Il tesoro inestimabile della Vita senza fine
Che cosa è veramente prezioso? Che cosa conta alla fine? Per che cosa ci affanniamo, consumando la nostra esistenza e le nostre energie? La liturgia di oggi ruota intorno a queste domande, e offre la risposta: la nostra vita, tesoro inestimabile, è dono di Dio e appartiene a Lui. Egli è l’origine, presso di Lui è la meta e lo scopo: la ricchezza che possediamo è esclusivamente in questo suo dono, che non verrà mai revocato, ma trasfigurato e trasformato nell’eternità beata.
Le letture ci trasmettono questa verità muovendo dalla constatazione che la vita terrena, senza l’orizzonte di senso della fede e della pienezza in Dio, è «vanità delle vanità » (Qoelet, I lettura). L’autore di questo libro biblico, uno dei capolavori sapienziali dell’Antico Testamento, «parlando in assemblea», dice di essere stato «re di Israele in Gerusalemme», uomo dunque che conosce l’agiatezza e il prestigio.
Egli offre una riflessione ampia sulla realtà dell’uomo e pubblicamente riconosce che sulla terra prevalgono sofferenza, preoccupazioni e fatica, e che anche chi opera con scienza e successo dovrà abbandonare quello che ha costruito.
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La vita dell’uomo è caduca, «come un sogno al mattino, come l’erba che germoglia e alla sera dissecca» (Responsorio); solo se siamo amici di Dio, prosegue il Salmo 89, impareremo a «contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore»; così, in Dio, «esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni». […]
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