Vivere per la fede, agire con carità
«Il giusto vivrà per la sua fede»: così ci ammonisce il profeta Abacuc (I lettura), offrendoci la chiave per entrare nella liturgia di oggi. La Chiesa ci invita ad approfondire il tema della fede e a interrogarci con onestà sulla nostra, su come la viviamo, su quanto sia autentica e sincera. Essa è «dono di Dio» (II lettura, Seconda Lettera a Timoteo), grande e prezioso: siamo chiamati a «ravvivarlo» quotidianamente, per «dare testimonianza» e «custodirne il buon deposito» lungo il tempo; siamo chiamati a pregare, come fanno gli apostoli, perché il Signore ci conservi la fede che ci ha donato e la «accresca in noi» (Vangelo).
Non si tratta di idee e pensieri astratti, ma della concretezza della nostra vita. Tutta la liturgia insiste su questo aspetto; il Salmo 94 (Responsorio) invita a prostrarsi al Signore e ad adorarlo, consapevoli delle sue grandi opere, e a non agire come i reduci dalla schiavitù dell’Egitto, che mostrarono di non avere fede «pur avendo visto» la potenza liberatrice di Dio.
La Parola che il Vangelo ci consegna oggi è essenziale ed esigente: se avessimo fede quanto un granellino di senape potremmo ordinare a un albero di sradicarsi e buttarsi nel mare ed esso ci obbedirebbe.
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Non è un’iperbole, è il miracolo che compie la fede autentica! Colpisce, nelle parole di Gesù, il contrasto tra l’estrema piccolezza del seme, quasi invisibile eppure capace di dinamismo vitale (cfr. Luca 13,19, ove lo stesso seme, il granellino di senape, è usato come simbolo del Regno di Dio) e l’imponenza dell’albero evocato, il gelso o, in greco e in ebraico, anche il sicomoro, che può arrivare a più di 10 metri di altezza ed è capace, per la sua robustezza, di sopportare la presenza di animali e di uomini su di sé (cfr. Luca 19,4).[…]
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