Fede, sofferenza, gratitudine
Il credente «vive per la sua fede» e la manifesta con le opere; egli custodisce un cuore grato perché conosce le meraviglie compiute dal Signore. La gratitudine verso Dio non discende dall’aver ricevuto tutte le grazie o dall’aver visto esaudite tutte le preghiere, ma dalla certezza che Egli c’è in ogni situazione della nostra vita e dalla consapevolezza di quanto sia grande «la nostra eredità» (cfr. Efesini 1,14): siamo chiamati alla vita che non ha fine! «Se moriamo con Lui, con Lui anche vivremo; se siamo infedeli, Lui rimane fedele perché non può rinnegare se stesso» (II lettura, 2 Timoteo).
La nostra fede non dipende da noi o dalle nostre doti, è un dono di Dio: Egli «si ricorda del suo amore e della sua fedeltà» (Salmo 97, Responsorio). E noi ci ricordiamo delle sue grandi opere? Celebriamo la sua grande predilezione per noi? I protagonisti della I lettura (II Libro dei Re) e del Vangelo sono lebbrosi: hanno una malattia terribile, altamente contagiosa, spesso mortale, che costringe all’isolamento dalla comunità.
La pandemia ha reso familiare anche a noi questa condizione, che a lungo è sembrata lontanissima dalla nostra esperienza e tipica di un mondo antico e passato per sempre: possiamo dunque comprendere più da vicino lo stato d’animo di questi malati e la sensazione di impotenza che accompagna la loro esistenza.
- Pubblicità -
Ciò che li accomuna è la fede, seppure incerta, immatura, vincolata al desiderio di ottenere una grazia e di essere liberati dalla vergogna: la malattia, infatti, era considerata una punizione divina e il segno evidente di un grave peccato commesso. […]
CONTINUA SU FAMIGLIA CRISTIANA