Redenti e protesi verso la santità
È questa l’ultima domenica prima della Settimana santa: la salvezza è vicina. Isaia assicura: il nostro Dio, che ha aperto una strada nel mare, anche nel deserto aprirà una strada e farà scaturire acqua dalla steppa. Il Signore trae vita dove c’è morte: il popolo ne celebrerà le lodi, come fa il Salmo 125 che esalta le grandi cose che ha fatto Dio.
San Paolo, scrivendo ai cristiani di Filippi, attesta: dimentico del passato e proteso al futuro corre verso la meta, al premio che Dio promette in Cristo. Egli è il Salvatore atteso da tutte le Scritture: è Lui che restituisce dignità all’uomo prigioniero del peccato e riconduce le creature all’originario progetto di Dio.
È questa l’esperienza della donna che incontra Gesù nel Vangelo. Siamo nel tempio di Gerusalemme, nel luogo santo per eccellenza. È l’alba. “Tutto il popolo” è presso Gesù e Lui volentieri, “sedutosi, li ammaestra”. Il suo stare seduto e il suo trattenersi senza fretta a insegnare mostra che il Maestro ha tempo e disponibilità per gli uomini, ha attenzioni e tenerezza.
Egli sa che nel tempio si va per stare con Dio, per parlare con Lui e di Lui; non è lo spazio adatto per improvvisare un tribunale e condannare qualcuno, ma gli scribi e i farisei, che hanno l’obiettivo dichiarato di «mettere alla prova Gesù e avere di che accusarlo», non si preoccupano di violare lasacralità del luogo e anzi portano fin lì, di buon mattino, la donna sorpresa in adulterio, proprio perché sia vista dalla folla e perché tutti possano giudicare il comportamento del Maestro di Nazaret di fronte alla questione proposta.
Scribi e farisei – persone pie! – non hanno nessun rispetto né per il tempio, e dunque per Dio, né per Gesù, né per la folla, né tantomeno per la donna, che strumentalizzano e additano con disprezzo. Essi hanno verso il tempio e la legge di Mosè lo stesso atteggiamento di strumentalizzazione: non c’è amore né zelo nel loro comportamento, ma solo la volontà insana di nuocere, a Gesù e alla donna.[…]
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