Juan Luis Caballero – Commento al Vangelo del 11 Giugno 2021

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Il vangelo della Messa di oggi (Mc 6, 7-13) ci fa vedere Gesù che invia i Dodici, a due a due, a predicare la conversione, a guarire e a liberare coloro che sono oppressi dal diavolo. Gesù chiede loro di fare quello che, successivamente, Pietro ricorderà in uno dei suoi discorsi negli Atti degli apostoli: «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10, 38). Missione, questa, alla quale tutti noi ci sentiamo chiamati. Però il testo sintetico del Vangelo di Marco ci dice molto di più di quello che sembra e, ad approfondirlo maggiormente, ci aiutano le altre letture che si leggono nella Messa.

Nella prima ci parla il profeta Amos: «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele» (Am 7, 14-15). Ciò che la prima breve lettura ci illumina riguardo al vangelo è proprio questa convinzione che è Dio che chiama il profeta: il vero profeta non agisce per motivi umani né predica un messaggio per fare colpo sugli ascoltatori. C’è in lui insieme umiltà e coraggio: il coraggio che viene dall’essere portatore di un messaggio divino, un messaggio che è amore e misericordia perché è invito alla conversione dalla quale dipende la stessa vita.

La stessa cosa ascoltiamo nel salmo: «Dio annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con fiducia» (Sal 85, 9). Quelli che ascoltano la parola di Dio sono amici e tutti siamo chiamati ad essere amici! Ma alcuni ascoltano e altri no, così il profeta non solo è inviato a portare un messaggio, ma ha la missione di tentare di aprire il cuore di chi lo ascolta, con almeno una piccola crepa che faccia, pian piano, entrare ed agire il messaggio divino.

Il profeta non è inviato per condannare, ma per parlare della salvezza di Dio, del suo amore e della sua misericordia e per ricordare a tutti che, lontano da Dio, nelle mani del peccato, non c’è vita possibile.

Al profeta, all’apostolo, è stato dato un grande potere e questo non dobbiamo dimenticarlo: «Non trascurare il dono che è in te» (1Tm 4, 14). Però a questo potere va unita la ferma convinzione che ogni autorità ha la sua fonte in Dio e, nel caso del profeta o dell’apostolo, che essa è destinata all’apostolato. Chi è inviato, come ci ricorda Marco, con sé porta soltanto il necessario per sostenersi lungo il cammino: un bastone. L’inviato è un pellegrino, che va di casa in casa, di cuore in cuore, portando la luce e la guarigione che è nel Vangelo, che è Cristo stesso e che agisce con forza attraverso lo Spirito. L’opera del profeta, proprio per questa azione che guarisce il corpo e lo spirito, mostra che il Regno di Dio è già qui, in mezzo a noi.

Questa potente azione della predicazione ha la sua fonte nello stesso Vangelo la cui predicazione, come dice san Paolo, è il principale salario che riceve chi evangelizza: «Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo» (1Cor 9, 18). Però, affinché questo succeda, bisogna impegnarsi a vivere il Vangelo che si è ricevuto, la fede apostolica, che lo stesso Paolo chiama scudo (Ef 6, 16). La seconda lettura della Messa odierna è una meravigliosa sintesi di questa fede, nel cuore della quale c’è l’eterno progetto di Dio: la chiamata degli uomini a essere suoi figli, a essere di fronte a Lui, per amore, santi e irreprensibili, perché su di essi ha versato con sovrabbondanza le ricchezze della sua grazia e ogni sapienza e prudenza (Cfr. Ef 1, 3-14).

Le letture della Messa di oggi ci richiamano a cosa siamo chiamati e la grandezza della condizione apostolica dei cristiani, sui quali Dio conta per fare conoscere a tutti il suo meraviglioso disegno: dobbiamo entrare in ogni casa per portare in ogni focolare la luce del vangeli! (Cfr. Mc 16, 15-18). La più grande forza del cristiano ha la sua radice nell’aver interiorizzato il vangelo e l’averlo fatto vita: nel sapersi tanto amati sin dall’eternità, nel sapersi chiamati a cose così grandi, nel sapere che Dio stesso conta su di noi, nell’esperienza della sua misericordia. Tutto ciò ci spinge a chiederci fino a che punto consentiamo che il Vangelo entri nel nostro cuore, per trasformarci. Dipendono da questo, la forza e la convinzione con le quali parliamo di Dio a ogni persona.


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