Lectio Divina di domenica 30 dicembre 2018 a cura della Comunità monastica di Pulsano.
DOMENICA NELL’OTTAVA DEL NATALE
Il mistero della vita di Gesù bambino con i suoi genitori: la liturgia di oggi ci presenta una meditazione tutta centrata sul Cristo, che interessa in modo particolare le famiglie cristiane. «Da dove viene il messia?», si domandavano i contemporanei di «Gesù di Nazaret». Ignoravano la sua nascita a Betlemme di Giuda; perciò si stupivano che si presentasse come il messia uno che veniva dalla Galilea (Gv 1,46; 7,41). Matteo ripercorre quindi l’itinerario movimentato dell’infanzia di Gesù: il suo esodo come profugo in seguito alla minaccia di Erode, che costringe i suoi genitori a rifugiarsi in Egitto, dove Gesù rivive il destino del popolo eletto; e infine il ritorno nel paese d’Israele e la scelta di abitare a Nazaret, che giustifica il suo soprannome (anno A). Fin dalla nascita, Gesù si trova sotto il segno della croce. Gli episodi della presentazione di Gesù al tempio (anno B) e del suo ritrovamento a Gerusalemme, durante il suo primo pellegrinaggio pasquale (anno C), sottolineano entrambi la crescita «in sapienza e in grazia» di un bambino dedito alla propria missione fin dalla più giovane età. La sua vocazione, dolorosa e gloriosa insieme, viene annunciata da Luca: Gesù sarà «segno di contraddizione», ma anche luce per i pagani e gloria del suo popolo Israele. Nel tempio, a dodici anni, il bambino vivrà anticipatamente il proprio destino pasquale quando, perduto e ritrovato, verrà scoperto il terzo giorno nella casa del Padre. La santa famiglia non era una famiglia senza problemi. Maria e Giuseppe hanno voluto condividere la condizione di quel figlio sconcertante, seguendolo passo per passo nella rivelazione del suo mistero. Ed è proprio per questa loro disponibilità totale che meritano tutta la nostra ammirazione.
Una disponibilità a cui siamo chiamati anche noi:
Canto all’Evangelo Cf At 16,14
Alleluia, alleluia.
Apri, Signore, il nostro cuore
e accoglieremo le parole del Figlio tuo.
Alleluia.
Il canto all’evangelo che ci invita ad assumere una buona disposizione all’ascolto è liberamente tratto dal libro degli Atti (16,14) che racconta la conversione di una donna facoltosa di nome Lidia, commerciante di porpora, e della sua famiglia. «Il Signore le aprì il cuore» è un’espressione dal richiamo «biblico» innegabile, sebbene l’espressione effettiva compare solo in 2 Mac 1,4: «Vi dia una mente aperta ad intender la sua legge». Luca usa dianoígō per l’apertura degli occhi dei discepoli dopo la risurrezione (Lc 24,33), così come per l’apertura delle Scritture (24,32) e della mente dei discepoli (24,45) da parte di Gesù risorto ai discepoli di Emmaus.
«per aderire alle parole»: Il verbo proséchō («accettare») ha il significato di «essere attratto, dedicarsi, essere impegnato, aderire» a qualcuno oppure a qualcosa; cf i paralleli in At 8,6.10.11, così come 1 Tm 4,13; Eb 2,1; 2 Pt 1,9.
Disponiamoci dunque all’ascolto di questa «Parola» con fede e il Signore aprirà sicuramente il nostro cuore ai tesori della Sua Grazia.
La festa della Santa Famiglia che si celebra nei giorni immediatamente successivi al Natale e, più esattamente, entro la sua ottava, non è dovuta a un accostamento superficiale dell’infanzia di Gesù alla sua nascita, ma risponde a motivazioni molto profonde. La «devozione alla S. Famiglia» è tardiva e, dispiace dirlo, di momenti dottrinali in cui si perdeva di vista il Centro unico; mai dimenticare infatti che se si può fare memoria della «Famiglia di Nazaret», essa non esiste più. Esiste adesso la Famiglia di Dio, che è la Comunità dei salvati, la Sposa del Figlio nello Spirito.
Col mistero della nascita del Signore, secondo un’espressione assai felice dei santi Padri, il cielo s’è unito alla terra e l’umano è divenuto divino. Gesù che ha realizzato nella sua persona quest’unione di Dio con l’uomo, appare come il mediatore di un’alleanza nuova, cioè d’una nuova relazione dell’umanità col suo creatore e restauratore, relazione nella quale tutti gli uomini sono incorporati in una sola famiglia: la famiglia dei figli di Dio, la Chiesa di Cristo.
Spazzata via ogni svenevolezza e cacciate le possibili banalizzazioni, diciamo pure che questa festa fa pensare alla famiglia umana di Gesù ma le letture e le preghiere eucologiche della divina Liturgia ci invitano a vedere in quella famiglia «un vero modello di vita» (cf I Colletta) e la scuola di tutte le virtù domestiche:
O Dio, nostro Padre,
che nella santa Famiglia
ci hai dato un vero modello di vita,
fa’ che nelle nostre famiglie
fioriscano le stesse virtù
e lo stesso amore,
perché, riuniti insieme nella tua casa,
possiamo godere la gioia senza fine.
Per il nostro Signore Gesù Cristo….
La vita familiare, che si svolge sotto lo sguardo di Dio nella fede e nell’amore (cf II Lettura) ha dunque la sua solida base «nell’amicizia e nella pace» (cf preghiera sulle offerte):
Accogli, Signore,
questo sacrificio di salvezza,
e per intercessione della Vergine Madre
e di san Giuseppe,
fa che le nostre famiglie
vivano nella tua amicizia e nella tua pace.
Per Cristo nostro Signore.,.
Le famiglie cristiane così formate sono ora segno di feconda comunione e formano insieme quella «famiglia ecclesiale» che vive nella carità e nel vincolo della perfezione.
Un cammino fecondo quello ora tracciato anche se a tratti duro ed esigente; una scuola umile e sublime che prende il suo inizio con la conoscenza di Cristo e della sua missione salvifica (cf Evangelo). Esiste un criterio supremo che è la volontà salvifica di Dio; quella, è da riconoscere, da rispettare, da eseguire. Volontà difficile e umanamente parlando non logica, ma mai gravosa e con un solo marchio di autenticità: quello pasquale.
La singolare figura di Anna (cf I Lettura) convalida il principio della gratuità e dell’appartenenza a Dio; i doni di Dio sono per tutti e non vanno nascosti ma restituiti a Lui per la salvezza comune. Tutti siamo chiamati ed operiamo nell’universale famiglia che ha Dio per Padre e tutti gli “uomini” come membri (cf II Lettura).
Dall’ Evangelo possiamo appena supporre, ma non immaginare totalmente, i sentimenti di Gesù che, circonciso, è adesso diventato membro a pieno titolo del suo popolo e dell’assemblea cultuale che celebra il Signore. La pericope di oggi è avvolta come da un mistero che chiama ancora studiosi e fedeli a scrutare i suoi versetti: da una parte, infatti, è mostrata la devozione religiosa della famiglia ebraica, obbediente alla Legge santa del Signore, con tutti i suoi puntuali adempimenti, dall’altra rivela anche e soprattutto la funzione singolare, unica, del Figlio di Dio, il quale a sua volta partecipa al culto divino del popolo santo del Signore vivente. Nel tempio, grandioso segno visibile dell’invisibile Presenza divina, si rivela discretamente un contatto diverso, unico, che il Figlio ha con il Padre suo.
Quando Gesù compie i 12 anni, secondo le norme rabbiniche incombe su di lui ogni obbligo dell’ebreo; diventa bar-mitzwah, «figlio del precetto», ossia è considerato adulto a tutti gli effetti ed è tenuto all’osservanza dell’intera Legge di Mosé in ogni sua prescrizione.
Questo fa di lui un membro idoneo a far parte del minjan, dove 10 era il numero minimo di ebrei adulti e circoncisi che possono formare un’assemblea sinagogale liturgicamente valida.
Esaminiamo il brano
vv. 41-42 – «si recavano a gerusalemme»: Da ebrei pii ed osservanti i genitori di Gesù compiono quanto detta la Legge. Come prescrive l’antico calendario di Es 23,14-17 anche Gesù è dunque sottoposto all’obbligo delle «3 volte» l’anno in cui ogni maschio ebreo doveva «salire a Gerusalemme» per le tre feste principali.
L’obbligo era posto sul maschio ebreo, ma questi era inseparabile dalla sua famiglia, che così, in un certo senso, era computata come parte solidale di lui per ogni adempimento della Legge.
v. 43 – «rimase a Gerusalemme»: Completatosi questo spazio gioioso, mentre i Genitori si avviano al ritorno a Nazaret «Gesù, il ragazzo» resta a Gerusalemme.
Se accettiamo come indicazione, sia pure in forma interrogativa, la risposta di Gesù alla Madre sua (cf v. 49), il “rimanere indietro è volontario e non dovuto a smarrimento. Facilmente si incorre in questo equivoco durante la confusione di feste, di carovane e di gite ma Gesù se ne stava nel tempio, dove avrebbe potuto essere avvertito della partenza.
v. 44 – «credendolo nella carovana»: qui si intende il lungo codazzo con cui si snoda la carovana, per gruppi di famiglie e di villaggi, su una lunghezza che può raggiungere anche qualche chilometro.
«fecero una giornata di viaggio»: non è da prendere nel senso di un giorno intero. Il primo giorno infatti si camminava solo per qualche ora, poiché tutti lasciavano senza fretta e non volentieri la città santa. Il breve cammino serviva più che altro per sgrossare i grandi raggruppamenti alla prima tappa. La tradizione indica il possibile luogo in El-Bireh (il pozzo) a circa tre ore di cammino da Gerusalemme oppure potrebbe essere anche Gibna, a quattro ore e mezza.
v. 45 – «tornarono a Gerusalemme»: certamente non la stessa sera, sia perché non era costume viaggiare di notte da soli e siccome il fanciullo poteva essersi fermato in un punto qualsiasi del tragitto, presso amici, non era possibile andare di notte a cercarlo nelle varie abitazioni.
v. 46 – «dopo tre giorni»: Comincia ora il culmine dell’episodio: i Genitori di Gesù, avendolo cercato presso parenti e conoscenti lo trovano dopo tre giorni nel tempio.
Contando come primo giorno quello della partenza che abbiano impiegato un giorno intero per cercarlo nei luoghi possibili, cioè tra parenti ed amici, può sembrare troppo. Se teniamo presenti i costumi orientali, ci rendiamo conto che non si poteva entrare in una casa, chiedere se c’era Gesù e, avutane risposta negativa, andarsene alla svelta. Anche in queste occasioni c’è un minimo di cerimoniale, al quale non si può venir meno senza fare grave torto alle persone. E il tempo vola…
In modo assai discreto il vocabolario qui allude anche alla Resurrezione dopo tre giorni, quando Gesù è trovato dalle donne fedeli.
Gesù, il Tempio nuovo, la divina Sapienza eterna disceso tra gli uomini si trova «in mezzo ai maestri», i dottori della Legge, li ascolta e li interroga.
«nel tempio, seduto»: il verbo greco kathézomai, stare seduto in luogo visibile richiama quello del maestro in cattedra (vedi[1] Mt 26,55).
«in mezzo ai dottori»: Gesù si trova tra i didáskalos, i dottori della Legge. I rabbini approfittavano dei grandi concorsi di folla durante le solennità per impartire i loro insegnamenti, in stanze e sotto i portici vicino al Tempio. Essi sedevano su sgabelli, mentre i loro uditori si accoccolavano per terra, su stuoie. L’insegnamento si svolgeva secondo lo stile orientale, per domande e risposte, fatte sia dal maestro che dagli improvvisati alunni. Qui però Luca dice chiaramente che Gesù non era in mezzo ad alunni che ascoltavano un maestro, ma in un gruppo di maestri che discutevano fra loro.
L’episodio rinvia a Lc 5,17, dove si ripete la scena[2]: ritroviamo l’allusione temporale (un giorno); Gesù che seduto insegna (didáskōn) e tutti (farisei e dottori della Legge venuti dalla Galilea, Giudea e Gerusalemme), tutti seduti (kathḗmenoi) ad ascoltare.
v. 47 – «tutti… erano pieni di stupore»: Luca riporta la reazione dei presenti che ascoltavano; tutti, e non solo i dottori, erano meravigliati per due fatti:
- la sua intelligenza della Legge santa
- e le sue sapienti risposte ai problemi che poneva la Legge e ai quesiti che a Lui erano posti sulla Legge medesima.
Già da adesso la dottrina del Signore e suscita “meraviglia”, in seguito questo risulterà anche da altri contesti evangelici: ad es. in Mt 7,28-29, al termine del «discorso della montagna» (ci anche Gv 7,14b-15, episodio da collegare con questo v. 47).
Lo stesso verbo (exístēmi) lo troviamo anche nell’episodio dei discepoli di Emmaus che raccontano la sorpresa che aveva suscitato la notizia della resurrezione portata dalle donne al gruppo di discepoli[3].
v. 48 – Anche i genitori si meravigliano della scena, che il loro Ragazzo sia oggetto dell’ammirazione di tutti.
«tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo»: È l’unica volta in cui Maria confessa di soffrire, ma lo fa quasi solo perché può ripararsi dietro Giuseppe. Sono ancora increduli di averlo finalmente ritrovato (cf lettura patristica di Origene).
vv. 49 – 50 – «Egli rispose»: La risposta di Gesù alla domanda della Madre è pacifica, ovvia, suona come una calma spiegazione più che come una giustificazione o reazione verso la Madre. Egli si rivolge alla sensibilità e alla comprensione di ambedue i Genitori per «la Realtà di Dio» che ormai dovranno scoprire nel loro ragazzo.
Comprendiamo tutti che sia i Genitori, come pure i discepoli, non possono avere di colpo, per improvvisa illuminazione, la visione chiara del Mistero del loro Figlio e Maestro. Occorrerà ancora procedere a lungo e fedelmente con Lui, fino al compimento, la visione della Croce.
In un testo analogo, Gesù dirà ai discepoli: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34).
Dal santuario parte il culto che ha il suo culmine indicibile nella Croce e tutto questo sta al di là dell’immediata comprensione umana e infatti i Genitori «non compresero la parola che parlò a essi».
«le sue parole»: Qui sta un termine ebraico, dabar, reso in greco con tò rhḗma, al singolare «la parola», che indica insieme fatto, opera, avvenimento (cf Lc 1,37: «infatti presso Dio non è impossibile nessuna parola»).
v. 51 – «serbava… nel suo cuore»: Tuttavia la Madre «custodiva tutte queste parole nel cuore suo» e qui ritroviamo tà rhḗmata al plurale, parole e fatti (v. 51b, che richiama direttamente 2,19).
Il verbo diatēréō indica una cura amorosa e attenta nel conservare ciò che si ritiene degno. Il tempo imperfetto poi descrive un’azione del passato non ancora finita “imperfetta” appunto.
Ancora una volta il cuore verginale della Madre è l’Archivio vivente e prezioso delle realtà del Figlio e non è ardito pensare che esse furono poi comunicate ai discepoli dopo la Pentecoste. La Chiesa ancora oggi conserva queste parole, nel suo cuore attento e premuroso come quello della Madre di Dio, Maria, e le comunica di continuo ai suoi figli che genera alla fede nel battesimo e li nutre alla mensa della Divina Liturgia:
Antifona dopo la Comunione
Padre misericordioso,
che ci hai nutriti alla tua mensa,
donaci di seguire gli esempi della santa Famiglia,
perché dopo le prove di questa vita
siamo associati alla sua gloria in cielo.
Per Cristo nostro Signore.
Tutta questa benevolenza divina ritorna ancora nella nostra vita, nelle nostre famiglie per quella divinizzazione che ci vuole con “ostinazione divina” tutti avvolti dalla sua misericordia e nel suo regno glorioso:
II Colletta:
O Dio, nostro creatore e Padre,
tu hai voluto che il tuo Figlio,
generato prima dell’aurora del mondo,
divenisse membro dell’umana famiglia;
ravviva in noi la venerazione per il dono
e il mistero della vita,
perché i genitori si sentano partecipi
della fecondità del tuo amore,
e i figli crescano in sapienza, età e grazia,
rendendo lode al tuo santo nome.
Per il nostro Signore Gesù Cristo,..
[1] Mt 26,55: In quello stesso momento Gesù disse alla folla: “Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato.
[2] Lc 5,17: Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni.
[3] Lc 24,22-23: Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.