Avere occhi per guardare come Dio
La liturgia di oggi è delicata ed esigente: siamo esortati, come dice san Paolo, a «comportarci in modo degno del Vangelo di Cristo» (II lettura, Filippesi 1).
La parabola che Gesù narra nel Vangelo, conservata solo in Matteo, e le letture che la corredano per chiarirne l’orizzonte e il senso, ci interpellano profondamente; nessuno è sollevato dal rispondere alla domanda fondativa che «il padrone» pone ai lavoratori della prima ora, quelli da lui chiamati «all’alba», che «hanno sopportato il peso della giornata e il caldo»: «Sei invidioso perché io sono buono»?
Gesù utilizza un simbolo capitale dell’Antico Testamento, quello della vigna, che definisce tutti noi, popolo della Promessa, prediletto e amato dal Signore nonostante le sue infedeltà (cfr. Isaia 5,1-7; 27,2-6; Salmo 80,9-17; Osea 10,1): non sta parlando ai lontani, ma a chi vive nella Casa del Padre suo, ha fede in Lui eppure resta cieco nei confronti del fratello e ne è “invidioso” (cioè non vede, o vede contro).
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L’invidia, generata dal maligno, dettata dalla diffidenza e dall’eccessiva valutazione di sé stessi e del proprio operato, impedisce di riconoscere nel prossimo semi di bene e di essere grati del dono della sua vita e della sua presenza. […]
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