- Questo racconto manca nei migliori manoscritti greci. Per i cattolici è canonico, ma la cosa più sicura è che si tratta di un episodio collocato fuori dal suo contesto. Alcuni pensano che questo contesto sarebbe il vangelo di Luca, quando oramai vicino alla passione, Gesù riceve dai leader religiosi le domande più insidiose (cf. Lc 21,38; 20,20-40) (Raymond E. Brown). La Chiesa, a partire dall’Antichità, ha accettato questo racconto come autentico.
- L’episodio suscita indignazione soprattutto nella nostra attuale cultura, quando sosteniamo l’uguaglianza in dignità e diritti per l’uomo e per la donna. Gli accusatori basano la loro accusa sulla legge di Mosè che dice: “Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte” (Lv 20,10; cf. Dt,22,22). Ma, a giudizio dei “dotti” e degli “osservanti” chi meritava la morte era solo la donna. E chi ha commesso adulterio con lei?
Quest’evidente ingiustizia ha le sue radici nella differenziazione dei sessi, che passò a far parte dell’eredità biologica dei sessi (W. Burkert, D. Morris, Margaret Mead). Il problema si pone a partire dal momento in cui l’eredità biologica si è costituita come differenza radicale di diritti e disuguaglianza. Una differenza che le tradizioni religiose hanno aumentato fino all’abuso, l’oppressione e la violenza in tutte le sue forme.
- Gesù non condanna la donna. Gesù depenalizza l’adulterio. E – cosa più forte – Gesù smaschera l’ipocrisia dei “professionisti della religione”, un collettivo nel quale abbondano i censori senza pietà quando si tratta dei peccati e dei delitti degli altri, mentre occultano non poche volte questi stessi peccati e delitti quando a commetterli sono i dirigenti religiosi. Questo succedeva al tempo di Gesù. Questo continua a succedere oggi. Una mentalità con la quale si scontra papa Francesco.
José María Castillo