Benedetti e inviati a tutte le genti
Nella settima domenica del tempo di Pasqua celebriamo la solennità dell’Ascensione al Cielo di Cristo risorto: l’evangelista Luca racconta due volte il fatto, nell’epilogo del suo “primo libro” (il Vangelo) e all’inizio degli Atti degli apostoli (Prima lettura).
L’evento viene da Luca precisamente collocato nel tempo e nello spazio: egli, attento più degli altri alla dimensione storica della Buona Novella, nota che Gesù è asceso al cielo, sotto gli occhi dei suoi discepoli, quaranta giorni dopo la Pasqua nei pressi di Gerusalemme, cuore del suo Vangelo, meta precisa del percorso terreno di Gesù, luogo in cui si è realizzata la salvezza, dalla Cena alla Passione, Morte e Resurrezione del Cristo, fino all’Ascensione e alla Pentecoste. Tutto doveva accadere là: «Tutti là siamo nati», «sono là tutte le sorgenti» (Salmo 87).
Gesù ascende al Cielo con il suo corpo risorto mentre benedice i suoi discepoli. Dio benedice sempre, dal principio e in eterno: il dono della vita è la sua originaria benedizione, è il suo primo atto, nel contesto della creazione, ed è l’ultimo atto di Gesù sulla terra, espressione di un Dio “vivo”, che è vita, che ama la vita e la dona alle creature viventi, che dà la sua vita per la salvezza dei fratelli, che è venuto nel mondo «perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza» (Giovanni 10,10). Gli apostoli lo adorano: «Ascende Dio tra le acclamazioni», «perché Egli è re di tutta la terra» (Salmo 46, che preghiamo nel responsorio). […]
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