano le celebrazioni della Settimana Santa non solo cronologicamente, ma anche e soprattutto «sacramentalmente». Tutto ciò che la Chiesa vive nei giorni santi — la passione e morte del Signore — viene introdotto simbolicamente con il significativo rito della processione.
Ma questa «introduzione» nel significato della Settimana Santa tramite la processione delle palme si verifica solo se si sa dare a questo rito il suo vero significato. Si tratta di «significare » l’entrata di Cristo nella Gerusalemme definitiva attraverso il trionfo della sua morte. La processione non ha, dunque, come fine principale quello di imitare l’evento storico avvenuto la domenica precedente la morte del Signore, ma di presentare un simbolo di ciò che in quell’avvenimento era «profetizzato», dando al popolo uno strumento per partecipare all’entrata escatologica di Gesù, attraverso il mistero pasquale, nel regno definitivo di Dio. Si deve vivere questa celebrazione «come una profezia della passione e del trionfo del Signore» (Caerimoniale episcoporum, n. 263), cioè, come un cammino che lo porta dalla croce fino alla gloria, cammino che, assieme al Signore, la Chiesa vuole percorrere con quella fede che proclama anche quando soffre e sembra fallire, perché riconosce e confessa la sua vittoria definitiva.
E in questo contesto, nell’acclamare e nel seguire il Crocifisso che è Re, che la processione delle palme riacquista la sua vera dimensione.
La solennità speciale di questa Domenica si richiama all’antica tradizione di Gerusalemme (sec. 4°), dove sul “luogo stesso”, proclamando l’Evangelo dell’evento, la Chiesa celebrava il Vespro facendo la “stazione” dalla Basilica dell’Eleona[1], sul Monte degli Olivi. Poi in processione con tripudio di canti e reggendo le palme, la Comunità si recava alla basilica dell’Anastasis, visitando il luogo del Golgota; quindi si celebrava la divina liturgia di S. Giacomo (greca). Cominciava così la Settimana più densa dell’anno quanto a contenuti evocativi e celebrativi.
Le note che risuonano oggi formano un’intensa sovrapposizione di gioia per la Gloria del Signore che si manifesta, e di profonda meditazione sul senso che la Passione prossima ha per Lui, per tutti i fedeli redenti e santificati, per il destino del mondo.
Ancora oggi dunque la liturgia di questa giornata si apre con la commemorazione dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e prosegue poi con la celebrazione domenicale della Passione. Per giungere alla Resurrezione, il Signore è passato (ha dovuto!) attraverso la voragine della morte. Per questo il titolo della domenica[2] ha voluto unire i suoi due aspetti, che sono perfettamente coerenti, poiché l’entrata del Signore nella città santa, prossimo scenario dei fatti culminanti della sua vita, sta a indicare la definitiva visita di Dio al suo popolo.
Per comprendere la Quaresima abbiamo detto che è sempre celebrazione del Signore Risorto con lo Spirito Santo che, Domenica per Domenica, attuando una particolare memoria dell’Iniziazione cristiana santa, non solo accompagna i catecumeni che avanzano nella specifica preparazione alla medesima Iniziazione comune ma che accompagna tutti (= mistagogia) alla resurrezione comune.
Tutti i battezzati, fattisi attenti discepoli dello Spirito Santo, sono chiamati a seguire il Signore, il Vittorioso su ogni tentazione che con l’Iniziazione santa aiuta a superare le debolezze e ci Trasfigura nella Sua stessa Trasfigurazione. Alla Samaritana ha promesso, ma a coloro che lo seguono dona l’Acqua della Vita che è lo Spirito Santo, per l’adorazione perfetta del Padre. Mentre al cieco nato dona la luce della visione umana, ai suoi, nati nella cecità del peccato, dona 1’«illuminazione» che è l’Iniziazione alla Luce divina. Mentre resuscita Lazzaro, anticipo della sua Resurrezione operata dallo Spirito Santo, e della resurrezione comune operata alla fine dei tempi dal medesimo Spirito Santo, a coloro che lo seguono dona, nell’Iniziazione, la caparra della resurrezione.
La Domenica delle Palme celebra e contempla ancora il suo Signore mentre prende possesso della sua Città regale, Gerusalemme, la Sposa (processione delle Palme) e così, quale Figlio dell’uomo, Re, Profeta, Sacerdote, che si avvia alla Croce, la accetta, la vive per intero portando il carico del peccato e del dolore di tutti gli uomini (cf. Evangeli della “Passione del Signore”).
Sulla Croce realizza per intero la sua missione divina di servo sofferente (Is 50,4-7) e ancora dalla Croce, come “partoriente”, mentre grida al Padre rivela anche la gioia del popolo futuro che nasce dal dolore (Sal 21). Colui che si manifesta come il Dio da Dio prende volontariamente la «forma di servo… facendosi obbediente alla volontà del Padre… accetta la morte di Croce» nella consapevole “umiliazione di se stesso”, nel volontario “svuotamento” e ricevendo dal Padre “il nome” divino da adorare per la Gloria del Padre (Fil 2,6-11).
Evangelo della processione: Mt 21,1-11
L’ingresso gioioso di Gesù a Gerusalemme è una scena messianica che ricalca le cerimonie di investitura regale molto comuni nell’antico oriente e anche qualche volta nei libri della bibbia (cfr. 1 Re 1,33-35). Gesù tuttavia, lo sappiamo bene, è un re che viene non per dominare, ma per servire e dare la sua vita a redenzione dell’umanità. «Cristo non entrò in Gerusalemme su un magnifico cocchio, come hanno fatto gli altri re; non ha imposto tributi, non ha incusso terrore, né era circondato da guardie armate di lance[3], eppure era lui quella stella che doveva spuntare da Giacobbe e quello scettro che doveva sorgere da Israele[4]».
Così la liturgia, dopo la scena gioiosa della intronizzazione regale di Gesù, passa immediatamente al racconto della sua passione. Nella liturgia bizantina gli inni della festa (apolytikion e kontàkion) sono gli stessi della Resurrezione di Lazzaro:
– Per confermare la comune resurrezione, prima della tua passione, hai risuscitato dai morti Lazzaro, o Cristo Dio, per la qual cosa anche noi, come i fanciulli, portando i simboli della vittoria, a Te, vincitore della morte, gridiamo: Osanna nel più alto dei cieli, benedetto Colui che viene nel nome del Signore.
– Sepolti assieme a Te, o Cristo Dio nostro, per mezzo del battesimo, attraverso la Tua resurrezione siamo fatti degni della vita immortale. Perciò inneggiando gridiamo a Te: Osanna, nel più alto dei cieli; benedetto Colui che viene nel nome del Signore.
Se guardiamo la pericope evangelica in sinossi vediamo come il nostro brano ha paralleli sia in Mc 11,1-11 che in Lc 19,28-40 ed anche nell’evangelo di Gv 12,12-16.
Il contesto in cui è posizionata la pericope, risponde pienamente alle direttive liturgiche; se osserviamo lo schema di Matteo il brano si situa tra la «salita a Gerusalemme», con penultima tappa a Gerico (19,1-20,34), ed il «ministero messianico a Gerusalemme» (cf 21,1-25,46).
Il nostro brano fa da cerniera, introducendo all’ultima parte della Vita del Signore prima della Croce e della Resurrezione.
L’azione di questo episodio, che è la continuazione di quella del brano precedente, è collocata da Matteo in una sola giornata, la descrizione della quale termina in 21,17 con la cacciata dei venditori dal Tempio.
L’entrata di Gesù nella città santa assume per esplicita iniziativa del Maestro, il carattere di una pubblica manifestazione della sua regalità messianica, finora tenuta volutamente in penombra; ma si tratta di una regalità ammantata non di sfarzo e di potenza, ma di povertà e mansuetudine.
Esaminiamo il brano
v. la – Il testo comincia con l’andatura di un pellegrinaggio del Signore, con un piccolo gruppo dei discepoli e delle donne fedeli che lo seguivano, ma che è destinato a diventare un corteo imponente, festoso, gioioso, una processione sacra popolare e solenne. Un corteo nuziale che accompagna lo Sposo verso la casa della sposa.
«Betfage»: dall’aramaico bèt-paggè = casa dei fichi immaturi è, probabilmente, il villaggio di cui si fa cenno nel versetto seguente. Il suo nome, data la scarsa importanza, non compare nell’A. T.
Da Marco e Luca è nominato insieme a Betania e quindi la sua ubicazione non dovrà cercarsi lontano da essa, alle falde orientali del monte degli Ulivi.
«Monte degli Olivi» Gesù con i suoi da Gerico (20,29) si avvicina a Gerusalemme; ora si arresta sul Monte degli Olivi, nel piccolo abitato di Betfage, sul versante orientale dell’altura.
Questo monte era ben noto dalla Scrittura: secondo i Profeti, ad esempio, il Signore stesso sarebbe venuto su esso, in un giorno terribile di sola luce, di raccolta del popolo, di fuga delle nazioni sconfitte (Zac 14,4); questa venuta avrebbe fatto scaturire Acque vive da Gerusalemme (Zac 14,8).
Il principio della redenzione d’Israele, tra «segni» irresistibili (cf tutto Zac 14) sarebbe avvenuto con la Manifestazione del Signore, che si sarebbe reso visibile all’universo, venendo «con tutti i santi suoi» (Zac 14,5).
Questo monte era stato testimone del fatto tragico che fu la rivolta di Assalonne contro il padre David; allora David, l’Unto del Signore, la figura del Re messianico d’Israele, fuggendo davanti all’incalzare del figlio, era salito nel pianto su questo monte, con l’Arca dell’Alleanza e con il «resto» dei suoi fedeli (2 Sam 15,30). Gesù ricapitola questi fatti, e per due volte.
Poi, Risorto, torna sul Monte degli Olivi, nella località chiamata anche «la Galilea» (e non quella classica!) (At 1,12), per ascendere al Padre e donare lo Spirito che è anche il Fuoco della Pentecoste (At 2,1-4).
v. 1b-3 – Adesso avviene un episodio abbastanza misterioso. Il Signore invia due discepoli (due testimoni validi, cfr Dt 19,15).
Essi andranno in un villaggio… li rimanderà subito.
Esiste un parallelo altrettanto misterioso, la preparazione della sala per mangiare la Pasqua, presso un proprietario della casa, che accondiscenderà volentieri (26,18-19); anche qui il Signore invia un messaggio, che sembra quasi convenzionale.
I due personaggi generosi sono ignoti.
«un’asina»: In Oriente l’asino è una cavalcatura tutt’altro che disprezzata: sovrani e grandi personaggi amavano cavalcare bestie giovani, non ancora impiegate nei lavori.
un’asina legata e con essa un puledro: Marco 11,2 dice: «un puledro legato». I due animali di Matteo possono essere dovuti a una lettura letterale del parallelismo di Zc 9,9 («… cavalca un asino, un puledro figlio d’asina»). Il termine polos («puledro») potrebbe anche riferirsi al cavallo, ma qui, alla luce di Zc 9,9 deve trattarsi di un giovane asino.
«conducetela a me» imp. aoristo positivo che come tale ordina di iniziare un’azione nuova.
«Il Signore ne ha bisogno…»: Non è chiaro se le istruzioni impartite ai discepoli da Gesù siano in conseguenza di un accordo fatto in precedenza con il proprietario degli animali o se invece indichino una preveggenza soprannaturale. Analogamente, il termine kyrios è ambiguo: può significare «signore» o «maestro», ma per i primi lettori cristiani significava «il Signore».
«Non considerate questo fatto come una cosa da poco conto – commenta Giovanni Crisostomo (349-407 – In Matt. 66,2) -. Chi può persuadere delle persone, verosimilmente povere e che si guadagnano la vita con il loro lavoro, a lasciarsi portar via i loro animali, forse unica loro proprietà, senza opporsi? Ma perché dico senza opporsi? Anzi, senza neppure dire una parola, o quanto meno, dopo aver chiesto il motivo, tacendo e acconsentendo. Mi sembra, infatti, che nell’uno e nell’altro caso il comportamento di costoro sia ugualmente ammirevole, sia che non abbiano fatto resistenza quando vennero portate via le loro bestie, sia che – dopo aver chiesto e avuto la spiegazione degli apostoli: il Signore ne ha bisogno – abbiano acconsentito, pur non vedendo il Signore, ma solo i suoi discepoli».
vv. 4-5 – Il solenne corteo che avrà luogo tra poco è anticipato dalla spiegazione che avviene nei vv. 4-5 con la «formula di compimento»[5]
«perché si compisse»: Matteo rende esplicita la citazione dell’AT che sta dietro Mc 11,10. La prima parte («Dite alla figlia di Sion») è presa da Is 62,11. La seconda parte è di Zc 9,9 («Ecco, il tuo re viene…»). Matteo quindi presenta l’entrata di Gesù in Gerusalemme come il compimento delle profezie dell’AT.
«fecero quello che aveva ordinato loro Gesù»: Matteo tralascia Mc 11,4b-6 che descrive come i discepoli hanno eseguito gli ordini di Gesù. L’omissione dà maggior risalto all’adempimento della Scrittura e attenua l’idea della preveggenza di Gesù (o di un accordo preventivo).
II testo interrompe in un certo senso la narrazione, per concentrare l’attenzione sul fatto: «Questo poi avvenne», ossia fu causato da Dio, «affinché fosse adempiuto (cioè da Dio, «passivo della divinità») il Detto mediante il Profeta (così) parlante».
Le «formule di compimento», tipiche di Matteo si organizzano come una fitta rete di rinvìi alla Santa Scrittura, la Parola Divina – Fatto divino che si viene attuando. Questo comincia in 1,22 e termina con la Passione (27,9).
Il testo presentato al v. 5 è una Scrittura tratta per sé da due profeti, ma connessa ed unita per farle dire l’anticipo che adesso si rivela in tutta la sua portata (cf. Is 62,11 e Zac 9,9).
Il testo di Zaccaria tradotto dall’ebraico suona così:
Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.
L’invito al giubilo, una caratteristica degli annunci messianici, è stato sostituito dall’evangelista con una frase più semplice («Dite[6] alla figlia di Sion »), tolta da Is 62,11.
Le parole «giusto e vittorioso» sono omesse sia da Matteo che da Giovanni allo scopo di evitare l’equivoco di un messianismo politico foriero di guerre, anche se «giuste e vittoriose».
Solo Matteo fra i sinottici, nota il compiersi della profezia di Zaccaria. Anche il quarto Evangelo ricorda l’adempimento dello stesso vaticino profetico (Gv 12,14). Ambedue i testi, tardivi, parlano in un contesto di restaurazione del popolo dopo l’esilio. Il grande Re viene a prendere possesso della sua città.
Egli non si presenta con la potenza temibile delle armi, i carri e la cavalleria, escluse da Zac 9,10. È il Re pacifico che sconvolge tutti i progetti di odio e di guerra; lo dimostra la sua cavalcatura, l’asina mite che allatta il tenero puledro tenuto con se. Il cavallo nella tradizione biblica rappresenta il rifiuto di Dio per confidare nella propria forza e intelligenza, l’arroganza del conquistatore brutale (cf Sal 19(20),8; 32(33),16-17).
«mite, seduto su un’asina…»: Matteo tralascia da Zc 9,9 l’espressione «Egli è giusto e vittorioso», per dare maggiore enfasi alla «mitezza» o umiltà del re Gesù. Il parallelismo del distico ebraico ha probabilmente indotto Matteo a pensare che si trattasse di due animali (cf 21,2).
«un’asina e su un puledro» le due cavalcature sono riferite nel testo profetico solo per la legge stilistica del parallelismo che ama presentare una verità e, come nel nostro caso, una stessa entità smembrata in due.
vv. 6-8 – Matteo a differenza degli altri si preoccupa dell’esatto svolgimento dei fatti e dal v. 7 non si riesce a capire se Gesù abbia cavalcato l’asina o il puledro. Gli altri sinottici che non riportano la profezia evitano tale confusione.
«stese i suoi mantelli»: la folla per l’entusiasmo, come noi facciamo con l’infiorata, coprono i suoi passi con le loro vesti; così si faceva con i re (cf. 2 Re 9,13).
«rami dagli alberi» altri invece anticipando la maggiore festa dell’anno, quella delle Capanne, di questa usano i simboli (cf. Lv 23,40) e pongono i rami d’alberi per la via, come omaggio, anziché tenerli in mano come prescrive il rito (v. 8).
Marco parla di «rametti frondosi tagliati dai campi» (11,8), mentre Giovanni menziona i «rami delle palme» (12,13).
L’uso cerimoniale dei rami di palma era più indicato per la festa delle Capanne e di Hanukkah[7] che per la Pasqua (vedi Lv 23,39-43; 1 Mac 13,51; 2 Mac 10,7).
vv. 9-11 – Le folle, tra gli altri canti che possiamo immaginare siano stati eseguiti, assumono, forse come ritornello, un versetto di salmo; il 118,26a. – il salmo 118 fa parte e conclude il gruppo di salmi (che vanno dal 113 al 118 ) detti dell’ «Hallel egiziano», che insieme a quelli del «grande Hallel» (salmi 135-136 ), vengono recitati nella cena pasquale ebraica.
(I salmi 146-150 sono chiamati dalla tradizione 1’«Hallel finale»; Hallel = lode a Dio ). Il sal 118 è importante perché, da questo scrigno, il Nuovo Testamento e la liturgia vi hanno attinto a piene mani:
- a) è il salmo responsoriale nella liturgia della Dom. di Risurrezione;
- b) è citato a più riprese dal NT (cf v. 22 in Mt 21,42; At 4,11 e il v. 26 in Mt 21,9 e 23,39);
- c) il v. 24 nella tradizione cristiana è applicato al giorno della Resurrezione di Cristo;
d) il salmo ha dato origine anche all’acclamazione cristiana «Osanna», dall’ebraico òshi’ah-na’, «oh, si, salvaci!» del v. 25; questi con il v. 26 è poi entrato nel Sanctus della messa romana (come anche in oriente).
E così Gesù entra nella città, che da tanta esultanza è scossa.
«fu in agitazione» qui l’evangelista usa un termine misterioso eseisthe, lett. «fu scossa come colpita da un terremoto».
Il vocabolo, desunto dal linguaggio apocalittico, ricorre solo tre volte nel N.T. in riferimento a fatti che hanno una portata escatologica (cfr. 27,51 per la morte di Cristo e 28,4 per la resurrezione).
La venuta del Messia costituisce l’ultimo appello di salvezza che Dio rivolge alla «Figlia di Sion», il cui rifiuto preluderà alla catastrofe «escatologica» della nazione eletta (cfr. 24,2).
«Chi è costui» è la domanda fatidica che amici e nemici si pongono davanti alla misteriosa personalità di Gesù di Nazaret (cfr. 8,27; 12,23).
La Domenica delle Palme è la festa dei bambini e l’iconografia dedica loro grande attenzione. Essi non si chiedono «Chi è costui?», sono invece coloro che con le loro grida: «Osanna al figlio di Davide» suscitarono l’indignazione di scribi e farisei (cf Mt 21,10-16).
L’episodio dei bambini che vanno incontro al Signore con le palme non ha riscontro negli Evangeli. Si potrebbe pensare al brano in cui si dice che i sommi sacerdoti e gli scribi, al vedere le meraviglie che faceva e i «fanciulli che acclamavano nel tempio: Osanna al figlio di Davide», si sdegnarono e gli dissero: «Non senti quello che dicono?», e Gesù rispose loro: «Sì, non avete mai letto: dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata la lode?» (cf Mt 21,15ss; Sal 8,3).
A tal proposito si narra nell’Apocrifo di Nicodemo che «i sommi sacerdoti e scribi (…) e gli altri ebrei tennero consiglio e andarono da Pilato ad accusare Gesù di molte azioni malvagie (…). Ma Pilato li chiamò e disse loro: Come posso, io che sono un governatore, esaminare un re?».
«Essi gli risposero: Noi non diciamo che egli sia re, bensì è lui che lo afferma di se stesso. «Pilato allora chiamò un cursore[8] e gli disse: Mi sia condotto qui Gesù, ma con gentilezza!
«il cursore uscì fuori e quando riconobbe Gesù, l’adorò, stese a terra il sudario che aveva in mano, e gli disse: Signore, cammina qui sopra e vieni, che il governatore ti chiama.
«Gli ebrei vedendo ciò che faceva il cursore, mandarono alte grida e dissero a Pilato: Perché non l’hai convocato per mezzo di un araldo, ma gli hai inviato un cursore? Il cursore, infatti, vedendolo lo adorò, distese a terra il suo sudario e ve lo fece camminare sopra come un re.
«Allora Pilato, chiamato a sé il cursore, gli domandò: Perché hai fatto questo: hai steso a terra il tuo sudario e hai fatto camminare sopra Gesù?
«Il cursore gli rispose: Signor governatore, allorché tu mi inviasti da Alessandro a Gerusalemme, lo vidi che sedeva sopra un asino e i fanciulli ebrei con delle frasche in mano gridavano, mentre altri stendevano i loro vestiti davanti a lui, dicendo: Salva ora, tu che abiti nelle altezze! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».
«Gli ebrei risposero al cursore gridando: I fanciulli ebrei gridavano in ebraico, come fai tu a saperlo in greco?».
«Il cursore rispose loro: Ho domandato ad un ebreo: Che cosa gridano costoro in ebraico? «Gli ebrei gli risposero: Hosiahna bimromìm. Barùk habà bshem Adonai. «Pilato domandò: Che cosa significa ‘Osanna’ e il resto?».
«Gli risposero: Salva ora, tu che abiti nelle altezze! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».
«Pilato allora disse: Voi stessi dunque confermate che i fanciulli dicevano queste parole; in che cosa ha dunque mancato il cursore? «Ed essi tacquero»[9].
I bambini, quindi, realizzano la profezia del re Davide che dice: «Con la bocca dei bambini e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli» (Sal 8,3; cf Mt 21,16).
«Questi è il profeta»: La gente di Gerusalemme è a conoscenza della riputazione di Gesù che l’ha preceduto in città. Finora gli abitanti di Gerusalemme non lo conoscono ancora direttamente. Per i lettori di Matteo questa poteva essere un’allusione al «profeta come Mosè» (vedi Dt 18,15.18).
Le nozze preparate dal Padre per il figlio, consacratovi dallo Spirito, stanno per avvenire.
Il corteo nuziale è appena cominciato!
In corteo dunque con i rami di ulivo e attraverso il canto dei salmi 23 e 46 la liturgia ci aiuta a vivere questa realtà escatologica, superando il pericolo di limitarci a un semplice ricordo del fatto storico che sta alla base di questo significativo rito. Ecco ora alcune note sui salmi:
Il contenuto del salmo 23
La liturgia cristiana nell’adottare salmo 23 per la processione della Domenica delle Palme, situa questo testo proprio nel suo significato più autentico e primitivo: un canto processionale.
Il salmo 23 viene ad essere come una metafora che canta l’epifania, o manifestazione di Dio, al popolo: i frontali, le porte antiche che si aprono, sono come delle allusioni a una liturgia solenne o a un’esperienza mistica che portano l’uomo più vicino a Dio. Questa è una delle realtà che poeticamente canta il salmo 23.
Si può leggere l’inno dei vv. 7-10 del nostro salmo — la sua parte centrale e la più antica — anche come un canto di vittoria intonato davanti all’Arca che è intronizzata solennemente nel tempio dopo una campagna militare. Può darsi che il nostro testo sia l’eco dei canti del trasferimento dell’Arca dell’alleanza a Gerusalemme dopo la conquista della città da parte di Davide (2 Sam 6).
Un altro possibile fine dell’inno dei vv. 7-10 è quello di essere un canto utilizzato nella liturgia di intronizzazione di Iahvè creatore e vincitore tanto del caos primitivo come dei nemici d’Israele. In questo contesto si capiscono molto facilmente i primi versetti del nostro canto, che proclamano la grandezza non solo del vincitore — «il Signore forte e potente» — ma anche del creatore dell’universo, di colui che «fondò la terra sui mari».
Diciamo, infine, che i vv. 7-10 possono anche essere interpretati come un inno escatologico che esprime e canta solennemente la fede del popolo nella piena restaurazione del regno di Dio. In questo senso, le «porte antiche» alluderebbero alle porte della nuova e definitiva Gerusalemme celeste, verso la quale il popolo si dirige simbolicamente, mentre nel suo significato fisico si trasferisce al tempio materiale della città santa.
Il significato liturgico del salmo 23 nella processione della Domenica delle Palme
È relativamente facile applicare ciascuno dei diversi significati letterali del salmo 23, dei quali abbiamo appena parlato, alla processione della Domenica delle Palme. Facile e innegabilmente ricco di quelle prospettive di spiritualità e di contemplazione del mistero cristiano cui deve improntarsi la più autentica partecipazione dei fedeli alla liturgia di questo giorno.
I vv. 7-10 soprattutto, scritti per una processione nella quale l’Arca, simbolo della presenza di Dio, è introdotta nel tempio, accompagnata da un popolo che acclama il suo Signore, si applicano perfettamente al nuovo popolo di Dio che vuole associarsi a Cristo che entra nel suo mistero pasquale, per introdurre la vera arca — il suo Corpo umano nel quale abita la pienezza della divinità — nel tempio definitivo della gloria. Nel contemplare e unirsi a Gesù che si dirige verso la sua morte, per «passare» con il suo corpo nel tempio definitivo di Dio, e che sta già toccando le sue architravi che sono la morte che aprirà queste porte, il popolo chiede con insistenza: «Alzatevi porte antiche ed entri il re della gloria».
L’entrata di Gesù a Gerusalemme fu una vera «epifania» divina, una luce che risplendette nelle tenebre, come canta Isaia (Is 60,1-2). Tutt’intorno c’erano solo tenebre, perché il rifiuto definitivo di Gesù da parte delle autorità stava già culminando; ma, nonostante queste esperienze di fallimento, il popolo cristiano sa che il cammino della croce è un passo verso la gloria e per questo acclama profeticamente il Crocifisso: «Entra il Signore, il Re della gloria».
Il salmo 23, soprattutto cantato alla vigilia del grande trionfo pasquale, è anche un canto espressivo in onore della vittoria di Gesù nella dura battaglia della passione contro i suoi nemici: il peccato e la morte. Se dopo le campagne di Davide l’Arca dell’alleanza ha potuto essere intronizzata vittoriosamente a Gerusalemme, dopo la battaglia della passione il corpo di Cristo è intronizzato definitivamente nel tempio della Gerusalemme celeste. Il Re che acclamiamo nella processione della Domenica delle Palme è il «Signore, forte e potente, il Signore potente in battaglia», come dice appunto il nostro salmo.
Il canto del salmo 23, collocato come inizio delle feste della passione del Signore, può avere ancora un altro aspetto, nuovo e importante: quello del carattere escatologico — o del trionfo definitivo e ultimo — che ha per l’umanità intera il transito pasquale di Cristo: Cristo cammina davanti al suo popolo, in testa alla processione dell’umanità intera che, seguendo il suo Signore, passa da questo mondo al regno, dalla morte alla vita, certo, attraverso il parto doloroso della passione del Signore, le sofferenze del suo corpo, la Chiesa, ma con la totale certezza del trionfo finale. In questo contesto, la processione delle palme, accompagnata dal canto del salmo 23, offre una bellissima immagine: «Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi porte antiche, ed entri il re della gloria», accompagnato dal suo popolo che, attraverso il trionfo della croce, spera di entrare con il suo Re per le porte eterne del suo regno.
Sulla soglia della Settimana Santa, dunque, il salmo 23 ci aiuta a contemplare e a cantare l’ingresso definitivo del Signore nel suo regno. Canteremo di nuovo questo stesso salmo 23 — è suggestivo ricordarlo e sottolineare il parallelismo già dalla Domenica della Palme — nell’Ufficio del Sabato Santo, giorno della sepoltura del Signore. Anche in quel giorno, già a poche ore dalla manifestazione del trionfo del Signore nella celebrazione della Notte pasquale, quando il corpo del Signore riposa ormai dalle fatiche della sua battaglia, la Chiesa, insistendo nella speranza del trionfo definitivo — escatologico — del suo Signore, canterà di nuovo con fede ed entusiasmo: «Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria!». Con questi sentimenti ci accingiamo, pieni di fede, alla celebrazione della pasqua del Signore.
Nella liturgia della processione della Domenica delle Palme non solo ricordiamo l’ingresso del Signore a Gerusalemme e cantiamo e «profetizziamo» il suo ingresso pasquale ed escatologico nel cielo, ma anche che il popolo vuole «passare» con il suo Signore da questo mondo al Padre, unirsi alla pasqua e al trionfo del suo Signore: in questo contesto, dunque, prendono vita le espressioni — certamente secondarie e storicamente più recenti — dell’inizio del salmo 23: «Chi salirà il monte del Signore?». Il popolo cristiano, che si prepara a seguire il suo Signore lungo il cammino del trionfo pasquale, che desidera ricevere «la benedizione del Padre» assieme a Cristo, deve avere «mani innocenti e cuore puro». Si tratta di un requisito, di un inizio necessario, e perciò questa specie di esame risulta appropriato — anche se è secondario e come tale bisogna meditarlo e cantarlo — per iniziare il salmo, per disporsi a «salire il monte del Signore», per accompagnare il Signore con le palme del trionfo pasquale nelle mani.
Ricordiamo infine che il salmo 23 nella liturgia della processione della Domenica delle Palme è accompagnato da un’antifona, anch’essa molto significativa: «Le folle degli ebrei, portando rami d’ulivo, andavano incontro al Signore, e acclamavano a gran voce: Osanna nell’alto dei cieli!». Vale la pena ripetere la frase inziale: fisicamente e apparentemente il Signore entra nella Gerusalemme terrestre; ma le folle degli ebrei, che la folla dei fedeli vuole imitare, proclama già l’entrata del Signore nel regno: «Osanna, non nella Gerusalemme visibile verso la quale si dirige il Signore, ma nei cieli». Gli ebrei — oggi i fedeli — cantano in realtà il passaggio pasquale. Non solo, dunque, dal salmo 23, ma anche dalla sua antifona siamo invitati alla contemplazione e all’acclamazione del regno escatologico del Signore simboleggiato dal suo ingresso a Gerusalemme e che si inaugura con la sua entrata nella gloria.
Il contenuto del salmo 46
Il secondo salmo della processione delle palme è il 46. Il suo contenuto è, in fondo, molto simile a quello del salmo 23 e per questo la sua spiegazione può essere molto più breve. Letterariamente si tratta di un inno a Iahvè vincitore. Gli accenti del canto sembrano echeggiare una grande vittoria: Dio «ci ha assoggettati i popoli, ha messo le nazioni sotto i nostri piedi». È sicuramente il canto dei rimpatriati di Babilonia, che ritornano gioiosi alla loro terra, ora che il potere del nemico è stato sottomesso da Ciro.
Probabilmente questo canto è stato poi usato nella liturgia d’Israele, come il salmo 23, quale inno liturgico per la festa dell’intronizzazione dell’Arca; o è stato usato come canto in alcune feste reali per acclamare la presenza del Signore nella figura del monarca.
Il significato liturgico del salmo 46 nella processione della Domenica delle Palme
L’antico inno a Iahvè, presente in Israele nella figura sia dell’Arca che del monarca vincitore dei nemici, viene usato spesso da noi cristiani, soprattutto sulla soglia della grande celebrazione pasquale, come inno a Cristo vincitore del male nella sua morte e risurrezione.
Possiamo dire che il salmo 46 canta il mistero pasquale in tutto il suo aspetto culminante e finale, cioè nel momento in cui tutto è arrivato alla realizzazione totale con l’esaltazione di Cristo. Per la Chiesa il salmo 46 è soprattutto il canto dell’Ascensione, l’ultima fase del mistero pasquale: se Israele cantava con questo salmo l’Arca collocata nel tempio o il suo re seduto sul trono come figura di Dio — «Ascende Dio tra le acclamazioni, Dio siede sul suo trono santo» —, noi cristiani vediamo in questo salmo Gesù esaltato nella sua umanità al di sopra di ogni creazione e seduto alla destra del Padre. Ed è precisamente il cammino — la processione — che porta a questa esaltazione ciò che si vuole significare nella processione della Domenica delle Palme. È per questo che il salmo 46 risulta particolarmente appropriato nella processione della Domenica delle Palme per esprimere «profeticamente» la fede pasquale, soprattutto nel contesto della Pasqua.
Il salmo 46, come il 23, ha anche un grande significato escatologico che lo rende più adatto come canto per la Domenica delle Palme: effettivamente, in questo salmo cantiamo il regno di Cristo, non nella sua tappa terrena attuale, ma giunto alla sua realizzazione totale: quando tutti i popoli, tutte le nazioni acclameranno il Signore, quando Cristo regnerà di fatto su tutte le nazioni, cioè nell’ultimo giorno, il giorno escatologico che aspettiamo come il giorno del Signore.
Un aspetto proprio di questo salmo 46 — che certamente il salmo 23 non contiene — è il carattere di universalità con il quale la Chiesa deve vivere il mistero pasquale. Cristo, in effetti, non è morto e risuscitato unicamente per la Chiesa, ma per tutti gli uomini: «Per noi uomini e per la nostra salvezza …fu crocifisso, morì e fu sepolto, è risuscitato ed è salito al cielo» recita la nostra Professione di fede. La Chiesa non è l’ultima destinataria del regno del Signore, ma anche lo strumento — il sacerdozio — e la «profezia» (cf LG 1) della salvezza universale. Questo è un nuovo motivo che rende questo salmo adatto alla processione-atrio di entrata delle celebrazioni pasquali. La Chiesa, che con i salmi 23 e 46 canta il suo Re escatologico, nell’acclamarlo pensa a tutti i popoli e confessa che il regno che celebra e che si inaugura con il mistero pasquale di Gesù Cristo è universale.
Diciamo per concludere che, se l’antifona che accompagna il salmo 23 risulta particolarmente suggestiva perché sottolinea il significato escatologico del re che celebriamo, mettendo sulle labbra della folla ebrea — e oggi dei fedeli cristiani — l’acclamazione del regno che deve venire — «Osanna nell’alto dei cieli» —, anche quella che accompagna il salmo 46 risulta evocativa di questo stesso importante aspetto perché sottolinea, anche se con altre parole, il mistero escatologico: canta, infatti, il Signore, il Figlio di Davide, come «colui che viene», cioè che si avvicina sempre di più, che è sempre più vicino, per portarci il regno desiderato e cantato oggi dalla Chiesa.
Conclusione
Se pensiamo alle celebrazioni liturgiche di una parrocchia, potremmo giudicare difficile adottare i salmi 23 e 46 per ambientare la processione delle palme; sarà sicuramente più facile che il popolo non solo canti, ma che soprattutto arrivi a capire altri canti più semplici. Ma lasciarsi consigliare da ciò che risulta più facile e più comodo può essere pericoloso: forse in questo modo stiamo cadendo in quel progressivo impoverimento del vero e ricco significato della liturgia. Una piccola catechesi — o forse un’omelia sul mistero pasquale, fatta con fervore in qualche data vicina alla Domenica delle Palme — commentando questi salmi nel modo in cui li spiegava sant’Agostino alla gente semplice di Ippona e sulla stessa linea con la quale li abbiamo commentati qui, arricchirebbe più della semplice adozione di alcuni canti più facili ma anche meno «divini» (i salmi sono parola di Dio) e indubbiamente più poveri per il popolo, che deve celebrare non vaghi sentimenti religiosi sulla passione del Signore, ma l’autentico mistero pasquale di Gesù Cristo.
Soprattutto le comunità religiose — singolarmente quelle contemplative — dovrebbero cantare con entusiasmo questi salmi che, senza dubbio, faranno della Settimana Santa un evento cristiano particolarmente denso, di una densità che certamente non possiedono altri canti che insistono su aspetti molto più marginali del regno che il nostro Messia viene a inaugurare. Queste comunità — anche le più povere di possibilità musicali — potrebbero forse ricordare e applicare ai canti propri della Settimana Santa la saggia riflessione di Tommaso da Kempis: «Se ogni anno acquistassimo una virtù, saremmo presto perfetti». Se ogni anno si imparasse uno dei canti nuovi propri per ognuno dei giorni santi, presto le celebrazioni pasquali assumerebbero un’altra fisionomia, assomiglierebbero di più all’ideale e, soprattutto, sarebbero più contemplative ed evocative del mistero cristiano che celebriamo.
[1] – L’Eleona cioè: nell’oliveto. Essa fu una delle tre basiliche costruite da S.Elena, al tempo di Costantino, sulle tre «mistiche grotte»: quella del S. Sepolcro, di Betlemme e del Monte degli Ulivi. Queste grotte avevano conservato i ricordi più cari ai cristiani.
[2] – Domenica delle Palme e della Passione del Signore.
[3] – Cfr. Giovanni Crisostomo, In Matt. 66,2
[4] – Cfr. Nm 24,17.
[5] Nell’Evangelo di Mt le c. d. «formule di compimento» esplicite sono almeno 12: 1,22-23 (su Is 7,14); 2,15 (su Os 11,1); 2,17-18 (su Ger 31,15); 2,23 (incerta: Num 6,1-21, o Is 11,1, o Is 53,2); 3,3 (su Is 40,3-5); 4,14-16 (su Is 8,23); 8,17 (su Is 53,4); 12,17-21 (su Is 42,1-4); 13,14-15 (su Is 6,9-10); 21,4-5 (su Is 62,11; Zac 9,9); 26,55-56 (su testo incerto); 27,9-10 (su Ger 32,6-9; Zac 11,12-13).
[6] – Dite: imp. aoristo positivo.
[7] – Hanukkah è una festività ebraica, conosciuta anche con il nome di Festa delle Luci. In ebraico la parola chanukkah significa “dedica” ed infatti la festa commemora la consacrazione di un nuovo altare nel Tempio di Gerusalemme dopo la rivolta maccabea contro il re Antioco IV Epifane. Il miracolo di Chanukkà è narrato nel Talmud, ma non nel libro dei Maccabei. La festa celebra la sconfitta, per mano di Giuda Maccabeo, dei Seleucidi e la successiva riconsacrazione del Tempio. La festività, durante gli otto giorni, è caratterizzata dall’accensione dei lumi di un particolare candelabro ad otto braccia chiamato chanukiah. La storia, riportata nel Talmud, racconta che dopo la riconquista del Tempio, i Maccabei lo spogliarono di tutte le statue pagane e lo sistemarono secondo gli usi ebraici. Scoprirono, inoltre, che la gran parte degli oggetti rituali era stata profanata. Secondo il rituale, la menorà del Tempio doveva essere illuminata in permanenza con olio di oliva puro. Nel Tempio però trovarono olio sufficiente solamente per una giornata. Lo accesero comunque mentre si apprestavano a produrne dell’altro. Miracolosamente, quel poco olio durò il tempo necessario a produrre l’olio puro: otto giorni.
[8] – Il cursore è un funzionario impiegato come corriere giudiziario dello stato.
[9] – Evangelo di Nicodemo, I,1-4 passim.
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Domenica delle Palme
- Colore liturgico: Rosso
- Is 50, 4-7; Sal.21; Fil 2, 6-11; Mt 26, 14 – 27, 66
Mt 26, 14 – 27, 66
Dal Vangelo secondo Matteo
– Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
– Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
– Uno di voi mi tradirà
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
– Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue
Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
– Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge
Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».
Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli.
– Cominciò a provare tristezza e angoscia
Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!».
Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
– Misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono
Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.
– Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza
Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire.
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?».
– Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.
– Consegnarono Gesù al governatore Pilato
Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.
Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il “Campo del vasaio” per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato “Campo di sangue” fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: «E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore».
– Sei tu il re dei Giudei?
Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.
Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
– Salve, re dei Giudei!
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.
– Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».
Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
– Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.
– Elì, Elì, lemà sabactàni?
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.
(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)
Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.
– Giuseppe prese il corpo di Gesù e lo depose nel suo sepolcro nuovo
Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatèa, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria.
– Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete
Il giorno seguente, quello dopo la Parascève, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse: “Dopo tre giorni risorgerò”. Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete». Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 09 – 15 Aprile 2017
- Settimana Santa, Colore – Rosso
- Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 2
Fonte: LaSacraBibbia.net
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