La madre di Gesù e il mistero di Cana

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LA MADRE DI GESU’ E IL MISTERO DI CANA

IGNACE DE LA POTTERIE S.I.

Pubblicato in : La Civiltà Cattolica, 1979, IV, pp.425-440.

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Quando si parla dell’insegnamento del Nuovo Testamento sulla madre di Gesù,  si pensa spontaneamente ai Vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca, dove si trovano i racconti dell’annunciazione e della visitazione, il Magnificat, le indicazioni più esplicite sulla concezione verginale ed il titolo stesso di «vergine» applicato a Maria. Questi diversi dati sono praticamente assenti nel quarto Vangelo.

Tuttavia, senza paradosso, si può affermare che la dottrina mariologica di san Giovanni è forse più ricca di quella dei sinottici. La concezione e la nascita verginali, comunque la pensino questo o quell’autore1, vi assumono la stessa importanza che  in Matteo e Luca, anzi, c’è un legame più stretto con l’Incarnazione del Verbo2. Ora, noi vorremmo considerare con particolare attenzione la prima delle due pericopi giovannee nelle quali si tratta formalmente della madre di Gesù: il racconto delle nozze di Cana (la seconda è la presenza di Maria presso la croce). Di questo racconto, apparentemente semplice, non si percepisce immediatamente la portata teologica. Ma oggi avviene un fatto sorprendente: la teologia moderna sta scoprendo – o riscoprendo – la teologia profonda di questa pericope, e ciò non per un ritorno nostalgico all’allegorismo degli antichi, ma grazie allo studio minuzioso del vocabolario di san Giovanni, dei suoi procedimenti di composizione e delle leggi costanti del suo simbolismo. Nelle due pericopi giovannee il mistero della madre di Gesù appare sempre più come una parte integrante del mistero di Gesù stesso.

Per mettere meglio in rilievo che la trasformazione dell’acqua in vino non è semplicemente un miracolo del genere di quelli della tradizione sinottica, costatiamo anzitutto ciò che questo racconto ha di strano: si tratta di un matrimonio, e tuttavia Giovanni non dice praticamente niente degli sposi; Gesù si rivolge a sua madre, ma contrariamente a tutti gli usi la chiama «Donna»; sebbene egli sia un ospite, i  servi obbediscono ai suoi ordini come se egli fosse il maestro di tavola; Gesù trasforma in vino di qualità quasi seicento litri d’acqua pura, ma più che per trarre d’impiccio la famiglia degli sposi Gesù lo fa per manifestare la sua gloria (Gv 2,11).

D’altra parte, non si può non essere colpiti dal numero elevato di termini teologici che si addensano in questi pochi versetti. Alcuni di essi evocano temi importanti della tradizione biblica: le nozze, lo sposo, il vino delle promesse, la gloria; altri sono più direttamente caratteristici del vocabolario giovanneo: il maestro di tavola «non sapeva di dove venisse» il vino (v. 9); così pure, le parole o le espressioni: «fino ad ora» (v. 10), «inizio», «segni», «manifestò la sua gloria», «i suoi discepoli credettero in lui» (v. 11).

Molti commentatori percepiscono in modo confuso che questo passo esprime un mistero; ciò spiega perché «ben pochi testi del  Nuovo Testamento abbiano acceso  lu curiosità dei cristiani quanto quest’ultimo»3. Non c’è quindi da meravigliarsi, se ne sono state proposte le più disparate interpretazioni: per alcuni autori, si tratta semplicemente d’un miracolo, e non bisogna cercarvi un senso più profondo; altri, per i quali questo racconto non ha niente di storico, ne cercano l’origine nella mitologia pagana, oppure in una tradizione apocrifa; tuttavia, di solito, si ammette la portata teologica del passo, e ciò, sia nella tradizione patristica e liturgica, sia nell’esegesi contemporanea. Ma sussiste una grande differenza tra i diversi tentativi d’interpretazione.

Nel nostro studio cercheremo di scoprire progressivamente il senso profondo di questa scena; perciò, non parliamo semplicemente delle nozze di Cana o del miracolo di Cana, ma del mistero di Cana; e mostreremo il ruolo svolto dalla madre di Gesù.

La settimana inaugurale: la prima manifestazione di Gesù ai discepoli

Per comprendere bene l’episodio di Cana bisogna rendersi conto a quale unità letteraria esso appartiene, poiché il senso del brano varia a seconda dell’insieme più vasto in cui esso s’inserisce.

Molte edizioni e commentari, per esempio la Nueva  Biblia  española, prendono come un tutto i capitoli 2,1-4,54: Da Cana a Cana; la nostra pericope è situata allora all’inizio della seconda sezione del Vangelo, quella che va dal primo  al secondo miracolo di Cana4. Tuttavia, molti indizi invitano piuttosto a collegare questi versetti col capitolo precedente: il racconto di Cana, in questo caso, viene come conclusione della prima sezione del Vangelo, dopo il prologo (1,19-2,12)5.

La ragione principale per preferire questa divisione è che l’evangelista sembra voler suggerire che questi primi avvenimenti costituiscono una unità di tempo, poiché egli insiste chiaramente sulla successione dei giorni. Dopo la prima testimonianza di Giovanni Battista (F,19-28), egli inizia ogni volta le tre pericopi successive con la formula: «L’indomani» (1,29.35.43); ora, in maniera analoga, egli introduce il racconto di Cana: «Tre giorni dopo» (2,1); ciò significa tre giorni dopo l’incontro di Gesù con Natanaele, e sette giorni dopo la prima testimonianza del Battista. Il Vangelo si apre quindi con una settimana inaugurale, che culmina nella manifestazione della gloria di Gesù alle nozze di Cana (2,11).

Questa sezione costituisce anche una unità per il suo contenuto: il tema fondamentale che essa sviluppa è la prima manifestazione di Gesù ai discepoli. Il tutto ha inizio con la testimonianza di Giovanni Battista. Agli occhi dell’evangelista questa testimonianza è talmente importante ch’egli l’ha già inserita in due punti del prologo: «Egli venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7); in 1,15 egli indica, anticipandolo, l’oggetto  di questa testimonianza che Giovanni renderà per due volte presso il Giordano (cfr 1,27-30).

Il racconto dettagliato di questa prima testimonianza del Battista viene quindi dato in 1,19-34; esso occupa i primi due giorni della settimana inaugurale. Il senso di questa missione di Giovanni è indicato chiaramente nei versetti 31 e 34: «Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele»; «E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è l’Eletto di Dio».  Fin dall’inizio del Vangelo tutta l’attenzione è perciò orientata verso il tema della manifestazione di Gesù – Messia. Ciò viene confermato ugualmente dalla concentrazione straordinaria di titoli cristologici in tutta la sezione:  Agnello di  Dio (vv. 29.36), colui che battezza nello Spirito Santo (v. 33), l’Eletto di Dio (v. 34), Rabbi, che significa Maestro (vv. 38.49), Messia (v. 41), colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti (v. 45), Figlio di Dio  e  Re  d’Israele (v. 49), il Figlio dell’uomo sul quale salgono e scendono gli angeli di Dio (v. 51).

A questi temi di testimonianza corrisponde, per il terzo e quarto giorno, il tema dei discepoli (vv. 35-51). Fino a quel momento i primi due erano discepoli di Giovanni Battista. Erano Andrea ed un altro che non è nominato, forse lo stesso evangelista; sentendo il loro maestro dichiarare, riguardo a Gesù che passava:

«Ecco l’Agnello di Dio», essi seguirono Gesù per domandargli dove dimorasse. «E quel giorno dimorarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (v. 39). Andrea condusse subito da Gesù suo fratello Simon Pietro. Sottolineiamo  in questo breve racconto l’uso del verbo «dimorare»: «dimorare presso Gesù» è la condizione essenziale per entrare a poco a poco nel suo mistero.

È quanto aveva mirabilmente compreso l’amico di san Bernardo, Guglielmo di Saint-Thierry, che interpreta in senso spirituale e trinitario la questione dei primi discepoli:

« Maestro, dove dimori? Vieni e vedi, diss’egli. Non credi che io sono nel Padre, e che il Padre è in me? Grazie a te, Signore! […] Noi abbiamo trovato il tuo luogo. Il tuo luogo è il Padre; e ancora, il luogo del Padre sei tu. Tu sei dunque localizzato a partire da questo luogo. Ma questa localizzazione, che è la tua, […] è l’unità del Padre e del Figlio »6.

Questa interpretazione mistica apparirà meno lontana dal senso profondo dei versetti, se si tiene conto di tutta la densità teologica del verbo «dimorare» (ménein) in san Giovanni.

Nel quarto giorno Gesù manifesta l’intenzione di partire verso la Galilea. Qui  si situa la chiamata di due nuovi discepoli: Filippo, che era di Betsaida; e Natanaele, di Cana di Galilea (21,2). Senza dubbio, Gesù fu invitato alle nozze per la mediazione di quest’ultimo. Si giunge così, del tutto naturalmente, all’introduzione del nostro racconto: «Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli» (2,1-2).

Insistiamo ancora sull’unità di quest’insieme e sullo sviluppo tematico che vi prende forma. A partire dal settimo giorno, le persone che, l’una dopo l’altra, si erano poste al seguito di Gesù, formano ormai un gruppo unito: sono «i discepoli di Gesù» (2,1.11). L’episodio di Cana non viene presentato come una manifestazione pubblica: la manifestazione della gloria di Gesù, di cui parla il v.11, non sembra sia stata percepita se non dai discepoli; è destinata ad essi.

Osserviamo ugualmente lo spostamento geografico: dalle rive del Giordano Gesù ed i suoi si recano a Cana. Essi lasciano la Giudea per  raggiungere  la Galilea. La Giudea e Gerusalemme, nel quarto Vangelo, sono la regione dell’incredulità e del giudizio; la Galilea è il posto dove Gesù viene accolto (4,45)7. Non senza ragione il nostro racconto termina con la parole: «[ … ] a Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (2,11).

Seguendo il filo del racconto

In questa seconda parte percorreremo i dodici versetti dei nostro racconto, per spiegare alcuni termini o espressioni che possono fare difficoltà e per scoprire gli eventuali indizi di un’intenzione teologica di san Giovanni.

L’insieme dell’episodio si sviluppa in tre movimenti: un’introduzione di stile narrativo (2,1-3a); il dialogo tra Maria e Gesù, seguito dal comando ai servi fatto dalla madre di Gesù e dallo stesso Gesù (2,3b-8); il seguito del racconto (2,9-12).

L’introduzione (vv. 1-3a)

 «Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù». Contrariamente a quanto fanno i sinottici e lo stesso autore del libro degli Atti, Giovanni non designa mai la madre di Gesù col suo nome proprio: «Maria». Egli la chiama sempre allo stesso modo: «La madre di Gesù» (2,1.2.3.5.12; 6,42; 19,25). Tuttavia, quando si rivolge a lei, nel v. 4, Gesù usa un’espressione insolita  per un figlio che parla alla madre; la chiama: «Donna». Lo stesso fenomeno si ripete alla croce (19,25-27): anche là è presente «la madre di Gesù»; anche là Gesù s’indirizza ad essa col titolo di «Donna». Questi due episodi sono tra loro strettamente legati e s’illuminano l’un l’altro.

Queste diverse indicazioni sono già significative: esse mostrano che, per l’evangelista, non è più semplicemente Maria, come persona individuale, che conta, ma la funzione ch’essa svolge nell’opera del Figlio. Essa è stata «la madre di Gesù»; nel simbolismo generale della storia della salvezza essa è  la «Donna»  (cfr anche Apoc 12,118), come spiegheremo nella terza parte.

L’inizio del v. 3 si presenta sotto due forme nella tradizione dei testi. In un numero importante di manoscritti si trova il testo breve, che dice: «Nel frattempo, venuto a mancare il vino». Ma, con parecchi autori, noi preferiamo seguire il testo chiamato «occidentale», che ha un sapore più primitivo: «Ed essi non avevano vino, poiché il vino delle nozze era esaurito. Allora la madre di Gesù gli disse:  Essi non hanno vino».

 In questo testo colpiscono immediatamente due cose: il termine «vino» ricorre tre volte; c’è qui, si dirà, un tema importante per l’evangelista. D’altra parte, egli insiste su di un fatto apparentemente banale: il vino che era finito era «il vino delle nozze». Per la terza volta torna la parola «nozze» in quest’introduzione. Si può quindi pensare che si tratti di un altro tema molto significativo per l’evangelista. Perciò, non senza ragione, il padre Braun scrive: «L’insistenza sul fatto che il vino dello sposalizio era finito non è certamente [ … ] estranea al simbolismo del miracolo»8.

Il dialogo tra Maria e Gesù (vv. 3b-8)

«La madre di Gesù gli dice: Essi non  hanno vino» (v. 3b). Molti Padri  della Chiesa ed alcuni moderni pensano che, con queste parole, Maria chieda un miracolo al proprio Figlio. Ciò sembra eccessivo. Altri ritengono che ella si accontenti di segnalare a Gesù la situazione imbarazzante in cui  ci  si trovava.  Ma non è dire troppo poco? Qui ci può venire in aiuto il caso analogo delle parole delle sorelle di Lazzaro. Esse dicono a Gesù:  «Signore, colui che tu  ami è malato» (11,3); «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Ma anche ora so che qualunque cosa chie derai a Dio, Dio te la concederà» (11,22).

Alla luce di questo parallelismo, le parole di Maria sembrano per lo meno esprimere che essa sperava un qualche intervento miracoloso da suo Figlio. Ella sapeva che egli poteva compiere un gesto del genere9. Ma sembra probabile che, per l’evangelista, queste prime parole di Maria evochino qualcosa di più. Egli non scrive, come ci si attenderebbe: «Essi non hanno più vino», ma: «Essi non hanno vino». Anticipando quanto diremo nella terza parte, si può qui supporre, con M. Thurian10, che, per san Giovanni, Maria rappresenti l’umanità nell’indigenza, e il giudaismo che viveva della speranza messianica; le parole: «Essi non  hanno vino», rappresenterebbero allora il desiderio d’Israele di vedere il diffondersi del  vino messianico, la rivelazione definitiva della Nuova Alleanza11. Ma questa spiegazione potrà prendere consistenza soltanto quando avremo analizzato il ricco simbolismo del vino nella tradizione biblica e giudaica.

«Che c’è tra me e te, o donna?» (v. 4a).  È  la formula più discussa di  tutto il racconto. Ma tenendo conto del suo uso nell’Antico Testamento e della forma letteraria adoperata da Giovanni, il senso dell’espressione nel nostro dialogo non può più lasciare dubbi di sorta. L’espressione è utilizzata in due sensi nella Bibbia. In certi contesti essa può significare: «Di che t’immischi?». Allora essa esprime un disaccordo totale, una reale ostilità o il rifiuto di ogni rapporto con qualcuno; si deve comprendere in questo modo il grido degli indemoniati di Gerasa: «Che c’è tra noi e te, Figlio di Dio?» (Mt 8,29).

 Ma altrove la formula esprime semplicemente che una persona non è d’accordo con un’altra, e che esiste tra loro qualche malinteso, una reale incomprensione, un difetto di comunione; così, per esempio, il profeta Osea, che aveva precedentemente rimproverato a Israele la sua passata idolatria (Os 4,17), annunzia finalmente la conversione del popolo: «Efraim, che ha ancora in comune con gli idoli?» (Os 14,9).

La risposta di Gesù a Maria in Gv 2,4a deve intendersi evidentemente in questo secondo senso. Non vi è alcuna traccia di ostilità in queste poche parole, nemmeno alcun rimprovero, contrariamente a quanto hanno pensato talvolta i Padri greci12. Dicendo a sua madre: «Che c’è tra te e me, Donna?», Gesù  lascia  intendere che egli si pone su un piano diverso da quello di Maria e in un’altra prospettiva: questa pensa ancora al vino della festa, Gesù pensa ormai alla sua missione messianica che inizia13. Quindi, tra loro c’è una certa incomprensione, un equivoco. Molte volte in san Giovanni si ripete una situazione del genere: l’interlocutore di Gesù si preoccupa unicamente di realtà materiali; ma per Gesù queste sono il segno dei beni salvifici ch’egli porta; così, in  Gv 4,10-14 l’acqua  del pozzo di cui parla la Samaritana diventa per Gesù l’occasione per promettere l’acqua viva della rivelazione e il dono dello Spirito. Lo stesso vale per Cana: Maria parla di mancanza di vino; Gesù invece eleva subito il dialogo al piano della sua missione: egli pensa ai beni messianici che sta per portare, e che erano precisamente designati col simbolo del vino nella tradizione biblica.

L’ora di Gesù (v. 4b). La seconda parte del  versetto  dev’essere  intesa come strettamente legata alla prima. Ma qui si pongono due piccoli problemi: queste parole di Gesù sono un’affermazione, oppure una interrogazione? A che cosa allude quando egli parla della sua ora? In  questo membro della frase si   vede quasi sempre un’affermazione: «La mia ora non è ancora venuta». Ma, in uno studio recente14, A. Vanhoye ha mostrato in modo convincente che si tratta di una domanda: «La mia ora non è forse venuta?». Questa domanda più o meno retorica equivale allora ad un’affermazione; per cui Gesù lascia intendere che la  sua  ora, in un certo senso, è già arrivata.

Che cosa significa? «L’ora», nella tradizione biblica (Dan 11,40.45), è l’ora del compimento finale. Nel quarto Vangelo questo tema è troppo importante perché si possa pensare che qui Gesù voglia semplicemente parlare dell’istante in cui sta per compiere il suo primo miracolo. Alla Samaritana egli dichiara: «Ma è giunta l’ora, ed è  questa, in cui i  veri adoratori adoreranno il Padre nello Spirito   e nella verità» (4,23). Durante la festa dei Tabernacoli Giovanni tuttavia dirà che «la sua ora non era ancora venuta» (7,30; 8,20). All’approssimarsi della Passione, invece, «l’ora è venuta» (12,23; 13,1; 17,1). Si deve dire che Gesù, nel nostro versetto, voglia parlare dell’ora della croce? Molti autori lo pensano. Ma è del tutto improbabile, anzi quasi impossibile, se le parole  di  Gesù  hanno valore di affermazione. Sembra quindi si debba dire che «la mia ora», per Gesù, designa in modo complessivo tutta la sua vita pubblica, che culmina sulla croce. In altri termini, si tratta dell’ora della manifestazione messianica di Gesù: essa comincia a Cana e termina a Gerusalemme, il mattino di Pasqua.

L’insieme della risposta di Gesù assume ora il suo vero significato: a sua madre che si preoccupa di un dettaglio materiale, la mancanza di vino per il pranzo dello sposalizio, Gesù risponde che egli ha in vista un’altra cosa; per lui    è venuta l’ora di manifestarsi come Messia e di dar inizio alla sua missione. Questa risposta sembra implicare un rifiuto di compiere il suggerimento di Maria. Tuttavia, Gesù farà il miracolo, ma il vino che egli donerà sarà un «segno», il segno del vino messianico che egli ha la missione di portare.

«Fate tutto quello che egli vi dirà» (v. 5). Questa risposta di Maria mostra già che Gesù non le ha opposto un rifiuto. Piena di confidenza e di speranza, con  una disponibilità totale, ella dice ai servi: «Fate tutto quello che egli vi dirà». Questa formula viene dall’Antico Testamento, ma la sua risonanza varia secondo i contesti. Molto spesso vi si scorge una citazione della frase del faraone agli egiziani, durante la grande carestia: «Andate da Giuseppe. Fate tutto quello che egli vi dirà» (Gen 41,55). Ma non si vede affatto una rassomiglianza tra la situazione del faraone in Egitto e quella di Maria in Cana. Perciò è da preferire, con alcuni autori recenti15, l’interpretazione di queste parole come una reminiscenza della frase con la quale Israele, nel contesto della conclusione o del rinnovamento dell’Alleanza, prometteva l’obbedienza a Dio. Ecco la formula che si trova nell’Esodo, prima e dopo l’Alleanza del Sinai: «Tutto ciò che Jahvè ha detto, noi lo faremo» (Es 19,8; cfr 24,3.7). Le parole di Maria a Cana sono come la ripresa di questi impegni solenni, assunti da tutta l’assemblea d’Israele.

Questo accostamento diventa ancor più suggestivo quando si ricorda che qui Maria viene chiamata da Gesù: «Donna»; questo titolo, come  vedremo, evoca precisamente la Donna-Sion. La madre di Gesù rappresenta qui il popolo dell’Alleanza, col suo atteggiamento di obbedienza  alla Parola di Dio. Sottolineiamo ancora che questa interpretazione sembra essere stata accettata da Paolo VI nella sua esortazione Marialis cultus. Alla fine del documento egli scriveva:

«Sigillo della nostra esortazione ed ulteriore argomento del valore pastorale della devozione alla Vergine nel condurre gli uomini a Cristo, siano le parole stesse che ella rivolse ai servitori delle nozze di Cana: “Fate quello che egli vi dirà” (Gv 2,5); parole, in apparenza, limitate al desiderio di porre rimedio a un disagio conviviale, ma, nella prospettiva del quarto Evangelo, sono come una voce in cui sembra riecheggiare la formula usata dal popolo di Israele per sancire  l’alleanza sinaitica  (cfr Es 19,8; 24,3.7; Dt 5,27), o per rinnovare gli impegni (cfr Gios 24,24; Esd 10,12; Ne 5,12) […]»16.

 La fine del racconto: il versetto di conclusione (2,11)

Dal v. 5 al v. 10 il testo non presenta più difficoltà particolari. Ma noi dovremo fermarci ancora sul versetto di conclusione, dove Giovanni offre l’essenziale della sua interpretazione dell’episodio: «Questo fu l’inizio dei segni: Gesù lo compì a Cana di Galilea» (2,1 la). Due parole rivestono qui un’importanza speciale: «segni» e «inizio».

Nel quarto Vangelo non viene ripreso l’uso sinottico di indicare i miracoli di Gesù come «atti di potenza» (dynameis); essi sono piuttosto «segni» (sémeia)17. Questo termine deriva dall’Antico Testamento, dove esso può indicare i segni del tempo dell’Esodo oppure le azioni simboliche dei profeti. Giovanni parla di « segno », quando vuole sottolineare il valore significativo d’un avvenimento; non si tratta necessariamente di un miracolo, come si può notare nella conclusione del Vangelo (20,30), dove il termine « segno »  sembra essere usato in  riferimento al  gesto  di Gesù che mostra a Tommaso le ferite della Passione. Un «segno» è un atto simbolico, che deve aiutare a cogliere in profondità un aspetto del mistero di Gesù.

Se l’episodio di Cana è denominato «segno», ciò è dunque in forza del suo valore simbolico. Gran parte dei termini e delle espressioni prima rilevate – le nozze, il vino, lo sposo, la donna, «fate tutto quello che egli vi dirà» -, devono essere presi con tutta la risonanza teologica che avevano acquistato nella tradizione biblica. Giustamente, A. Feuillet scrive: «Cana è un segno, un simbolo della Nuova Alleanza»18. Ma Giovanni dice che questo fu «l’inizio» dei segni. Ciò non significa soltanto, in senso semplicemente cronologico, il primo dei segni19. La parola arché è caratteristica del vocabolario dell’autore del quarto Vangelo20. Per lui, che si  interessa tanto al tema della rivelazione, «l’inizio» assoluto per la fede cristiana fu quando Gesù cominciò a manifestarsi ai suoi (cfr Gv 15,27; 1 Gv 1,1-3). Concretamente, questo «inizio» coincideva col segno di Cana, poiché lì ebbe inizio questa rivelazione progressiva della gloria di Gesù, che sarebbe continuata durante tutto il Vangelo, culminando sulla croce. Il segno di Cana diventa così come un modello, un simbolo di tutta la vita di Gesù: «Più che il primo dei segni, esso è “l’archetipo”, nel quale è prefigurata e già contenuta tutta la serie successiva»21.

Significato teologico del segno di Cana

In questa terza parte, il nostro scopo è di fare un tentativo analogo a quello dei Padri, i quali, dopo l’indicazione del senso letterale di un passo, ne esponevano il senso spirituale. Ecco ciò che scriveva, per esempio, san Cirillo d’Alessandria:

«La spiegazione storica data finora è sufficiente: tentiamo ora di contemplare l’episodio sotto un’altra sfaccettatura, indicando tutto ciò che vi è insinuato»22. In altri termini, cerchiamo di cogliere il significato profondo del mistero, il  «non  detto» del testo, la «verità» del racconto. Lo metteremo in luce anzitutto dal punto di vista cristologico, quindi dal punto di vista mariologico.

Il tema cristologico fondamentale

Se raggruppiamo qui diverse delle osservazioni fatte sinora, vediamo irradiarsi un tema dominante, cioè quello della manifestazione di Gesù; ma questa manifestazione prende un aspetto tutto particolare nel segno di Cana.

La manifestazione messianica di Gesù. Tutto il contesto precedente, da 1,19 a 1,54, era orientato verso il tenia della rivelazione del Messia in Israele: tale era lo scopo della missione di Giovanni Battista (1,31), tale era anche il senso della concentrazione dei titoli messianici lungo tutto questo capitolo. Il punto culminante di questa sezione è costituito dall’episodio di Cana, dove Gesù manifestò la sua gloria » (v. 11).

Questo è confermato dal simbolismo del vino, che giuoca qui un ruolo così importante. In una tesi recente, A. Serra ha studiato tutta la ricchezza di questo simbolismo23. Presso i profeti dell’Antico Testamento la mancanza di vino era considerata come una grande disgrazia, che il popolo aveva meritato a causa della sua infedeltà all’Alleanza. La parola di Maria: «Essi non hanno vino» lascia quindi intendere che qui non si tratta d’un semplice dettaglio materiale in un festino nuziale, ma di ciò che fondamentalmente mancava al popolo prima della venuta del Messia. Tuttavia, il tema complementare, cioè quello della promessa del vino, è ancora più importante. I libri sapienziali scorgevano nel vino un simbolo della saggezza che sarebbe stata elargita agli uomini nel festino messianico (Prov 9,2.5). Nel giudaismo, il vino era divenuto uno dei simboli preferiti per designare la Legge, in modo particolare quella Legge nuova che un giorno avrebbe insegnato il Messia24.

Alla luce di questa tradizione, il tema del vino nell’episodio di Cana diventa estremamente significativo: il vino delle nozze non designa l’Eucaristía, come talvolta si è pensato, ma la pienezza della rivelazione portata da Gesù – Messia. Fondamentalmente, il segno di Cana ridice, in forma simbolica, ciò che la finale del prologo aveva spiegato in termini molto chiari: «La Legge fu data con l’intermediario Mosè; la grazia della verità venne a noi per mezzo di Gesù Cristo» (1,17). A Cana la Legge di Mosè era simboleggiata dall’acqua delle giare; quest’acqua fu da Gesù cambiata in un «buon vino», un vino eccellente (l’aggettivo kalós indica in san Giovanni le realtà messianiche) : questo «vino» era «la pienezza della verità», la rivelazione che Gesù – Messia portava, facendo conoscere se stesso. Approssimativamente era questa l’esegesi di santo Agostino: Bonum enim vinum Christus servavit usque adhuc, id est, evangelium suum25. 

Specificazione ulteriore del tema: le nozze messianiche della Nuova Alleanza. In questa prima sezione del Vangelo, dicevamo, tutto culmina nella rivelazione messianica di Gesù a Cana. Ma in che cosa consiste questa rivelazione? In che senso Giovanni scrive che Gesù vi «manifestò la sua gloria»?

Qui bisogna dare tutto il valore al secondo simbolismo dell’episodio, il simbolismo delle nozze. Come scrive in modo eccellente A. Lefèvre: «Nel mistero delle nozze di Cana tutto consiste nella presenza di questo sposo che è nascosto o piuttosto che comincia a manifestarsi»26. Molteplici indizi del testo invitano a comprendere l’episodio in questo modo. Nell’introduzione, Giovanni  insiste per tre volte sul tema delle nozze, senza dire niente degli sposi; ma sottolinea che Maria era là e che anche Gesù era stato invitato. Sul piano  strutturale e simbolico, cioè nella maniera in cui «funzionano» gli elementi  di questi versetti, Maria e Gesù, i veri personaggi del racconto, sono anche, in un senso profondo, gli «sposi» dell’episodio. Questa prima impressione è rafforzata da quanto leggiamo nel v. 10. Il maestro di  tavola, ignorando  la provenienza di  tutto questo buon vino, chiama lo sposo e gli dice: «Tu hai  conservato fino ad ora il vino buono». Ora, ciò ch’egli dice allo  sposo si applica in realtà a  Gesù. È lui il vero sposo del festino messianico. Ricordiamo, infine, che in Gv 3,28-29 Giovanni Battista dichiara nella sua ultima testimonianza: «Chi possiede  la  sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo» (3,29).

Come non ricordare qui il grande simbolismo dello sposalizio? Per i profeti,  le nozze erano il grande simbolo dell’Alleanza: Jahvè era lo Sposo; Israele, la Sposa27. Nel Nuovo Testamento il Cristo stesso è ormai lo Sposo; e la Sposa è il popolo messianico, la Chiesa28. Il  primo sviluppo neotestamentario di questo tema si trova precisamente nell’episodio di Cana, all’inizio del quarto Vangelo: «Gesù manifestò la sua gloria», dice san Giovanni; ricordiamo che la gloria, secondo la Scrittura, era propria di Dio; Gesù, a Cana,  manifesta la sua gloria, perché egli si fa conoscere come lo Sposo divino della nuova comunità messianica29.

Un dettaglio deve farci riflettere: l’interpretazione che abbiamo or ora proposto, troppo ignorata dai moderni, era la più fondamentale nella tradizione antica. La si trova, per esempio, in sant’Efrem, in san Cirillo d’Alessandria, in sant’Agostino e in san Tommaso; ed è ripresa in una celebre liturgia antica, nei vespri della festa del- l’Epifania: Hodie coelesti Sponso iuncta est Ecclesia, quoniam [… ] ex aqua fatta vino laetantur convivae.

La madre di Gesù nella Nuova Alleanza

La dottrina mariana che tradizionalmente si ricavava dal racconto giovanneo era incentrata sul ruolo mediatore della Vergine Maria. Tuttavia, l’esegesi recente non ne parla quasi più. E sembrerebbe a ragione, poiché Maria propriamente non ha domandato a Gesù di fare un miracolo. Il vero senso mariologico del racconto si situa a un altro livello, più profondo, più teologico; questo si rileva soprattutto dal titolo usato da Gesù per parlare a sua  madre, e  dal  ruolo che ella è chiamata a svolgere nell’economia della Nuova Alleanza.

Il titolo «Donna». L’uso di un titolo del genere era del tutto inusitato quando un figlio si rivolgeva alla madre. Gesù lo impiega qui, al principio della vita pubblica, anzitutto per indicare che i loro mutui rapporti ormai non si pongono più al semplice livello delle relazioni familiari. Ciò non significa che queste parole impli- chino un’esigenza di separazione provvisoria tra Maria e Gesù durante la vita pubblica30. Il significato è piuttosto un altro: a partire da questo momento Maria momento non sarà più soltanto la madre di Gesù; essa, la «Donna», avrà da svolgere anche un proprio ruolo nell’opera messianica di suo Figlio.

Questo ruolo viene già suggerito qui con la stessa denominazione di «Donna». Sembra che nulla, nel contesto, permetta di vedere un’allusione a Eva, la «donna» del Protovangelo (Gen 3,15 o 3,20)31. È più probabile che il titolo  evochi  il grande simbolo biblico della Donna-Madre, che designa la nuova Síon, la Gerusalemme messianica che raccoglie i suoi figli per la costituzione del nuovo popolo di Dio: essa viene chiamata la «Madre-Sion» (Sal 86 [87],5, 5 LXX); e i membri del popolo sono i suoi figli (Is 51,18.20; 66,8). La stessa idea è sviluppata nel giudaismo. Si legge, per esempio, nel Targum del Cantico: «In quell’ora Sion – che è la madre d’Israele – genererà i suoi figli, e Gerusalemme accoglierà i suoi figli [liberati] dalla schiavitù»32.

Risulta molto suggestiva l’applicazione di questi dati al testo di Cana. Qui Maria è considerata da Gesù come la «Donna»; non che essa sia già la diretta immagine della Chiesa, rappresenta piuttosto il popolo d’Israele nella sua situazione escatologica. Come dicevano alcuni commentatori del Medio Evo: Maria, nella sua funzione materna, apparirebbe qui come la «figura della Sinagoga»33. Quando Maria, a Cana, parla a suo Figlio del vino delle nozze, Gesù vede in lei tutta la collettività d’Israele che si rivolge a lui nel momento stesso in cui egli sta iniziando la sua opera messianica.

Duplice missione della madre di Gesù, come figura della «Donna – Sion». Dobbiamo ritornare ora sulle parole di Maria ai servi: «Fate tutto quello che egli vi dirà». Se queste parole, come abbiamo detto, sono una ripresa della promessa di obbedienza d’Israele nella ratifica dell’Alleanza, nel contesto di Cana esse acquistano una profondità nuova.

Qui non siamo più al livello morale o parenetico, quasi si trattasse semplicemente d’obbedire a Gesù. Certo, Maria domanda ai servi di obbedire a suo Figlio, ma lo richiede nel  momento in  cui  inizia l’Alleanza Nuova; ed ella lo chiede nel contesto di una festa (di nozze) che è il segno, il simbolo di questa Alleanza. L’atteggiamento richiesto qui da Maria ormai dovrà essere l’attitudine caratteristica e fondamentale di tutti i membri del nuovo popolo di Dio, del popolo dell’Alleanza Nuova. Perciò, non senza ragione, i « servi di Cana non sono chiamati douloi, ma diakonoi (vv. 5.9): la loro obbedienza al Cristo è il prototipo della diakonia nuova, l’obbedienza di fede che dovrà caratterizzare ormai i discepoli di Gesù.

Così, risalta anche il ruolo materno di Maria nella sua funzione di «Donna». Del resto, lo sfondo biblico del tema già lo suggerisce: la Donna-Sion era considerata da Israele come una Madre che, dopo la dispersione dell’esilio,  raccoglieva i suoi figli nell’unità. Bisogna anche ricordarsi della parola di Gesù, nei sinottici, circa il modo in cui si costituisce la comunità cristiana: «Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,34). Obbedire a Dio è per Gesù divenire «suo fratello, sua sorella e sua madre».

Maria, invitando i servi a prendere questo nuovo atteggiamento, diventa così la donna che aiuta a formarsi i discepoli, i fratelli di Gesù, cioè la nuova comunità messianica; essa esercita già un ruolo materno: la Madre – Sion diventa in Maria il modello ed il prototipo della Sion messianica, la Madre dei credenti e la Madre della Chiesa. Ma quanto a Cana è ancora implicito verrà detto esplicitamente da Gesù sulla croce. La scena di Cana annunzia e prefigura quella del Calvario.

Bisogna ricordare un secondo aspetto della portata mariologica del mistero di Cana: il ruolo sponsale di Maria. Molti esegeti e teologi recalcitrano istintivamente davanti ad una tale lettura del testo. Ma essa non ha niente di sconcertante, se si ricorda che qui non siamo più sul piano dei rapporti familiari, ma sul piano del mistero e dell’opera della salvezza. Crediamo che si debba accettare l’interpretazione proposta da j. P. Charlier su «la Vergine, Sposa di Cristo». Egli scrive: «Nei loro gesti e nel loro dialogo, la Vergine ed il Cristo, superando largamente il piano umano e materiale dei festeggiamenti locali, soppiantavano i giovani sposi di Cana per diventare lo Sposo e la Sposa spirituali del banchetto messianico»34.

Così, tutti gli aspetti del simbolismo di Cana a poco a poco si  unificano,  per configurarsi in un unico quadro nel quale domina un tema fondamentale di una grande ricchezza teologica: il tema delle nozze messianiche. Se la madre di Gesù rappresenta concretamente la Donna – Sion, ne consegue che essa è nello  stesso tempo la Sposa del Signore nel mistero dell’Alleanza e la Madre del nuovo popolo di Dio. Perciò, si vede qui abbozzarsi l’immagine di Maria, tipo della Chiesa, ma nello stesso tempo quella di Maria, Sponsa Christi e Mater Ecclesiae. 

Conclusione

Terminando, notiamo come il nostro orizzonte s’è progressivamente allargato. All’inizio si trattava semplicemente d’un miracolo di Gesù durante un banchetto di nozze. Tuttavia, il racconto giovanneo si colloca al termine di una serie  narrativa nella quale Gesù si manifesta gradualmente ai suoi discepoli. Giovanni ci invita a scorgere in esso un segno del mistero di Gesù. Questo stesso mistero si chiarifica a poco a poco con lo studio dei temi teologici usati da san Giovanni. Si sfocia così nella visione di un ampio affresco simbolico, il quale – sotto l’immagine delle nozze – rappresenta l’inizio dei tempi messianici e l’inaugurazione della Nuova Alleanza. Gesù occupa il posto che un tempo aveva Jahvè come Sposo d Israele; e la madre di Gesù, la «Donna», è ormai la  Sposa del Signore e la nostra Madre.

NOTE

1 Vedi, per es., J. RAMON SCHEIFLER, La vieja Navldad perdida. Estudio bíblico sobre la infancia de Jesús, in Sal Terrae 65 (1977), 835-851; X. PIKAZA, Los orígenes de Jesús. Ensayos de Cristologia bíblica, Salamanca, Sígueme, 1976, 26-36, 269-307, 379-426.

2 Cfr i nostri due studi: La concezione e la nascita verginale di Gesù secondo il quarto Vangelo, in Mater Ecclesiae 14 (1978), 66-67; La Mère de Jésus et la conception virginale du Fils de Dieu. Etude de théologie johannique, in Marianum 40 (1978), 41-90.

3 J.-P. CHARLIER, Le signe de Cana. Essai de théologie johannique, Bruxelles, La Pensée Catholique, 1959, 5.

4 Cfr anche il recente articolo di F.J. MOLONEY, From Cana to Cana (Jn 2:14:54) and the Fourth Evangelist’s Concept of correct (and incorrect) Faith, inSalesianum 40 (1978), 817-843.

5 Questa è la divisione proposta da CANTERA-IGLESIAS, nella Bible de Jerusalem e nella Traduction oecuménique de la Bible.

6 GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, La contemplation de Dieu. L’oraison de  Dom  Guillaume, Paris,  Ed. Du Cerf, 1959 (Coll. Sources Chrétiennes, n.61), 124-125.

7 Cfr L. DIEZ MERINO, «Galilea» en el IV Evangelio, in Estudios Bíblicos 31 (1972), 247-273.

8 F.M. BRAUN, La Mère des fidèles. Essai de théologie johannique, Paris-Tournai, Casterman, 19542, 49, n. 2.

9 A. SERRA, Maria a Cana e sotto la croce. Saggio di mariologia giovannea (Gv 2,1-12 e 19,25-27), Roma, Centro di cultura mariana «Mater Ecclesiae», 1978, 56.

10 M. THURIAN, Maria Madre del Signore, immagine della Chiesa, Brescia, Morcelliana, 1964, 150

11 In tal senso cfr i commentari antichi di CIRILLO D’ALESSANDRIA e di GAUDENZIO DI BRESCIA (Tract., 9, 3; Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum LXVIII, 75, righe 29-30). Cfr anche J.-P. CHARLIER, op. cit., 62-88.

12 Per esempio Ireneo e Crisostomo.

13 B. OLSSON, Structure and Meaning in the Fourth Gospel. A Text-Linguistic Analysis of John 2: 1- 11 and 4: 1-42, Lund, Gleerup, 1974, 39.

14 A. VANHOYE, Interrogation johannique et exégèse de Cana (]n 2,4), in Biblica 55 (1974), 157-167.

15 Cfr per es. A. SERRA, op. cit., 30-37.

16 Cfr AAS LXVI (1974), 166-167, n. 57; trad. it. in Per il culto della Beata Vergine, Alba, Ed. Paoline, 1974, 70.

17 «Prodigio» appare una sola volta (Gv 4,48): nella formula fissa «segni e prodigi» che si trova anche in Mt 24,24 e in Mc 13,22; «segno», invece, ricorre 17 volte nel quarto Vangelo (nei sinottici, rispettivamente: 13 volte in Mt, 7 in Mce 11 in Lc).

18 A. FEUILLET, L’heure de Jésus et le signe de Cana, in Etudes johanniques, Paris, Desclée De Brouwer, 1962, 29.

19 Primum, invece di arché, lo si trova in certi testi, per esempio in due manoscritti della vecchia versione latina. Molti autori si accontentano di questa interpretazione numerica; ma initium non è sinonimo di primum: il «primo» elemento di un insieme è  superato dal  momento in cui  si  passa al  «secondo»,  poi al terzo, ecc.; al contrario, ciò che costituisce «l’inizio» di una serie prosegue e si prolunga nella serie tutta intera.

20 Egli l’usa otto volte nel Vangelo (sinottici: 4-4-3) e 10 volte nelle lettere;  cfr il nostro studio: La notion de «commencenent» dans les écrits johanniques, in Die Kirche des Anfangs. Festschrift fair H. Schùrmann, Leipzig, St. Benno-Verlag, 1977, 379-403.

21 D. MOLLAT, nella Bible de Jérusalem, nota e a Gv 2,11.

22 S. CIRILLO D’ALESSANDRIA, In Joannis Ev. (PG 73, 228 B).

23 A. SERRA, Contributi dell’antica letteratura giudaica per l’esegesi di Giovanni 2, 1-12 e 19, 25-27, Roma, Herder, 1977, cap. III: Il simbolismo del vino di Cana e i suoi antecedenti biblico-giudaici, 229-257.

24 Cfr ivi, 239-244: Vino e Torah del post-esilio e del Messia; 244-250: Vino ed era escatologico – messianica; cfr soprattutto p. 250: «Vino» e «Nuova Alleanza».

25 S. AGOSTINO, In Joannis Ev., Tract. 9,2 (PL 35, 1459).

26 Citato da D. MOLLAT, Introductio in exegesim scriptorum Sancti Joannis, Romae, s.l., 1962, 142.

27 Cfr Os 2, 16-25; Ger 2, 1-2; 3, 1.6-12; Ez 16; Is 50,1; 54,4-8;  62,4-5;  cfr anche il Cantico dei  Cantici, che la tradizione ha interpretato come un’allegoria dell’amore tra Jahvè (lo Sposo) e Israele (la Sposa),

28 Mc 2, 18-20 par.; 2 Cor 11,2; Ef 5,25-33.

29 Cfr A. PROULX – A. ALONSO-SCHÖKEL, Las sandalias del Mesías Esposo, in Biblica 59 (1978), 1-37, specialmente 24-36: Símbolos matrimoniales en Juan 1-3; si  fa osservare giustamente che a  Cana gli sposi del racconto rimangono anonimi: elverdadero esposo es Jesús (p. 30).

30 Talvolta il testo è stato compreso in questo modo: Maria non ha ormai più da intervenire nella vita pubblica del proprio Figlio; tuttavia, una nuova forma di intervento comincerà per lei al dell’«ora» (cfr per esempio F.M. BRAUN, La Mère des fidèles, cit., 73-74.77). Ma essa è piuttosto l’ottica   del culto mariano posteriore, che non quella del testo di Giovanni. Cfr J.-P. MICIIAUD, Le signe de Cana dans son contexte johannique, Montréal, Edit. Montfortaines, 1963, 87, n. 2.

31 Per Gen 3,15 cfr F.M. BRAUN, Op. c’t., 50,91-94, e P. GACHTER, Maria im Erdenleben, Innsbruck, Tyrolia, 1953, 190,222-226; per Gen 3,20 cfr A.-M, DUBARLE, Les fondements bibliques du titre marial de nouvelle Eve, in Recherches de science religieuse 39 (1951), 49-64 (ma a  proposito di Gv  19,25-27, non di Cana) e J.-P. MICHAUD, op.cit., 87.

32 Citato da A. SERRA, op. cit., 355

33 Glossa interlinearis a Gv 2,1: «Mater figura synagogae», in Biblia sacra cura Glossa ordinaria…, V, Antverpiae, 1617, 1044; SAN ‘TOMMASO D’AQUINO, Super evang. S. Joannis (ed. Cai.), n. 346: «[…] gerens in hoc figuram synagogae, quac est mater Christi».

34 J.-P. CHARUER, Le signe de Cana, cit., cap. VI: La Vierge, Epouse du Christ, 77-86.