Salvati per la fede
Dopo un’importante disputa con farisei e scribi, venuti apposta in Galilea da Gerusalemme per interrogare Gesù sul perché i suoi discepoli non rispettino i riti formali delle tradizioni antiche, e dopo un discorso pubblico alla folla, nel quale il Maestro spiega che il peccato viene dal cuore dell’uomo e non dall’esterno, da quello che mangiamo e tocchiamo o dagli incontri che facciamo (Matteo 15,1-20), Gesù si allontana dal Lago di Tiberiade e si reca a nord, fuori dalla Terra di Israele, nei territori costieri di Tiro e Sidone, in contesto siro-fenicio: sceglie di andare dove abitano soprattutto pagani, considerati, secondo l’orientamento teologico maggioritario, esclusi dalla Promessa fatta ad Abramo e capaci di generare impurità e contaminazione.
Ricorre nella liturgia di oggi l’invito a uscire dalla logica del privilegio, dal pensiero di essere giusti e di avere in mano la salvezza, per aprirci, quali figli perdonati e amati, alla capacità di perdonare e amare a nostra volta: scrivendo ai Romani (II lettura), Paolo, «apostolo delle genti», ricorda che «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per essere misericordioso verso tutti»; il credente sa che ogni uomo ha bisogno di perdono e prega perché il Signore a tutti mostri il suo volto e tutti benedica, «perché si conosca sulla terra la sua via, tra tutte le genti la sua salvezza» e «lo lodino i popoli tutti» (Salmo 66, Responsorio).
La consapevolezza che lo straniero non è irrimediabilmente escluso dalla misericordia del Signore percorre tutta la Scrittura, sebbene rimanga minoritaria nelle tradizioni veterotestamentarie; il passo di Isaia 56 (I lettura) esprime proprio questo filone biblico-teologico capitale, di apertura e universalismo delle Promesse, su cui si impernia la rivelazione di Gesù e l’intera tradizione cristiana. […]
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