«Un vescovo fatto Vangelo»: così monsignor Agostino Superbo, postulatore della causa di beatificazione, definisce don Antonio Bello, parafrasando una sua definizione di vescovo. «Vorrei essere – diceva infatti don Tonino all’inizio del ministero episcopale a Molfetta – un vescovo fatto popolo, un vescovo elevato alla dignità di popolo». A chi gli chiedeva le componenti della sua formazione umana, religiosa e pastorale, egli rispondeva con semplicità e immediatezza: «Il Vangelo e gli ultimi».
Sono passati 25 anni dalla sua morte, causata da un tumore e sono già stati messi in luce gli aspetti più significativi della biografia di don Tonino. Ma qual è oggi la sua eredità spirituale?
«La Chiesa del grembiule» (che è l’unico «paramento» indossato da Gesù nell’Ultima Cena) è l’espressione coniata da don Tonino per indicare il servizio ai fratelli, l’amore per gli ultimi, il coraggio di denunciare le ingiustizie sociali, la scelta della nonviolenza e della pace. «Sì, perché – egli diceva – di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. […] Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. […] Il Vangelo, per la Messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì Santo non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale». «La Chiesa del grembiule» per don Tonino è semplicemente «la Chiesa», una Chiesa che deve abbandonare i segni del potere per abbracciare il potere dei segni, per essere volto credibile del Vangelo nel mondo.
Dall’espressione «Chiesa del grembiule» emergono due aspetti fondamentali del pastore: don Tonino è l’uomo di Dio – un uomo di preghiera, un contemplativo – e il servo degli uomini. Disse una volta che «la logica della lavanda dei piedi è eversiva» e parlava della necessità di una Chiesa «estroversa», cioè non autoreferenziale, «in uscita» (come direbbe oggi papa Francesco). E lui è stato il primo a darne un esempio: ha aperto il palazzo vescovile agli sfrattati; ha accolto quanti bussavano alla sua porta; è stato vicino agli operai che lottavano per una più umana giustizia, ma soprattutto ai malati di AIDS e alle prostitute; ha difeso la causa dei disabili, dei disoccupati, dei primi immigrati dall’Albania.
Questo è l’abstract dell’articolo presente nel quaderno 4027 de “La Civiltà Cattolica“.