Nella sapienza tradizionale indiana si descrive la vita umana in quattro tappe, di per sé successive, ma che possono coesistere contemporaneamente. La prima è quella del discepolo che impara; la seconda vede il discepolo diventare padre e maestro e, quindi, è il tempo dell’insegnamento; segue quello che viene chiamato il “periodo del bosco”, cioè della riflessione e della maturità piena, umana e spirituale; infine si diventa con la vecchiaia “mendicanti”, bisognosi anche fisicamente dell’aiuto altrui.
Noi ora, riferendoci ai giovani secondo le Sacre Scritture, ci fermeremo sulle prime due tappe, imparare e insegnare, ma in chiave strettamente religiosa. Il testo base è il Salmo 78, un carme ampio e solenne che traccia l’itinerario della storia della salvezza come materia della catechesi familiare. Per questo citiamo la strofa di apertura che è esplicita nel delineare i genitori come «primi maestri della fede», per usare un’espressione del concilio Vaticano II.
«Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito un insegnamento in Giacobbe, ha posto una legge in Israele, che ha comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli, perché la conosca la generazione futura, i figli che nasceranno. Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli, perché ripongano in Dio la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio, ma custodiscano i suoi comandi» (Salmo 78,3-7).
Adottando una terminologia precisa, in questo passo salmico è in azione la “tradizione”, cioè la trasmissione della fede che, fin dall’Antico Testamento e poi con il cristianesimo, procede di generazione in generazione. Essa è designata da verbi caratteristici come «ascoltare, raccontare, conoscere». Sono poi indicati i soggetti che devono tenere viva la fede nella storia, cioè «i padri, i figli, le generazioni». Si definisce poi l’oggetto di questa trasmissione: «le azioni gloriose e potenti del Signore», le meraviglie da lui compiute, le opere di Dio, la sua legge e i suoi comandi.
Infine la reazione personale, positiva e negativa, derivante dalla libertà umana: «Ascoltare [cioè obbedire], conoscere [ossia amare], riporre la fiducia in Dio, custodire [cioè osservare i comandamenti]», ma anche «non dimenticare», tanto che subito si aggiunge: «Non siano come i loro padri, generazione ribelle e ostinata, generazione dal cuore incostante e dallo spirito infedele a Dio» (78,8). Importante rimane la struttura familiare della catechesi: la generazione precedente dei padri trasmette il messaggio della salvezza a quella più giovane in una catena ininterrotta garantita dallo Spirito Santo.
Il monito è costante nella Bibbia ed è rivolto proprio al genitore, purtroppo il grande assente nell’educazione familiare contemporanea: «Bada a te e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli» (Deuteronomio 4,9). Ed è significativa la celebrazione della cena pasquale giudaica che, sulla scia della tradizione biblica (Esodo 13,14), comprende una narrazione dell’atto divino liberatore dall’oppressione egiziana ma anche un dialogo tra padre e figlio sul significato permanente di quell’evento antico.