La prima Pentecoste cristiana
Al capitolo 2 viene presentato l’evento fondamentale. Qui veramente iniziano gli Atti degli Apostoli; il capitolo 1 è una introduzione, è lo strascico del vangelo o è l’anello di congiunzione con il passato; l’inizio nuovo si ha in questo capitolo 2 con l’evento fondante.
Il compimento del tempo
Nella nostra traduzione abituale questo versetto primo del capitolo 2 è tradotto proprio male:
2,1: Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire. Chiunque, leggendo questo testo, immagina che siamo alla sera, invece viene detto subito dopo che sono le nove del mattino e allora il giorno di pentecoste non sta assolutamente per finire. In greco la frase dice, nella traduzione letterale: “nel riempirsi il giorno di pentecoste” vuol dire: “giunto il giorno di pentecoste”: Quando finalmente si compi il giorno di pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Quella espressione iniziale è in un greco erudito e non consueto, Luca vuol dire qualche cosa con quella espressione, è vero, il tempo di pentecoste era già stabilito dal calendario giudaico, pentecoste vuol dire cinquantesimo giorno, è la festa di conclusione della pasqua perché cade 50 giorni dopo la pasqua ed era una festa giudaica, quindi intende dire che si compie quel periodo di tempo che separa la pasqua dalla pentecoste, essendo arrivato il computo dei giorni al cinquantesimo, erano tutti insieme. Ma c’è qualche cosa di più: nel vangelo di Luca la stessa frase ritorna al capitolo 9 versetto 51 ed è un versetto fondamentale nel vangelo di Luca. Il testo italiano suona più o meno cosi: “Mentre stavano per compiersi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù indurì la sua faccia e parti direttamente verso Gerusalemme”. È l’inizio del grande viaggio verso Gerusalemme, è il momento della decisione con cui Gesù parte per Gerusalemme sapendo che lo attende la croce, è il momento della decisione. Ora se ne compie un altro di giorno, sono piccolezze, ma un letterato fine come Luca tiene conto anche di questo e con l’espressione iniziale, che il nostro buon traduttore ha falsificato, Luca voleva creare il collegamento fra il mistero della pasqua di Gesù e il mistero della pentecoste, attraverso questi due sistemi: fare riferimento alla decisione di Gesù di andare a Gerusalemme, dove sarebbe morto, e con il riferimento al ciclo pasquale dei 50 giorni che si compie a pentecoste. Luca vuole insegnare: la pasqua di Gesù si realizza pienamente nella pentecoste, ovvero, la risurrezione di Gesù trova la sua realizzazione piena, la sua efficacia nei confronti degli uomini, nell’evento della pentecoste. Potremmo dire, semplificando un dato teologico:
la risurrezione di Gesù resta un fatto suo, è il mistero di pasqua, mentre nel mistero della pentecoste il fatto suo diventa fatto della Chiesa. A pasqua è Gesù solo che risorge, il Risorto trasmette il suo spirito ai suoi discepoli, per cui ciò che è stato di Gesù viene donato ai suoi, ecco la promessa del Padre che si compie, cioè la consegna agli uomini della vita stessa di Dio. Ciò che si è realizzato nella pasqua per Gesù, si realizza per i discepoli nella Pentecoste. Ora, la separazione cronol gica fra pasqua e pentecoste è di sette settimane, 7×7, siamo in uno schema simbolico orientale dove il numero è importantissimo: se il 7 è la perfezione, il 7×7 è veramente la grandezza della perfezione; quindi la Pentecoste è la pienezza della Pasqua . Ma a questo dobbiamo aggiungere altri particolari.
La festa giudaica di Pentecoste
La festa di pentecoste esisteva già, non è una creazione cristiana, è una festa giudaica; nell’Antico Testamento è presentata con regole ben precise ed è strettamente legata alla festa di pasqua.
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Che cosa celebravano gli ebrei nella festa di pentecoste? Il dono della legge, fatto da Dio a Mosè sul monte Sinai. Nella pasqua si celebra l’uscita dall’Egitto, 50 giorni dopo si ricorda l’arrivo del popolo di Israele al Sinai e la stipulazione dell’alleanza con Dio. Non merita essere liberati dall’Egitto se il popolo non incontra Dio e non entra in relazione con Dio, ecco perché la pentecoste completa la pasqua. Nella struttura liturgica di Israele la pasqua è la libertà iniziale, la pentecoste rappresenta la realizzazione della libertà nella relazione dell’alleanza con Dio. Quindi a pentecoste il popolo di Israele celebra l’alleanza, ricorda la stipulazione del patto fra il popolo e Dio, ricorda il dono della legge. Dio ha scelto di porre un segno all’inizio della vita della comunità cristiana proprio in quel giorno festivo, esattamente come aveva scelto di porre l’altro segno nell’altro giorno festivo; la morte e risurrezione di Gesù coincidono con una festa di pasqua, il dono dello Spirito coincide con una festa di pentecoste e le due feste diventano cristiane per cui la comunità le riprende e le vive con un’altra motivazione per cui la pasqua è la liberazione dell’umanità completa, è la liberazione dalla morte, è la vittoria di Gesù Cristo e la pentecoste diventa il dono della nuova alleanza. Al dono della legge subentra il dono dello Spirito e Luca racconta l’episodio facendo continui riferimenti al dono della Legge sul Sinai. È un discorso un po’ difficile questo perché è necessario analizzare il testo proprio parola per parola e l’ideale sarebbe farlo nel testo originale, ma soprattutto non possiamo fare riferimento ai semplici testi biblici che conosciamo, ma dobbiamo fare riferimento a tutta la tradizione, alla fantasia popolare di quei tempi, quello che veniva detto dai catechisti, dagli insegnanti, dai rabbini nel primo secolo a proposito del dono della Legge sul Sinai. I racconti popolari, a proposito della pentecoste, parlavano proprio di questo, parlavano di un popolo radunato tutto insieme nello stesso luogo, la voce di Dio venne dal cielo come un rombo, cosi come l’immagine della tempesta e del temporale che viene raccontato nel libro dell’Esodo, il vento che si abbatte gagliardo, tutto il monte è riempito della presenza di Dio, Dio parla con voce di fuoco. È l’immagine della tempesta, con il tuono, con i fulmini, con il vento dell’uragano, ma ciò che è caratteristico e che non troviamo nel testo biblico, ma è documentato ampiamente nella tradizione giudaica, nelle traduzioni popolari per il popolo, chiamate targum, nelle leggende che circolavano e che sono documentate da testi difficili da trovare comunemente, ma reali, ad esempio l’idea che Dio parlò e la voce di Dio si divise in 7 voci e le 7 voci divennero 70 lingue per cui Dio al Sinai parlò in tutte le lingue. Settanta sono le lingue del mondo, è un elemento leggendario, 70 sono i popoli elencati dalla Genesi e Dio al Sinai diede la Legge non in ebraico, ma in 70 lingue, in tutte le lingue. Se ci fossero stati gli altri popoli, insegnano i catechisti ebraici, avrebbero capito anche loro le leggi, nella loro lingua, ma non c’erano, c’era solo Israele e solo Israele ha accolto la Parola e solo Israele ha fatto alleanza con Dio. Anche i bambini sapevano queste cose nel I secolo e quando Luca racconta l’evento, utilizza tutte le parole cardine del racconto popolaresco del dono della Legge sul Sinai per cui insiste sull’essere insieme, sui fenomeni della teofania, dell’apparizione di Dio nella tempesta, sulle lingue di fuoco che si dividono e si posano e sull’evento delle lingue, sul fatto che adesso gli apostoli veramente parlano tutte le lingue e veramente adesso tutti i popoli sono presenti per ascoltare.
È il dono della nuova alleanza, è il dono dello Spirito Santo che compie la trasformazione dell’uomo e crea la nuova comunità. Come al Sinai era nato il popolo di Israele, cosi adesso in Gerusalemme nasce il nuovo popolo di Israele. Lo Spirito fa nascere la nuova comunità, è la stipulazione della nuova alleanza. Ecco perché è importante inserire questo evento nella festa di pentecoste, ed è la prima pentecoste cristiana, è bene sottolinearlo perché l’anno dopo è stata di nuovo pentecoste e da quell’anno in poi, tutti i cinquantesimi giorni dopo pasqua erano la pentecoste che ricordava il fatto che in quella prima pentecoste la realtà della comunità è cambiata, da quel giorno gli apostoli sono stati trasformati, hanno maturato la scelta definitiva, si sono sentiti pienamente investiti di questa forza di grazia, hanno capito che la promessa di Dio si era realizzata, hanno sentito che lo Spirito di Gesù Cristo adesso era in loro, hanno capito che quel gruppo di persone erano chiamate a continuare l’opera di Gesù Cristo, erano la sostituzione di Gesù sulla terra.
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Un evento straordinario proprio in quel giorno
2,1: Al compiersi del giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. L’espressione di Luca, più che indicare una presenza fisica nello stesso ambiente, indica una unione di cuore, cioè una concordia, una fusione personale fra le persone; non dice insieme nello stesso luogo, dice “erano nello stesso”, erano una cosa sola.
2,2: Venne all’improvviso dal cielo un rombo. Il vocabolo “rombo” è la traduzione di una parola greca che significa un suono strano, prodotto da una entità non facilmente determinabile.
Come di vento che si abbatte gagliardo. Non dice che ci fu vento, il vento è un termine di paragone; si senti un rumore strano come se ci fosse un forte vento e riempi tutta la casa dove si trovavano. È il rumore che riempie, ma è un rumore trascendente, è una voce, è una presenza. All’immagine dell’udito si aggiunge l’immagine della vista.
2,3: Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro. Volutamente Luca gioca sul doppio senso di “lingua”, la lingua come organo anatomico viene usato anche per altri oggetti che assomigliano alla lingua, un oggetto che sembra una lingua, quindi una lingua di fuoco è semplicemente una fiammella. Ma perché Luca la chiama una lingua di fuoco e non una fiammella? Perché sta preparando l’idea delle lingue parlate, come linguaggio umano e la visione comporta un insieme di fuoco che si divide in tante fiammelle, è una unità che si divide e la forma che assume questo fuoco è la forma di una lingua. Sono tipiche e tradizionali le immagini dello Spirito come vento e come fuoco, qui si è aggiunto l’elemento lingua che dipende dal racconto popolare della teofania del Sinai: la voce di Dio si divise in 70 lingue.
2,4: ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo. Come la casa si riempi di quel rumore, cosi le persone si riempirono di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue. Le lingue di fuoco, “come di fuoco”, produssero negli apostoli una capacità di nuova comunicazione, difatti le altre lingue dipendono dallo Spirito come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. Troviamo negli Atti degli Apostoli altri due racconti in cui si parla di dono dello Spirito. Al capitolo 10, viene raccontato il dono dello Spirito fatto a Cornelio, un pagano, e alla sua famiglia. Atti 10, 44 Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. 45 E i fedeli circoncisi (cioè ebrei), che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; 46 li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Che è sceso lo Spirito su quella gente lo hanno capito perché quel gruppo di persone parlava lingue e glorificava Dio; è un fenomeno abbastanza simile a quello che è successo nella prima Pentecoste con il gruppo degli apostoli, qui è successo con un gruppo di pagani. Un altro racconto simile lo troviamo al capitolo 19: a Efeso Paolo dopo aver predicato ad un gruppetto di persone, circa 12 uomini, impone loro le mani e, scrive Luca: 19, 6 non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano. Altro episodio molto simile all’evento della Pentecoste. Sembra chiaro che Luca abbia voluto ripetere almeno tre volte lo stesso episodio per sottolineare la continuità: quello che è avvenuto agli apostoli in quella prima Pentecoste si è ripetuto anche con un gruppo di pagani, si è ripetuto anche con un gruppo di discepoli del Battista a Efeso; è quello che continua a ripersi nelle nostre comunità. Tuttavia, nel caso della prima Pentecoste c’è il riferimento ad altre lingue e quindi, piuttosto che il semplice fenomeno dell’entusiasmo, sembra di poter vedere in questo episodio un autentico prodigio della comunicazione.
Luca ha fuso insieme questi due riferimenti: il fenomeno liturgico dell’entusiasmo, della glorificazione di Dio, della preghiera, della profezia nella Chiesa, con l’episodio di tradizione giudaica delle voci che si dividono e di Dio che parla nelle lingue di tutti i popoli. Vuol fare riferimento ad un fatto prodigioso che ha segnato l’inizio della comunità e lo racconta in un modo brillante, facendo presentare l’evento dagli spettatori stessi.
La reazione stupita dei giudei cosmopoliti
Noi ci troviamo di fronte ad un testo letterario scritto da un letterato e in quanto testo creato dalla mente artistica del letterato. Per dire che cosa è successo ha messo in scena il discorso degli spettatori, li presenta.
2,5: Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Il verbo che adopera non è il verbo del pellegrino, ma il verbo del residente; noi diremmo: avevano residenza in Gerusalemme a quei tempi giudei che provenivano un po’ da tutte le parti del mondo. Quindi dal punto di vista etnico e religioso tutti ebrei, ma dal punti di vista di provenienza civile un po’ di tutto il mondo. Quindi erano tutti ebrei, ma di lingue diverse. L’episodio della Pentecoste quindi non è l’annuncio ai pagani, ma solo agli ebrei, però il fatto prodigioso sta in questa molteplicità della comprensione nonostante la diversità delle lingue.
2,6-7: Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore. Da Aristotele i narratori greci hanno imparato che lo stupore è la madre della filosofia: chi si meraviglia della realtà si domanda il perché e dalla domanda del perché può arrivare a scoprire la risposta. Allora Luca ripete diverse volte espressioni che mostrano gli abitanti come perplessi, stupiti, incapaci di rispondere, vedono un fenomeno che non rientra in quelli abituali e non capiscono che cosa vuol dire. Al versetto 12 fa porre loro proprio questa domanda: chiedendosi l’un l’altro: “Che significa questo”?. Qual è il senso di questo episodio? L’elenco dei popoli non è stato composto da Luca, gli esegeti sono abbastanza unanimi nel dire questo perché è disordinato, non corrisponde ad uno schema numerico particolare e Luca è troppo preciso per aver composto questo testo, probabilmente circolava un elenco del genere e lo ha inserito come una citazione indiretta.
2,9-11: Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi un po’ di tutte le parti del mondo, eppure tutti li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio?. “Le grandi opere di Dio” è un’espressione abituale dei canti di celebrazione: annunciare le grandezze di Dio vuol dire celebrare il Signore. Il cantico di Maria, nel vangelo di Luca infatti, non inizia proprio con “Magnificat”? L’anima mia dice che il Signore è grande, e gli apostoli all’inizio fanno la stessa cosa, dicono le grandezze di Dio. Maria ricolma di Spirito dice “Dio è grande”, gli apostoli ricolmi di Spirito dicono “Dio è grande”; l’insieme viene presentato come una celebrazione liturgica dell’opera storica di Dio. Luca ritorna ancora a sottolineare lo stupore e la perplessità e finalmente può raccontare la risposta di Pietro, quando l’apostolo spiega qual è il senso dell’evento.
Il senso dell’evento di Pentecoste
Ma noi ci soffermiamo ancora un momento sul senso dell’evento della Pentecoste. Proviamo a riassumere quello che abbiamo detto. Luca presenta il dono dello Spirito Santo come la nuova legge, come la nuova alleanza, come il dono del cuore nuovo; nella Pentecoste viene cambiato il senso della festa, la pentecoste cristiana si presenta dunque come la festa della nuova alleanza, della trasformazione del cuore. Questa nuova festa riguarda tutte le nazioni che sono sotto il cielo, non è più la festa esclusiva di un popolo privilegiato, ma il gruppo che riceve lo Spirito viene abilitato a parlare le lingue di tutti i popoli. Mentre la tradizione giudaica festeggiava un privilegio unico, la sottolineatura del racconto di Luca mostra il dono per una molteplicità, quindi non per una esclusione, ma per una apertura. La nota dell’universalità è importantissima, anche se è solo accennata, è il nucleo di partenza. L’altro elemento importante è il miracolo delle lingue, cioè la possibilità della Chiesa di esprimersi nelle lingue di tutti i popoli. Scrive Jacques Dupont, grande studioso biblico, in un articolo fondamentale da cui ho derivato le idee che vi ho presentato: “Al mattino della Pentecoste l’universalità della Chiesa trova la sua concreta espressione nel dono concesso agli apostoli di parlare in altre lingue, nel linguaggio particolare di ciascuno dei popoli ai quali dovranno portare la loro testimonianza. Leggende rabbiniche immaginavano che un prodigio analogo si era verificato al Sinai, ma esse non potevano distruggere il fatto che la legge giungeva agli uomini mediante un rivestimento ebraico. La lingue ebraica, lingua della rivelazione, diveniva al tempo stesso lingua sacra?. E di fatti gli ebrei non accettano come canonici i libri che non sono scritti in ebraico; Dio può parlare solo in ebraico, la Chiesa invece non sarà legata ad una lingua, né all’ebraico biblico, né all’aramaico parlato da Gesù e dai primi apostoli, né al greco dei libri del Nuovo Testamento. Lo Spirito dona agli apostoli, e per essi alla Chiesa, la lingua e la cultura di tutti i popoli; l’economia dello Spirito non accetta più la supremazia di una lingua o di una cultura sulle altre, la nuova alleanza nello Spirito assume tutte le culture. Come d’ora in poi non sarà più necessario farsi giudeo per godere dei privilegi dell’alleanza, cosi non sarà necessario adottare la lingua o le usanze di un popolo piuttosto che di un altro, sarà sufficiente accogliere ciò che dice lo Spirito e seguire i suoi suggerimenti, in qualunque lingua, a qualunque popolo si appartenga.” È un’idea fondamentale dell’apertura della Chiesa e anche se poi la tradizione cristiana è ricaduta in questo errore della religiosità naturale e noi occidentali siamo ricaduti nel latino, come la lingua sacra, ma gli orientali a loro volta sono caduti nel greco classico, nel paleo slavo, nel copto antico, nel siriaco religioso e cosi via; sono tutti cristiani ricaduti in questo schema. Lo Spirito libera da questo schema.
Il primo sommario sulla vita della primitiva comunità cristiana
Il dono dello Spirito Santo ha dato impulso alla comunità in modo tale che quel gruppo di amici di Gesù ha trovato la forza di uscire fuori, di uscire dal chiuso del cenacolo per annunciare quella verità fondamentale che à l’identificazione di Gesù con il Cristo e tutte le conseguenze che ne derivano. Nella prima parte degli Atti degli Apostoli, Luca raccoglie una serie di testimonianze sulla vita della comunità primitiva a Gerusalemme. Ha già dato una impostazione a tutta la sua opera con quella indicazione geografica dell’inizio, quando fa dire a Gesù: “Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in Giudea e Samaria e fino agli estremi confini della terra” (1,8). La prima parte della sua opera quindi è incentrata su Gerusalemme: è li che la comunità vive la propria esperienza originale, ed è legata strettamente al dono dello Spirito; la prima Pentecoste cristiana abilita la comunità alla testimonianza.
Leggiamo il primo sommario (2,42-48) che fa seguito immediato al discorso di Pietro il giorno di Pentecoste:
2, 42: Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. È un testo famoso e importante; è un versetto programmatico. Luca dice che quelli battezzati, quelli venuti alla fede, erano assidui, cioè si trovavano in una situazione di continuità. Non dobbiamo mai dimenticare che Luca sta pensando alla sua comunità che è un po’ in crisi, che è soggetta ad un momento di stanchezza, di abbattimento, non ha più l’entusiasmo dell’inizio, si sta lasciando perdere, allora insiste volutamente sull’impegno della comunità primitiva la quale era assidua, continuava, era in un atteggiamento di perseveranza in quattro elementi fondamentali: l’insegnamento degli apostoli.
Al primo posto mette l’insegnamento, l’istruzione, l’autorità, i testimoni oculari, gli apostoli, sono coloro che formano, che insegnano. L’assiduità nell’insegnamento degli apostoli significa un impegno costante da parte della comunità di ascoltare e di accogliere l’insegnamento degli apostoli.
Al di là dell’insegnamento, della catechesi, della dottrina, c’è l’unione fraterna, l’impegno di collaborazione, di affetto, di buona relazione.
Il terzo elemento è la frazione del pane: si tratta di un termine tecnico per indicare la cena eucaristica, è un linguaggio di tipo ebraico, spezzare il pane vuol dire pranzare o cenare insieme perché al momento iniziale il capo famiglia prende il pane, lo spezza e dice una benedizione, in genere una formula molto breve di questo tipo: “benedetto sei tu, Signore Dio dell’universo che hai fatto, o hai donato il pane, il cibo”. È una formula di benedizione quella che apre il pasto, ma è anche la formula importante della pasqua, quindi è molto probabile che la comunità cristiana primitiva si sia rifatta essenzialmente all’ultima cena di Gesù, cioè alla cena pasquale, al momento in cui Gesù prese il pane, lo spezzò, lo diede loro dicendo: “questo è il mio corpo”. La frazione del pane diventa quindi il nome tecnico della messa, della celebrazione eucaristica. L’assiduità nella frazione del pane significa un impegno continuato della comunità primitiva nell’incontrarsi per la celebrazione della messa.
Quarto elemento: le preghiere, un atteggiamento di orazione, di continuità nella tradizione ebraica e nello stesso tempo di novità con l’aggiunta della fede cristiana.
Notiamo quindi che gli elementi fondamentali che presenta Luca all’inizio sono quelli della nostra vita ecclesiale, quei temi che emergono nei programmi pastorali, catechesi, carità e liturgia, sono le dimensioni dei nostri consigli parrocchiali, delle nostre commissioni parrocchiali o diocesane, è l’ambito della nostra vita della Chiesa.