Con ancora nella memoria l’eco della visita a Barbiana di papa Francesco, i vescovi toscani mettono a tema l’acuta riflessione di don Lorenzo Milani sul primato della comunicazione e sul valore della parola.
«Da sempre la storia umana ne ha riconosciuto il potere – parola che trasforma e guarisce, ma anche immobilizza e ferisce -, al punto da elaborare vere e proprie strategie per irregimentarla e tenerla, se possibile, sotto controllo. Ed è paradossale che, proprio nel tempo in cui la comunicazione si moltiplica e tocca ogni sfera della vita, la parola umana subisce, in realtà, un vero e proprio esilio, un’incapacità a essere utilizzata con l’essenzialità e la forza che essa possiede».
Sommario
- Introduzione.
- I. Parole vuote, parole piene.
- II. Parola che fa eguali.
- III. Parola che distrae.
- IV. Parola
che forma. - V. Parola che informa.
- VI. Parola che incanta, accarezza e guarisce.
- VII. Parola che annuncia
- Conclusione
La lettera si apre con tre «dediche», messe lì come una sorta di chiave di lettura: un versetto dell’evangelista Luca (4,32) che testimonia come Gesù parlasse «con autorità», la celebre frase di don Milani «La lingua fa eguali» e una lirica di un Mario Luzi, dal titolo emblematico: «Vola alta, parola».
Nell’Introduzione si spiega «il perché di questa lettera» e se ne anticipa il percorso. Seguono otto capitoli e una breve conclusione. In Parole vuote, parole piene si riflette sulla «crisi» della parola al tempo dei social e nello stesso tempo della sua importanza. In Parola che fa eguali si rilancia quel «ridare la parola ai poveri» che costituisce il carisma di don Lorenzo Milani. Nel capitolo Parola che distrae si denuncia con accenti milaniani quella che viene definita l’«eresia del secolo», ovvero la «strategia della distrazione» che non risparmia nemmeno i sacerdoti. Parola che forma si occupa invece dell’educazione «uno degli obiettivi indubbiamente più alti che l’essere umano è chiamato a raggiungere per mezzo della parola». Segue un capitolo su Parola che informa ponendo l’accento soprattutto sulle «fake news». Parola che incanta, accarezza e guarisce è sulla «parola della bellezza», quella della poesia e dell’arte, oltre che degli affetti. Parola che annuncia riflette infine sull’annuncio cristiano con il «rischio delle “parole irreali”» e un invito a comunicare la gioia nello stile della misericordia.
DALL’INTRODUZIONE:
«È ancora viva nella nostra memoria l’eco della visita a Barbiana di papa Francesco, in occasione del 50° anniversario della morte di don Lorenzo Milani, della cui esperienza e del cui insegnamento i Vescovi toscani amano fare tesoro. Tra i molti temi sui quali il Priore di Barbiana si è soffermato, a noi preme particolarmente riportare all’attenzione la sua acuta riflessione sul primato della comunicazione e sul valore della parola. Da sempre la storia umana ne ha riconosciuto il potere – parola che trasforma e guarisce, ma anche immobilizza e ferisce –, al punto da elaborare vere e proprie strategie per irregimentarla e tenerla, se possibile, sotto controllo. Ed è paradossale che, proprio nel tempo in cui la comunicazione si moltiplica e tocca ogni sfera della vita, la parola umana subisce, in realtà, un vero e proprio esilio, un’incapacità a essere utilizzata con l’essenzialità e la forza che essa possiede (…)
Ecco, dunque, il senso di questa lettera che vuole essere, da un lato, un appello per non dimenticare il fascino della parola che è tra i principali strumenti che rendono possibile la comunicazione umana. E, dall’altro, un invito a metterci in cerca di quelle parole nuove – magari antiche, ma riscoperte nel loro senso più profondo e nascosto – che ci aiutino a illuminare il futuro verso il quale ci muoviamo e che, di fatto, è sconosciuto perché inedito, vale a dire ancora non raccontato.»
DALLA CONCLUSIONE:
«Giunti alla conclusione della nostra riflessione sulla forza della parola, ci rendiamo conto di avere, per così dire, solo alzato il velo su una questione di grandissimo rilievo e che continuerà a sfidarci per molti anni a venire. In effetti, come annunciato nell’introduzione, a noi premeva soprattutto attirare l’attenzione su questo tema cruciale, provando, in qualche modo, a saldare il debito di riconoscenza che le nostre Chiese, in Toscana e non solo, hanno accumulato nei confronti dell’esperienza e dell’insegnamento di don Lorenzo Milani.
In una lettera alla madre, con espressioni molto colorite, l’allora cappellano di S. Donato a Calenzano le confidava di essere certo di aver acceso così tante cariche di esplosivo con le proprie riflessioni che «non smetteranno di scoppiettare per almeno cinquant’anni». A mezzo secolo dalla sua morte, non possiamo che confermare quella profezia, riconoscendovi una provvidenziale benedizione e un forte invito a tenere almeno vivi quegli interrogativi e quelle provocazioni.
Il nostro auspicio è che questa lettera possa aiutare le nostre comunità a prendere maggiore coscienza del valore della parola e della ingente responsabilità che ce ne è stata affidata proprio come uditori e discepoli della Parola. La beata vergine Maria, nel cui grembo il Verbo si è fatto carne e che i nostri popoli da sempre venerano come Annunziata, interceda per noi e ci aiuti a rimanere fedeli al Vangelo e a non tradirne la forza di liberazione e di trasformazione».