Riconoscere Dio nella storia e nei fratelli Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Il carisma profetico è dato in ogni tempo a uomini e donne, giovani e anziani, consacrati, laici, appartenenti al clero, sposati o no: prima di manifestarsi come Dio, nella gloriosa Passione, morte e Risurrezione, Gesù stesso, che non era membro delle dinastie sacerdotali israelitiche, è riconosciuto dalla gente come un grande profeta, paragonato a Elia (cfr. Marco 8,28).
Ciascuno, nel Battesimo, insieme alla regalità dei figli e al sacerdozio comune riceve il dono ineffabile della profezia, lo custodisce in sé e può esercitarlo nella comunità, a beneficio di tutti i fratelli, se è docile al soffio dello Spirito e capace di riconoscere, alla luce della Parola e con la forza dei sacramenti, la presenza di Dio nel mondo: ogni «servo del Signore è illuminato» dalla «Legge, dalla testimonianza e dai giudizi di Dio», che «sono tutti giusti» e danno gioia (Salmo 18, Responsorio); le condizioni del cuore, però, quando non sono «pure», possono indurre tutti, anche coloro che sono mente più vicini al Signore, nella tentazione di non riconoscere ai fratelli i doni ricevuti, e anzi di ostacolarli.
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Dio ci salvi da questo! È un «grande peccato», che spesso «non vediamo» (Salmo 18, Responsorio) e del quale, come i Dodici stessi (Vangelo) e molti credenti nella storia della salvezza (I Lettura), possiamo macchiarci anche noi, quando ci sentiamo forti della nostra «conoscenza, che gonfia d’orgoglio» (1Corinzi 8,1), del nostro status di cristiani osservanti, del ruolo che ricopriamo nella comunità, delle nostre apparenti «ricchezze», che finiscono per farci «condannare il giusto» (II Lettura, Giacomo 5)…
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