Lectio Divina di domenica 23 aprile 2017, Seconda domenica dopo Pasqua dell’anno A, a cura della Comunità monastica di Pulsano.
Domenica di «S. Tommaso» II di Pasqua A
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Il tempo pasquale è tempo privilegiato per l’esperienza della fede.
Siamo ad otto giorni dalla pasqua e Gesù risorto appare in mezzo ai suoi, riuniti nel cenacolo. Dopo altri otto giorni egli apparirà ancora. Questo fatto non è privo di significato e per la Chiesa è stato indicativo dell’importanza della domenica come giorno della pasqua e dell’assemblea.
Ogni volta che la Chiesa si riunisce, Gesù risorto è in mezzo ai suoi, secondo la sua esplicita promessa, per comunicare loro il dono del suo Spirito e per portarli ad una visione di fede.
La nostra assemblea non differisce da quella degli apostoli nel cenacolo; è anch’essa un’assemblea di fede. Anche noi siamo chiamati a credere, anzi «a credere senza vedere», cioè a saper cogliere i segni della presenza del Signore attraverso la vita della chiesa e i sacramenti. Gesù risorto non è conoscibile secondo la carne, cioè coi soli mezzi umani, come esigeva l’apostolo Tommaso, ma col dono della fede.
Con questa luce comprenderemo l’inestimabile ricchezza del battesimo che ci ha purificati dal peccato, del dono dello Spirito santo che ci ha rigenerati alla nuova vita divina, del sangue di Cristo versato per la nostra redenzione (Colletta).
Poiché i sacramenti pasquali del battesimo e dell’eucaristia ci hanno inseriti nel dinamismo della pasqua di Cristo, dobbiamo esprimere con la vita quanto abbiamo ricevuto mediante la fede.
L’azione di Cristo attraverso i sacramenti esige sempre la risposta della vita. In questo senso ogni singolo e la comunità cristiana possono essere «sacramento di Gesù risorto», cioè segno che deve lasciar trasparire che siamo stati riscattati da una vita vissuta egoisticamente per noi, per passare ad una vita vissuta per gli altri con lo stesso amore di Cristo. «Noi sappiamo — dice s. Giovanni — di essere passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli» (1 Gv. 3, 14).
Questo significa aver fatto pasqua.
Antifona d’Ingresso 1 Pt 2,2
Come bambini appena nati,
bramate il puro latte spirituale,
che vi faccia crescere verso la salvezza. Alleluia.
L’Iniziazione della Notte santa è l’insistenza di questo tempo, e ciò sia per i neo-battezzati, sia per i fedeli veterani. Nell’antifona d’ingresso l’Apostolo Pietro esorta i suoi fedeli a restare nell’innocenza battesimale, a cercare il Cibo dello Spirito Santo, «il latte razionale», terminologia del Logos, il Verbo, e quindi anche dello Spirito Santo, e a crescere senza limiti verso la salvezza.
Anche nella I colletta l’Iniziazione ha un posto di rilievo nell’anamnesi della fede. Segue poi un’epiclesi per ottenere in aumento la Grazia divina, Grazia sapienziale che sola ci porta a comprendere a vivere l’immenso Dono divino dell’iniziazione, dello Spirito Santo e edel Sangue prezioso del Signore Risorto.
I Colletta
Dio di eterna misericordia,
che nella ricorrenza pasquale
ravvivi la fede del tuo popolo,
accresci in noi la grazia
che ci hai dato,
perché tutti comprendiamo
l’inestimabile ricchezza del Battesimo
che ci ha purificati,
dello Spirito che ci ha rigenerati,
del Sangue che ci ha redenti.
Per il nostro Signore…
Canto all’Evangelo Gv 20,29
Alleluia, alleluia.
Perché mi hai veduto, Tommaso, tu hai creduto;
beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!
Alleluia.
Nel canto all’evangelo il v. 29 è desunto dalla pericope evangelica. L’accento è posto sui discepoli futuri, la cui fede non pone la condizione di vedere e provare, come i discepoli di allora.
Con la Dom. di Pasqua, Risurrezione del Signore, si apre un periodo festivo che dura 50 giorni: il tempo di Pasqua. Il tempo pasquale è un tempo forte dell’anno liturgico, importante come la quaresima, che supera non solo nella durata, ma anche nel simbolismo. Il numero 40 indica il tempo della prova, dell’attesa, mentre il numero 50 (7 x 7 = 49 + 1; dove il 7 indica la completezza, la pienezza) è l’eternità, la perfezione della meta. Il tempo di Pasqua è il tempo liturgico dedicato allo Spirito Santo.
Da questo momento, lo Spirito agisce personalmente nella vita di tutta la Chiesa e di ciascuno dei credenti e agisce in mille modi. Il tempo pasquale si presenta come il periodo simbolico per eccellenza della tappa attuale della storia della salvezza, quella che appartiene alla Chiesa e allo Spirito Santo.
La riforma liturgica ha restituito a questo tempo la dignità e continuità primitiva: «I 50 giorni che si succedono dalla dom. di Risurrezione alla dom. di Pentecoste si celebrano come un sol giorno di festa, anzi come “la grande domenica”» (S. Atanasio). Per questo le 8 domeniche (sino a Pentecoste) non si chiamano più come nel messale precedente Dom. I, II, … dopo Pasqua, bensì Dom di Pasqua.
I testi biblici sono d’una ricchezza e d’una tale varietà, che è impossibile toccare tutti i contenuti; tracceremo perciò soltanto uno schema, rinviando il resto alla riflessione e alla sensibilità di ciascuno di noi.
La II dom. di Pasqua è l’antica dom. detta “In deponendis albis”. per il fatto che coloro i quali erano stati battezzati nella veglia pasquale, deponevano i loro vestiti bianchi quando si concludeva la settimana della loro iniziazione sacramentale. Diventavano così fedeli a tutti gli effetti. L’evangelo è identico nei tre anni A. B e C.
Anche per l’Oriente la figura dell’apostolo riveste una grande importanza tanto da meritare componimenti raffinati sia per gusto artistico che per tenore teologico. La liturgia delle Chiese orientali titola infatti con il nome dell’apostolo la seconda Dom. di Pasqua:
1. Domenica dell’Antipascha o la Psêláphêsis del S. Apostolo Tommaso. La singolare importanza di questa Domenica si rileva anche dai suoi nomi. Antipáscha infatti significa che esprime in qualche modo eguaglianza e somiglianza con la Domenica della Resurrezione. In essa avvenne infatti la Psêláphêsis dell’Apostolo Tommaso, in cui si afferma per sempre la fede nel “Signore e Dio” Risorto.
2. Si dice anche “Domenica delle porte chiuse” per indicare l’irresistibile Venuta del Risorto ai suoi
3. e da qualcuno si chiama infine “Domenica del rinnovamento”, come quella che chiude la gloriosa settimana che segue la Resurrezione.
La contiguità funzionale di questa Domenica con quella di Pasqua ha certamente un aggancio nella celebrazione solenne del “Vespro dell’agape” alla sera della Resurrezione dove l’Evangelo, ripetuto in varie lingue, narrava la venuta del Risorto ai discepoli chiusi dentro il cenacolo e il dono della Pace e dello Spirito Santo, con l’invio a portare la remissione dei peccati al mondo (Gv 20,19-23), e la dura presa di posizione di Tommaso, disposto a credere solo a condizione che il Signore venga da lui per farsi “palpare” (Psêlápháô, verbo però non usato da Giovanni), nulla contando la testimonianza dei Dieci Apostoli (Gv 20,24-25). Il Signore per solo amore di Tommaso sottostà a queste condizioni, perchè ha bisogno della fede anche dell’incredulo Tommaso reso poi fedele e credente.
II tema dominante di questa Domenica è dunque la fede nei segni della Risurrezione. L’incredulo Tommaso dovette «vedere» per credere; i cristiani che verranno dopo credono senza aver visto, sebbene Cristo si accosti a loro con segni diversi della sua presenza gloriosa. Non con segni fisici e corporali.
I segni con cui si manifesta sono i sacramenti: l’Eucaristia, il Battesimo, ecc. questi sacramenti pasquali, non dimentichiamoli, sono segni della fede.
Nel gruppo delle letture la preponderanza dei libri del NT appare al primo colpo d’occhio.
II libro degli Atti ha lo scopo di far vedere nei tre anni, in una maniera parallela e progressiva, le prospettive di vita e la testimonianza della Chiesa primitiva. La selezione, quindi, permette di rivedere i passi più significativi del libro, ma in modo che la tematica di ciascuna delle Domeniche sia parallela a quella della stessa Domenica degli altri due anni.
Ecco i temi che comprendono le letture degli Atti nel corso delle Domeniche:
- II Dom. di Pasqua: Sommari della vita della comunità.
- III Dom. di Pasqua: Discorsi missionari di S. Pietro.
- IV Dom. di Pasqua: Discorsi di Pietro e Paolo.
- V Dom. di Pasqua: I ministeri nella Chiesa.
- VI Dom. di Pasqua: Manifestazioni dello Spirito Santo.
- VII Dom. di Pasqua: Nell’attesa dello Spirito.
Per la seconda lettura sono stati scelti tre libri del N.T.:
1. nell’anno A si legge la prima lettera di S. Pietro, di evidente contenuto battesimale;
2. nell’anno B si legge la prima lettera di S. Giovanni, che parla della fede e dell’amore come conseguenza del riconoscimento della manifestazione del Verbo eterno di Dio nell’uomo Gesù;
3. nell’anno C si legge l’Apocalisse, coi suoi bellissimi temi dell’Agnello assiso sul trono e delle nozze di Cristo con la Chiesa. Libro poco usato nella liturgia e poco commentato anche dai Padri della chiesa è il libro della storia della Chiesa, vista nella storia di salvezza universale; a torto è considerato misterioso e cabalistico.
Le letture di ogni Dom. sono in armonia fra loro intorno a determinati aspetti del mistero pasquale:
- II. Dom. di Pasqua: La fede in Gesù risuscitato.
- III. Dom. di Pasqua: Apparizioni.
- IV. Dom. di Pasqua: Il Buon Pastore.
- V. Dom. di Pasqua: Annunzio della dipartita e del ritorno.
- VI. Dom. di Pasqua: Promesse dello Spirito Santo.
- VII. Dom. di Pasqua: Assenza che è presenza.
Questi sono i grandi temi che orientano la celebrazione delle Dom. di Pasqua; ognuna di esse suppone un passo in più e un aspetto diverso dell’unico mistero pasquale di Cristo, che risuscita, si manifesta, è pastore della Chiesa, sale al cielo, ma resta coi suoi per mezzo dello Spirito Santo promesso e inviato.
I lettura: At 2,42-47
Mentre per 50 giorni ininterrotti la Chiesa e le Chiese celebrano Cristo Risorto che dona in modo perenne il suo Spirito Santo, lo sguardo è come attratto dalla Comunità primitiva, la prima recettrice del «Dono del Padre», lo Spirito Santo che crea la Chiesa. Il testo di oggi è di singolare importanza per comprendere alcuni dei principali effetti che provoca lo Spirito Santo in chi Lo riceve. Luca offre qui come uno spaccato della vita della Comunità apostolica, in uno dei tratti che la critica usa chiamare “sommari”, una sintesi di come viveva la Chiesa, di quale coscienza avesse al suo sorgere. I sommari costellano la prima parte degli Atti, in posizione strategica, ossia, per così dire, nei momenti d’avanzamento della Comunità. Se ne possono indicare alcuni: 1,14; 2,1; 2,41-47, in pratica il testo di oggi; 4,4; 4,32-34; 5,1246; 6,7; 9,31; 11,21; 12,24. Testi preziosi, che dovrebbero servire meglio oggi per fondare l’ecclesiologia di comunione, e per controllare le teorie e ipotesi di studio.
La pericope dei vv. 42-47 si trova in situazione strategica singolare, giungendo a concludere il capitolo fatidico della Pentecoste, che le fa da contesto. Dopo l’evento trinitario fondamentale dello Spirito Santo del Padre e del Figlio, «la Pentecoste» (2,1-13), segue la prima predicazione pubblica della Comunità adesso nata, da parte degli Apostoli ma per bocca di Pietro. E una sintesi mirabile del kèrygma della Chiesa, l’annuncio iniziale ed essenziale, incentrato su Cristo Risorto che dona lo Spirito Santo (2,14-36). In questo Tempo, tale grande discorso è distribuito così: anzitutto mancano nel Lezionario domenicale e festivo i vv. 15-21 e 34-35; i vv. 14,22-33 si leggono alla Domenica III di questo Tempo; i vv. 14a.36-41 alla Domenica IV, e contengono le reazioni salutari dei primi ascoltatori della mattina di Pentecoste.
Già fortificati dalla Parola potente del Risorto (Lc 24,29), i discepoli stavano sempre insieme (At 1,4.14), soprattutto nella preghiera prima di ricevere lo Spirito Santo. Dopo questo Dono divino, la loro unità è ancora più rafforzata, come non si stancheranno di esortare gli Apostoli (Eb 10,23). Il primo elemento di coesione è sempre la Parola divina, che li rende assidui (proskarteréô) alla «didachê tôn Apostólôn, la dottrina degli Apostoli», l’insegnamento affidato a essi dal Signore già nella sua Vita terrena, e che nella Chiesa deve essere l’anima di qualunque riflessione e speranza; con quel nome sarà intitolato qualche anno dopo il celebre scritto noto come Didaché, e che riporta preziosi elementi della più alta antichità ebraica e cristiana. Gli altri due elementi sono lo «spezzare il Pane» (qui, anche v. 46; e 20,7, di Domenica!), termine tecnico, anche se perdutosi, per indicare la celebrazione della Cena del Signore. Lo aveva insegnato il Signore stesso, sia quando aveva moltiplicato i pani e pesci (Mt 14,19), sia alla Cena (Mt 26,26), sia a Emmaus (Lc 24,30), gesto tanto fatidico da rendere il Signore riconoscibile ai due discepoli (Lc 24,35). Il gesto in sé spetta al capo di famiglia, e già per questo è altamente simbolico. Esso indica l’unità, significata dal pane unico, moltiplicato per così dire nei partecipanti che ne ricevono il pezzo dalle mani del padre, e mangiandone sono ancora più stretti all’unità. Lo spiega Paolo nella sua dottrina della partecipazione al Corpo del Signore (1 Cor 10,16-17). Ma la dottrina degli Apostoli e la celebrazione della Cena nel Segno del Pane (e della Coppa, 1 Cor 12,13), sono come vivificate dalle preghiere (v. 42). Con questo termine globale, che viene dall’A. T., si intende sia la vita di preghiera intensa e ininterrotta della Comunità, sia «la Preghiera» tipica, con i Salmi e il «Padre nostro», ossia la preghiera eucaristica. Così si avrebbero i 3 elementi della celebrazione del Signore Risorto: la Liturgia della Parola, la Prece eucaristica e la comunione, che sono fissate per sempre dalla Tradizione delle Chiese fino a oggi.
Un primo effetto che questa Comunità visibile esercita «su ogni anima» è il santo timore del Signore, la consapevolezza che “lì”, in essi, sta presente lo Spirito messianico del Signore, atteso, operatore con il suo Re Unto, di «prodigi e segni». E questo avviene per mano degli Apostoli (v. 43). Si realizza così in potenza la promessa del Signore Risorto, che invia i suoi discepoli ad annunciare l’Evangelo «all’intera creazione», a ogni anima (Mc 16,15), e dando a essi la facoltà a di essere accompagnati da grandi segni (Mc 16,17-18). Non solo, ma mentre i discepoli eseguono la missione del loro Signore glorioso, questi stesso collabora con essi, e «conferma la loro Parola con i segni che seguono» (Mc 16,20). Così, come è regola nella Rivelazione biblica, la Parola ascoltata è connessa e confermata dalla visione dei segni operati nella Potenza dello Spirito Santo (v. 43).
Prosegue il sommario sulla Comunità primitiva. Anzitutto è evidenziata l’unità, i credenti, ossia gli Apostoli e i primi battezzati, «stavano insieme», formavano un gruppo compatto nella fede e nelle decisioni operative, non solo, ma possedevano tutto in comune, come sarà ripetuto diverse altre volte (4,22.34.35). Si tratta di esperimenti di comunismo», come l’antichità vide diverse volte, e codificò ad esempio con Platone, e come la storia annota fino a oggi di tali esperimenti, gli entusiasmi ardenti dell’inizio e i tristi fallimenti della fine, quasi sempre rovinosa? No. Quelle esperienze contavano sull’ingenua «solidarietà umana», senza mai fare i conti con la «legge del peccato», che è scisma ed egoismo irreprimibili, che prima o poi riemergono. Qui invece insorge il principale motivo della storia della salvezza, la «legge della carità» (v. 44). In realtà l’annotazione qui laconica di Luca sarà spiegata a lungo da Paolo, quando ricorderà alle sue Comunità e soprattutto ai benestanti delle medesime, che questa messa in comune dei beni è «opera della carità» (2 Cor 8,6.7.19), è «opera di bontà» (2 Cor 9,8), è una vera «liturgia e diaconia» (2 Cor 9,12) che provoca azioni di grazie al Signore. La partenza è proprio il Signore, «che pur essendo ricco, si fece povero per voi, per arricchire voi con la sua povertà» (2 Cor 8,9). E poiché «Dio ama il donatore gioioso» (2 Cor 9,7, che cita Pr 22,8), avverrà che i poveri, nel caso concreto, le Comunità apostoliche povere per definizione, già arricchirono i ricchi con i doni spirituali, e quindi i ricchi adesso dovrebbero dimostrare la loro gratitudine ponendo a disposizione i loro beni, in modo che la ricomunicazione con i poveri sia completa. È abolita la barriera più ostinata della divisione tra gli uomini, i beni materiali (2 Cor 9,12-15).
Il v. 45 prosegue mostrando come questo avveniva. I fedeli si vendevano i beni (ktêmata, può significare terreni e anche animali) e le sostanze, e donavano il ricavato a tutti secondo le necessità di ciascuno. Questo è il preciso comandamento del Signore, dettato nell’incontro difficile con il misterioso «giovane ricco», uomo dalla vita spirituale in apparenza sana. Significativamente il Signore l’avverte che gli manca «l’unico», la realtà più importante, e l’investe con la raffica di 6 imperativi: va’, vendi tutto, dona ai poveri, vieni, seguimi, accetta la Croce (Mc 10,17-22, spec. v. 21; Mt 19,21, testo molto meno duro).
In conclusione, la prima preoccupazione della Comunità apostolica sono i poveri, che sono presi a carico, e diventano «i suoi» poveri.
Il sommario prosegue. I fedeli giorno per giorno «erano perseveranti unanimemente» (espressione ripresa da 1,14, il verbo dal v. 42; l’avverbio homothymadón alla lettera significa «eguale respiro»). Il luogo visibile di questo stare uniti insieme è il tempio (v. 46a). Ed il motivo è chiaro, nel tempio si procedeva al sacrificio e alla preghiera del mattino e della sera, con la lettura delle Scritture e il canto dei Salmi, e le benedizioni al Signore. La Chiesa apostolica sa bene di essere anch’essa l’Israele di Dio, non un «nuovo Israele», che di fatto è rovinosamente inteso come un «altro Israele», come se il Signore potesse avere due Disegni e crearsi due popoli differenti. Il culto dell’unico Israele è ancora unito, verrà poi il momento tragico della divisione, di due assemblee liturgiche dell’unico popolo di Dio fino a oggi.
Ma il culto della Comunità è più complesso e differenziato. Esso prosegue casa per casa dei fedeli con la «frazione del pane» (v. 42), che fa di essi «l’unico Pane» (1 Cor 10,16-17). Poi termina con un altro atto cultuale tipico, il «mangiare insieme», che comincia con la benedizione al Signore, e termina con un’altra benedizione per significare che è tutta liturgia. Questo avviene «con gioia e semplicità di cuore» (anche 16,34), la gioia promessa dal Signore dopo la sua Gloria (Gv 16,22) e adesso inaugurata dal Regno venuto, il Convito. Luca, discepolo di Paolo, pone in rilievo la semplicità del cuore. Paolo ne parla proprio a proposito delle «collette per i poveri», nei testi visti appena qui sopra. Le Chiese di Macedonia, anche se composte in fondo di poveri, tuttavia si sono quotate generosamente «con gioia e semplicità» per sovvenire i poveri di Gerusalemme (2 Cor 8,2), e anche i Corinzi, se faranno il medesimo, si arricchiranno «abbondando di tutta la semplicità», e chi fa la carità glorifica Dio per l’obbedienza all’Evangelo e per la semplicità con cui spartisce i beni con i poveri (2 Cor 9,11 e 13). La semplicità in realtà è dote eminente di Cristo stesso (2 Cor 11,3). Per cui si aborre ogni sfarzo, ogni ostentazione, ogni successo esterno. È un discorso a cui i cristiani dovrebbero essere richiamati sempre (v. 46).
Il sigillo del sommario che adesso termina è la lode continua a Dio, la vita diventata una liturgia laudativa, che nella sorpresa rinnovata, nella gioia, contempla Lui, i suoi titoli, le sue opere sempre mirabili, e sale all’unione personale; nella lode scompare ogni egoismo, anche il ringraziamento per i benefici ricevuti, e si tende solo a «Lui perché è Lui». La Comunità è visibile, ma non ostenta in nulla le sue qualità. La sua visibilità operante le procura la grazia, il favore permanente presso «l’intero popolo», come avverrà ancora (4,21; 5,13). E questo non è altro che la migliore presentazione. Si aprono le vie per la diffusione dell’Evangelo. E di fatto il Signore, che qui è sia il Padre, sia il Risorto, operava il prodigio ultimo, di accrescere come comunione (epì tó autò, sul medesimo [fatto]) i salvati, giorno per giorno (v. 47). Il movimento irresistibile è cominciato con il battesimo (v. 41). Proseguirà ancora (5,14, 11,24, etc).
Evangelo
Una rapida lettura del contesto della pericope evangelica fa subito risaltare come il c. 20 ruoti attorno alle apparizioni di Gesù risorto a Maria Maddalena e a Tommaso.
Mentre gli eventi che hanno come protagonista questa discepola, si verificano il mattino di pasqua, le apparizioni ai discepoli avvengono la sera di questo giorno e una settimana dopo.
Dal punto di vista topografico rileviamo che gli eventi della prima sezione (Gv 20,1-18) si verificano presso la tomba di Gesù o hanno per oggetto questo sepolcro; invece nella seconda parte (Gv 20,19-29) ci troviamo nel cenacolo.
Il nostro brano è incentrato nella figura di Tommaso: dopo la descrizione della prima apparizione del risorto ai discepoli è riportata la reazione negativa di questo apostolo all’annuncio strabiliante della risurrezione del Maestro.
Nel brano finale è narrata la seconda apparizione di Gesù ai discepoli, presente Tommaso, con il quale il risorto dialoga, per proclamare beati coloro che credono senza aver visto. L’unità dell’intero capitolo è data dalla presenza di Gesù: il Risorto appare a Maria Maddalena e poi al gruppo dei discepoli. L’evangelista, prendendo lo spunto dalle ultime espressioni del Risorto a Tommaso, conclude l’evangelo, dichiarando che lo scopo della sua opera è suscitare la fede nella messianicità e nella divinità di Gesù.
Le scene descritte in Gv 20 appaiono nella loro originalità drammatica, propria del 4° evangelista: gli incontri di Gesù con Maria Maddalena e con Tommaso sono creazioni letterarie di un artista molto fine.
Anche qui però il 4° evangelista non inventa, ma tramanda notizie redazionali riscontrabili negli altri scritti del NT; lo scrittore sacro rielabora questi dati storici, presentandoli in modo personale.
In Gv 20 sono riportati tre fatti fondamentali:
- la constatazione del sepolcro vuoto da parte di Maria Maddalena e di alcuni discepoli;
- l’apparizione del Cristo risorto a questa donna;
- le apparizioni di Gesù ai discepoli.
Questo triplice elemento è tramandato anche dai sinottici.
Esaminiamo il brano
v. 19: È la sera di “quel giorno”, il 1° della settimana che apre il tempo nuovo di Dio. I discepoli sono spaventati, quasi ossessionati dalla paura dei Giudei e Gv annota come le porte siano chiuse. Lc 24,36-49 è molto vicino al racconto di Giovanni.
I discepoli spaventati sono rassicurati da Gesù; non come un tempo «Sono io» (Gv 6,20), perché la sua presenza è ormai di un altro ordine, ma «Pace a voi» che non si tratta del consueto saluto ebraico (cf. Gdc 6,23; 19,20; Lc 10,5), ma è l’adempimento della promessa fatta all’ultima cena (cf. Gv 14,27).
È la pace che li renderà capaci di superare lo scandalo della croce e ottenere la liberazione nella loro vita.
Il saluto è ripetuto due volte.
v.20 : «Mostrò loro…»: Giovanni sottolinea con forza che il Cristo che appare e che sta in mezzo ai discepoli è un essere reale, è lo stesso Gesù appeso sulla croce, per questo mostra i segni del suo martirio. Giovanni è il solo a dare rilievo alla piaga del costato; già nella crocifissione l’aveva menzionata come densa di significato per il sangue e acqua che ne uscirono (Gv 19,34-35). Luca non parla di costato perché nel racconto della passione questo episodio non è citato.
Ma con tutto questo, fra il modo di essere del Gesù di prima e del Cristo di ora, c’è una profonda differenza: egli entra improvvisamente, a porte chiuse.
L’umanità del Cristo è stata trasfigurata radicalmente, per cui non appare più soggetta alle leggi fìsiche; perciò il Risorto può penetrare in ambienti chiusi, a porte serrate, comparendo ai discepoli come d’incanto (vv. 19 e 26).
vv.21-23: Questi versetti ci mostrano il compimento di altre due promesse:
- la missione;
- il dono dello Spirito.
Gesù manda i discepoli e non si precisa dove e a chi sono mandati.
Mt 28,18 dice a «tutti i popoli»; Mc 16,15 parla di «estremità della terra».
L’indeterminazione che c’è nel testo di Giovanni è più eloquente, è di un’apertura senza confini.
Il quarto evangelo non si dilunga nel descrivere la missione, nè indica l’aspetto centrale: il perdono dei peccati. Tutto è detto in quel «come il Padre ha mandato me». È un invito a rileggere i numerosi passi dell’evangelo in cui è descritta la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre (3,17.34; 5;36.38; 6,57;…).
Gesù «alitò su di loro»: è solo di Giovanni in Luca è una promessa che si verificherà a Pentecoste (At 2,1-4).
Il gesto è un simbolismo conosciuto nell’antico Testamento ed esprime l’idea di una creazione rinnovata. Gen 2,7 creazione di Adamo; vedi anche la grande visione di Ezechiele (37,9).
Soltanto lo Spirito di Dio è capace di ricreare l’uomo e strapparlo al peccato (Ez 36,26-27; Sal 50,12-13; 1 Re 17,21).
Lo Spirito è il dono del Cristo, viene dal «soffio» del Cristo Risorto; in ebraico il termine «spirito» e «soffio» coincidono, ricordiamo Gv 19,30.
La missione, il dono dello Spirito, il potere di rimettere i peccati sono dati all’intera comunità, che però si esprime attraverso coloro che detengono il ministero apostolico.
vv.24-25: Siamo davanti alla prima testimonianza ecclesiale e al suo primo insuccesso; Tommaso non crede (per conoscere la personalità di questo apostolo si legga 14,5; 11,16), questo apostolo è un uomo concreto che vuol vedere con i suoi occhi e toccare con le proprie mani.
Il dubbio dei discepoli in Giovanni è affrontato nella cruda realtà, mentre in Mt 28,16-20 e Lc 24,34-43 è affrontato in maniera solo enunciata ed anonima.
«uno dei dodici»: Nel 4° evangelo, come presso i sinottici, i «dodici» indicano gli apostoli. Il brano della vocazione di questi discepoli più intimi appare significativo: dal gruppo dei suoi seguaci il Maestro ne sceglie dodici per inviarli a proclamare l’evangelo (Mc 3,13ss e par.).
Anche in Giovanni troviamo una netta distinzione tra i discepoli in genere e il gruppo dei «dodici»: il brano che descrive la defezione dei primi e l’adesione dei secondi a Gesù, è molto chiara in merito (Gv 6,66ss).
Ora, in Gv 20,24 siamo informati che Tommaso era uno dei «dodici» cioè uno dei dodici apostoli; questo è l’unico passo di Gv 20, nel quale si fa riferimento al gruppo dei «dodici»; nei restanti versetti si parla sempre dei discepoli (cf. Gv 20,18ss.25s), perciò si tratta di tutti i seguaci di Gesù presenti nel cenacolo e non dei soli apostoli, anche se i «dodici» occupano un posto di preminenza. In base a questo dato esegetico si deve concludere che non solo i dodici apostoli, ma tutta la comunità dei discepoli ricevette il dono dello Spirito, per essere abilitata alla missione. In realtà, come abbiamo or ora costatato, lo Spirito Santo crea il nuovo popolo di Dio, formato non di soli apostoli, ma di tutti i seguaci del Cristo.
vv. 26-27: «Otto giorni dopo…»: Il rituale è lo stesso della prima apparizione, Gesù è sempre lui. Senza attendere risposte và da Tommaso e gli fa constatare la sua identità, calma le sue apprensioni e lo invita a non comportarsi da incredulo. Lo chiama ad approfondire la sua fede di prima, a rafforzarla, a farla crescere. Egli non deve limitarsi alla fede nel messia deve credere al Figlio dell’uomo glorificato nella sua morte.
Antifona alla Comunione Cf Gv 20,27
«Accosta la tua mano, tocca le cicatrici dei chiodi
e non essere incredulo, ma credente». Alleluia.
L’invito del Signore a Tommaso è «per i fedeli oggi qui». Essi stesero la mano supplichevole. Dal «luogo dei chiodi» hanno ricevuto il Dono dello Spirito Santo nella Parola e nella Mensa. E, non increduli ma credenti, e riuniti dallo Spirito Santo nel Cenacolo divino che è la Chiesa, sono saziati dall’esuberanza dei Beni divini scaturiti dalle Sante Piaghe. Perciò ricevono e godono del Giubileo divino dello Spirito Santo.
v. 28 «Mio Signore e mio Dio»: Tommaso perde ogni freno, quasi esagera nella sua professione di fede.
In nessun punto del 4° evangelo c’è una professione di fede così decisa e chiara.
Tra la prima professione del discepolo Natanaele (1,49) all’ultima di Tommaso è contenuto il viaggio di fede della comunità. S Gregorio Magno diceva:«Ci ha giovato più l’infedeltà di Tommaso che la fede dei discepoli credenti», perché questi ha vissuto il dramma di molti di noi, ha parlato per noi e per noi ha avuto la risposta.
Così anche la liturgia bizantina con i suoi tropari:
O straordinario prodigio! L’incredulità ha generato ferma fede. Tommaso infatti che aveva detto: Se non vedo, non credo; dopo aver palpato il costato, proclamava la divinità di colui che si era incarnato, il Figlio stesso di Dio. Ha fatto conoscere colui che nella carne ha patito: ha annunciato il Dio che è risorto, e a chiara voce ha gridato: O mio Signore e mio Dio, gloria a te.
O straordinario prodigio! Il fieno ha toccato il fuoco ed è rimasto indenne. Tommaso ha infatti messo la mano nel costato igneo di Gesù Cristo Dio, e non è stato bruciato da questo contatto; con ardore ha infatti mutato in bella fede l’incertezza dell’anima, e dal profondo dell’anima ha gridato: Tu sei il mio Sovrano e Dio, risorto dai morti. Gloria a te.
O straordinario prodigio! Giovanni ha riposato sul petto del Verbo, Tommaso ha ottenuto di toccare il suo costato: e l’uno ne ha tremendamente tratto l’abisso della teologia, mentre l’altro è stato reso degno di iniziarci all’economia, perché chiaramente ci presenta le prove della sua risurrezione, esclamando: O mio Signore e mio Dio, gloria a te.
Con la sua destra indiscreta Tommaso ha esaminato, o Cristo Dio, il tuo vivificante costato: e giacché tu eri entrato a porte chiuse, insieme agli altri apostoli esclamava: Tu sei mio Signore e mio Dio (Kondakion).
vv. 28-29 «Beati…»: L’assicurazione accordata a Tommaso è in via eccezionale, la normalità riposa sul fondamento dell’ascolto.
Il segno che conduce alla fede si è trasformato: non è più oggetto di visione diretta ma di testimonianza.
vv. 30-31: «Gli ultimi»: pur essendo la conclusione dell’intero evangelo sono particolarmente collegati al racconto dell’apparizione Tommaso e alla beatitudine della fede.
II Colletta
Signore Dio nostro,
che nella tua grande misericordia
ci hai rigenerati a una speranza viva
mediante la risurrezione del tuo Figlio,
accresci in noi,
sulla testimonianza degli Apostoli,
la fede pasquale,
perché aderendo a lui pur senza averlo visto
riceviamo il frutto della vita nuova.
Per il nostro Signore…
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OTTAVA DI PASQUA.
In Albis, della Misericordia di Dio.
II Domenica del Tempo di Pasqua
- Colore liturgico: Bianco
- At 2, 42-47; Sal. 117; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31
Gv 20, 19-31
Dal Vangelo secondo Giovanni
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 16- 22 Aprile 2017
- Tempo di Pasqua I, Colore – Bianco
- Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 1
Fonte: LaSacraBibbia.net
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