Introduzione del Card. Gualtiero Bassetti alla 72ª Assemblea Generale – 12-15 novembre 2018

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Assemblea Generale

Roma, 12-15 novembre 2018

Introduzione Card. Gualtiero Bassetti
Presidente 

Em.ze, Ecc.ze, Confratelli e Amici: benvenuti!

Nello scorso mese per diversi di noi entrare in quest’Aula è stata un’esperienza quotidiana, che abbiamo compiuto a nome di una Chiesa che più che voler fare qualcosa per le nuove generazioni intende con loro crescere nella comprensione e nella sequela del Vangelo. Sui passi del Risorto, con e sotto la guida di Pietro, abbiamo rinnovato la disponibilità a percorrere la stessa strada dei giovani, pur quando questa ne segna le lontananze. Con la saggezza dell’educatore, ci siamo lasciati interrogare dalle loro parole e – forse più ancora – dai loro silenzi, accettando di entrare anche nella notte delle loro solitudini.

Nel farlo, intendiamo offrire con umiltà e fiducia quanto abbiamo di più caro, ossia quell’esperienza cristiana che riscalda il cuore, apre gli occhi e ridona una nuova direzione: all’andare dei giovani come al nostro stesso cammino. Infatti, se Papa Francesco ha potuto riconoscere che «il Sinodo è stato una buona vendemmia e promette del buon vino» (Angelus, 28 ottobre 2018) è perché il tema della consegna del Vangelo alle giovani generazioni si è trasformato nella domanda su quale forma dare al nostro essere Chiesa. Sì, il Sinodo ci ha provocati a rinvigorire la nostra appartenenza e, quindi, a individuare le modalità della missione, con cui affrontare le opportunità e le sfide di questo tempo.

Del resto, all’appuntamento sinodale non siamo certo arrivati digiuni. Penso, in particolare, alle tante iniziative di ricerca e confronto che hanno animato le nostre Chiese negli ultimi due anni e che sono sfociate nell’intensa esperienza di quest’estate. Accompagnare i giovani sui sentieri della fede, così ramificati nei territori del nostro Paese, ci ha aiutato a ritrovare uno slancio propositivo, nella bellezza di un dialogo intergenerazionale. L’incontro con il Santo Padre ci ha mostrato una volta di più quanto possa essere appassionante l’impegno per costruire relazioni buone, di cura e dedizione. La consegna del Vangelo – della vita buona del Vangelo – non può, infatti, risolversi in una trasmissione di nozioni, ma si gioca all’interno di una rete di relazioni che recupera il senso della comunità: attraverso le parrocchie, le associazioni e i movimenti, i luoghi di spiritualità animati dalla vita consacrata e quelli solitamente abitati dai giovani, a partire dalla scuola, dall’università e dai luoghi della formazione professionale.

Non che sia facile o scontato: siamo consapevoli che troppi giovani oggi non ritengono la Chiesa un interlocutore significativo. Pesano mediocrità e divisioni, spesso alimentate ad arte, rispetto alle quali riaffermiamo la nostra vicinanza al Santo Padre. Pesano scandali economici e sessuali: ne parleremo nei prossimi giorni, aiutati da Mons. Lorenzo Ghizzoni. Pesa una cultura dell’autorità che esclude dalla partecipazione e, a volte, diventa anche abuso.

Ora, se la nostra missione non è quella di creare una Chiesa per i giovani, ma piuttosto quella di riscoprire con loro la perenne giovinezza della Chiesa, abbiamo davanti – e il Sinodo ce l’ha additata con chiarezza – un’unica via: quella che passa dalla misura alta della santità, frutto dell’incontro personale con il Signore Gesù, incontro cercato e custodito, celebrato e vissuto nella fraternità.

E non è forse lo stesso compito attorno a cui ruota questa nostra Assemblea?

L’approvazione della terza edizione italiana del Messale Romano costituisce l’atto finale di un lungo lavoro di studio, ricerca e confronto. Come ci aiuterà a ricostruire Mons. Claudio Magnago, tale lavoro ha attraversato diverse stagioni della vita ecclesiale: dall’Istruzione Liturgiam authenticam del 2001 al Motu proprio di Papa Francesco dello scorso anno, Magnum principium, che – in conformità al dettato conciliare – riconsegna alle Conferenze episcopali la grande responsabilità di “approvare” la traduzione dei libri liturgici. A ben vedere, non si tratta soltanto di una questione pratica, procedurale, ma di una tappa significativa del processo di riforma della Chiesa nella prospettiva della sinodalità.

Già l’Evangelii gaudium, del resto, auspica un ritorno a tale modello, vissuto dalla Chiesa soprattutto in epoca patristica. «Il Concilio Vaticano II – scrive il Santo Padre – ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze Episcopali possono “portare un molteplice e fecondo contributo, affinché il senso di collegialità si realizzi concretamente (LG 23)” (EG 32)».

In questo orizzonte la pubblicazione di una nuova edizione del Messale non può risolversi nell’aggiornamento di un libro, ma costituisce un tassello prezioso della riforma liturgica, che va rilanciata, approfondita e affinata per un rinnovamento di vita delle nostre comunità cristiane. È un impegno decisivo, a cui ci introdurrà la relazione del Preside dell’Istituto Santa Giustina, Prof. Don Luigi Girardi, e a cui contribuirà il confronto tra noi, nei gruppi di lavoro come nel momento assembleare.

La votazione finale del testo presenta ancora alcune decisioni rilevanti che siamo chiamati a condividere. Mi riferisco, in particolare, alla questione della traduzione della supplica “et ne nos inducas in tentationem” del Padre nostro. Si tratta di una decisione da assumere con sapienza teologica e con saggezza pastorale, nella consapevolezza che il Pater è non solo parte integrante dell’Ordo Missae, ma si configura anche come la preghiera, che ritma il respiro orante del popolo di Dio.

In definitiva, sarà importante non sviare dal compito di impostare con lungimiranza una pastorale liturgica della recezione del Messale, perché la variazione di traduzione sia un’ulteriore occasione per quella formazione operosa e paziente affidataci dalla Sacrosanctum Concilium.

Cari Confratelli, usciamo da giorni che ci hanno fatto nuovamente sperimentare la fragilità idrogeologica del nostro Paese. Ci stringiamo solidali alle Regioni più colpite, rinnovando la nostra attenzione e la nostra disponibilità.

Lo facciamo mentre tocchiamo con mano anche altre fragilità, che minacciano lo smottamento sociale.

Penso alla fragilità valoriale. Alla fragilità del sentimento comune. Alla fragilità culturale: senza avvolgerci in inutili vittimismi, ne è espressione la stessa caricatura che anche di recente i media hanno offerto della nostra Chiesa, quasi fossimo preoccupati essenzialmente di difendere posizioni di privilegio e tornaconto economico.

In realtà, ciò che ci preoccupa è altro. Lo respiriamo stando in mezzo alla gente e facendo nostre le sue attese. Sono le attese frustrate rispetto al lavoro, per cui molti giovani, per poter immaginare un futuro, si ritrovano costretti ad andarsene dalla nostra terra. Sono le attese delle famiglie ferite negli affetti, che soffrono nel silenzio delle solitudini urbane e nell’avvizzimento dei sentimenti. Sono le attese degli anziani, che non si sentono più utili a nessuno, privi di quella considerazione di cui avrebbero – o, meglio, avremmo tutti – tanto bisogno. Sono le attese di una scuola qualificata, che sia frontiera e laboratorio educativo da cui non possono essere esclusi i nuovi italiani, per i quali torniamo a chiedere un ripensamento della legge di cittadinanza. Sono le attese di una sanità puntuale, attenta e accessibile a tutti. Sono le attese di una giustizia che – rispetto al malaffare e alla criminalità organizzata – continui a perseguire un uso sociale dei beni recuperati alla legalità. Sono le attese di un uso del potere, che sia davvero corretto e trasparente.

In un Paese sospeso come il nostro, caratterizzato dalla mancanza di investimenti e di politiche di ampio respiro, gli effetti della crisi economica continuano a farsi sentire in maniera pesante, aumentando l’incertezza e la precarietà, l’infelicità e il rancore sociale. Al posto della moderazione si fa strada la polarizzazione, l’idea che si è arrivati a un punto in cui tutti debbano schierarsi per l’uno o per l’altro, comunque contro qualcuno. Ne è segno un linguaggio imbarbarito e arrogante, che non tiene conto delle conseguenze che le parole possono avere. Stiamo attenti a non soffiare sul fuoco delle divisioni e delle paure collettive, che trovano nel migrante il capro espiatorio e nella chiusura un’improbabile quanto ingiusta scorciatoia. La risposta a quanto stiamo vivendo passa dalla promozione della dignità di ogni persona, dal rispetto delle leggi esistenti, da un indispensabile recupero degli spazi della solidarietà.

Stiamo attenti, dicevo: se l’Italia rinnega la sua storia e soprattutto i suoi valori civili e democratici, non c’è un’Italia di riserva. Se si sbagliano i conti non c’è una banca di riserva che ci salverà: i danni contribuiscono a far defluire i nostri capitali verso altri Paesi e colpiscono ancora una volta e soprattutto le famiglie, i piccoli risparmiatori e chi fa impresa. Così, se l’Unione Europea ha a cuore soltanto la stabilità finanziaria, disinteressandosi di quella sociale e delle motivazioni che soggiacciono ai vincoli europei; se perde il gusto della cittadinanza comune e del metodo politico della cooperazione, non c’è poi un’Europa di riserva e rischiamo di ritornare a tempi in cui i nazionalismi erano il motore dei conflitti e del colonialismo. Questo nonostante le opportune celebrazioni di questi giorni per il centenario della fine della Grande Guerra!

Come Vescovi non intendiamo stare alla finestra. La Chiesa vuole contribuire alla crescita di una società più libera, plurale e solidale, che lo stesso Stato è chiamato a promuovere e sostenere. In particolare, come Pastori, proprio perché consapevoli delle responsabilità spirituali, educative e materiali di cui siamo portatori, ci riconosciamo attorno a due principi, che appartengono alla storia del movimento cattolico di cui siamo parte.

Il primo è il servizio al bene comune. Nella complessità di questa stagione, i limiti individuali possono trovare una compensazione soltanto nella dimensione comunitaria, educandoci a pensare e ad agire insieme. La politica migliore è quella che opera in unità di mente e di cuore, senza cadere in faziosità. Al riguardo, a cent’anni dalla morte, l’esempio del beato Giuseppe Toniolo ha ancora molte cose da dirci: in una situazione in cui i cattolici erano politicamente irrilevanti e comunque impediti, egli seppe riunirli attorno a un impegno per il lavoro, la giustizia e la pace sociale; con il suo servizio culturale divenne promotore di legislazioni e di opere sociali a favore delle classi più disagiate. Così, la sua visione di un’economia per l’uomo, permeata dall’etica e governata dai principi di sussidiarietà e di solidarietà, rimane anch’essa una lezione estremamente attuale.

Il secondo principio è la laicità della politica. Ne sono stati interpreti uomini di fede che hanno fatto grande la nostra storia. Penso a un De Gasperi, che seppe lottare per difendere la propria fede con grande pudore, facendo gli interessi dei cittadini, in piena e sofferta autonomia di pensiero, di parola e di azione.

Cari amici, guardiamo avanti con fiducia. C’è un Paese che – come la vedova povera e generosa, di cui parlava il Vangelo di ieri – non solo sa contenere la preoccupazione ansiosa per il domani, ma continua a dare quello che ha e quello che è, senza far rumore, con larghezza di cuore e purezza d’intenzione. La storia è davvero scritta anche dai piccoli, anzi probabilmente proprio loro scrivono la storia più vera e profonda, più ricca di fiducia in Dio e di attenzione agli altri.

Su questa via c’è la possibilità per ciascuno di tornare al gusto di relazioni costruttive, perché vere, buone e belle. Il Vangelo non è un sospiro, ma un respiro a pieni polmoni: è quel silenzio che sostanzia ogni parola, quell’appartenenza che porta a riconoscersi comunità, quello sguardo che abbraccia ogni momento della vita.

Concludo affidando alla misericordia del Padre i Confratelli che, dalla scorsa Assemblea, Egli ha chiamato a sé: Mons. Giuseppe Rocco Favale, Vescovo emerito di Vallo della Lucania; Mons. Giovanni Marra, Arcivescovo emerito di Messina – Lipari – Santa Lucia del Mela; Mons. Bassano Staffieri, Vescovo emerito di La Spezia – Sarzana – Brugnato; Mons. Raffaele Castielli, Vescovo emerito di Lucera – Troia; Mons. Antonio Santucci, Vescovo emerito di Trivento; Padre Abate Tarcisio Giovanni Nazzaro, Abate Ordinario emerito di Montevergine; Mons. Pellegrino Tomaso Ronchi, Vescovo emerito di Città di Castello.

Un saluto colmo di gratitudine a quanti sono divenuti emeriti: Mons. Francesco Giovanni Brugnaro, Arcivescovo emerito di Camerino – San Severino Marche; Mons. Gabriele Mana, Vescovo emerito di Biella; Mons. Francesco Guido Ravinale, Vescovo emerito di Asti.

Infine, un benvenuto ai nuovi membri della nostra Conferenza: Mons. Cesare Di Pietro, Vescovo ausiliare di Messina – Lipari – Santa Lucia del Mela; Mons. Roberto Farinella, Vescovo di Biella; Mons. Francesco Massara, Arcivescovo di Camerino – San Severino Marche; Mons. Marco Prastaro, Vescovo di Asti; Mons. Franco Moscone, Arcivescovo eletto di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo.

L’ultimo pensiero è per Mons. Stefano Russo, Vescovo di Fabriano – Matelica, che con gioia e fiducia accogliamo come nostro nuovo Segretario Generale.