L’umiltà, primizia del vero Amore
Essere umili: cosa significa veramente? Come si vive l’umiltà autentica, additata da Gesù e dalla Scrittura come una virtù preziosa e necessaria alla salvezza? Forse pensiamo si tratti di impegnarci a dissimulare quanto riteniamo di meritare o di aver conquistato, di sacrificarci e rinunciarvi con fatica; forse viviamo l’umiltà come un fardello, un’imposizione pesante.
Probabilmente non abbiamo colto il senso profondo di essa; la liturgia di oggi offre una chiave di lettura che può apparire sorprendente: l’umiltà è espressione dell’amore autentico, è via che consente di esercitare la carità, la più alta e perfetta delle virtù (cfr. 1Corinzi 13,13).
Essere umili (non sforzarsi di apparire tali!) rende amabili agli occhi di Dio e degli uomini (I lettura, Siracide); permette di amare a propria volta il Signore e i fratelli con gratuità e pienezza; libera dalla superbia, il vizio antico insinuato dal nemico che, inducendo a voler essere come Dio, ha incrinato l’originaria amicizia con il Creatore (cfr. Genesi 3); restituisce la libertà dei figli «resi perfetti» in Gesù, «mediatore dell’Alleanza Nuova», «primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli» (II lettura, Ebrei), che riconoscono i doni ricevuti dal Padre e li impiegano con ricchezza e fecondità, senza sentirsene proprietari né pensare di esserne gli artefici.
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Solo con questo atteggiamento possiamo accogliere con verità il posto assegnatoci dallo Sposo (cfr. Vangelo), sia esso il primo o l’ultimo, e costruire come Maria, «umile e alta più che creatura» (Dante Paradiso 33), la relazione intima con Lui, che «guarda» e benedice «l’umiltà dei suoi servi», «disperde i superbi, rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili» (cfr. Magnificat, Luca 1,46-55). […]
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