Introduzione del Card. Gualtiero Bassetti ai lavori della seconda giornata dell’Assemblea Generale Ordinaria della CEI – 2019

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Il testo ed il video del card. Bassetti nell’introduzione alla seconda giornata, 21 maggio 2019, dell’assemblea generale CEI.

Cari fratelli,

rinnovo a ciascuno di voi il benvenuto mio e della Presidenza. Un saluto altrettanto cordiale lo rivolgo al Nunzio Apostolico in Italia, Emil Paul Tscherrig, e ai fratelli nell’Episcopato che rappresentano le Chiese che sono in Europa.

Arriviamo a questo appuntamento – che qualifica l’ultimo tratto dell’anno pastorale – con i sentimenti del seminatore, che non nasconde la sua stanchezza, ma la porta con la fiducia di chi – nel seme che muore – già intravede il raccolto di domani.

Torniamo a riunirci con disponibilità, sapendo che ciascuno ha qualcosa da imparare dall’altro. Accogliamoci reciprocamente “per camminare insieme in un esempio di sinodalità”: sia questa la modalità con cui portare avanti corresponsabilità e processi decisionali; sia questo il nostro metodo di vita e di governo, secondo la doppia modalità – sottolineata dal Papa – dal basso in alto e dall’alto in basso. La sinodalità non è un evento da celebrare, ma uno stile da lasciar trasparire nel linguaggio, nella stima vicendevole, nella gratitudine, nella cura delle relazioni: tra noi e con il Popolo di Dio, a partire dai nostri presbiteri.

Chiediamo al Signore la grazia di vivere queste giornate come un’opportunità preziosa di fraternità in cui confrontarci e rinfrancarci a vicenda, per esercitare quel discernimento comunitario che consente di assumere con coraggio e docilità ciò che oggi lo Spirito suggerisce. Ne abbiamo fatto esperienza nell’incontro vissuto ieri sera con il Santo Padre, a cui va la nostra gratitudine e affettuosa solidarietà: il nostro ministero episcopale vive intimamente legato al suo servizio di unità e di presidenza della carità; in lui troviamo riferimento, monito e promessa.

Sullo sfondo di questa sintonia con il magistero di Papa Francesco, appare quanto mai significativo il tema centrale di questa nostra Assemblea: “Modalità e strumenti per una nuova presenza missionaria”. Preziosa per tutti è anche la presenza fra noi di una quindicina di missionari, che ringraziamo per la testimonianza evangelica di cui sono espressione. Affrontare il tema della missione non significa mettere in fila una nuova serie di attività da realizzare, ma piuttosto fare nostro un nuovo modo di essere Chiesa, che, in quanto tale, coinvolge l’esistenza di ciascuno e l’intera pastorale.

Ce lo chiede quella stessa realtà che non ci stanchiamo di accompagnare con sguardo di pastori. È questo sguardo, infatti, a farci prendere coscienza del cambiamento d’epoca nel quale siamo immersi, che ha archiviato il tempo in cui un progetto pastorale poteva essere sviluppato appoggiandosi su un tessuto per molti versi omogeneo. Oggi, come ci ricorda l’Evangelii gaudium, siamo chiamati ad “abbandonare il comodo criterio pastorale del si è sempre fatto così” (EG 33), per trasformare la nostra tradizione in “spinta verso il futuro”, capace di “fornire forza e coraggio per il proseguimento del cammino”.

Va in questa direzione lo stesso tema degli Orientamenti pastorali, anch’esso all’ordine del giorno dei nostri lavori: ci permetterà di iniziare a individuare la direzione di marcia e a condividere spunti di riflessione, contenuti e proposte per le nostre Chiese.

Ora, ogni mutamento di paradigma ha la sua sorgente e la sua giustificazione nel Vangelo; un Vangelo creduto e vissuto, che rimane scandalo e follia rispetto a ogni logica mondana. Un Vangelo che parla nell’umiltà di chi, non cercando la propria gloria, sa ascoltare e comprendere i bisogni della gente. Ancora: un Vangelo che parla nella gratuità di chi non ripone la “fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte”, ma ha a cuore la vita concreta degli altri. Un Vangelo, infine, che parla – prima ancora che nella gioia suscitata nei destinatari – in quella testimoniata da chi lo annuncia.

Umiltà, gratuità, gioia: come ricorderete, sono i sentimenti di Cristo Gesù, che papa Francesco ci ha messo davanti a Firenze, dove ha tracciato il piano per la Chiesa in Italia. Puntare a farli nostri – fino a trasformarli in atteggiamenti permanenti – è la condizione per essere all’altezza della nostra missione. Diversamente, come ci ammoniva il Santo Padre, “non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significherebbe costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto e che rendono sterile il dinamismo” missionario.

La finalità ultima del nostro andare rimane l’annuncio della paternità misericordiosa di Dio, che ci è rivelata in Cristo Gesù, perché ciascuno possa trovare in Lui il significato ultimo e unificante della vita. Se siamo spinti a oltrepassare i confini del gruppo, della piccola comunità, della cerchia rassicurante di chi la pensa come noi; se ci sta a cuore la dignità di ogni persona, la vita nascente come quella che giunge al suo tramonto, la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili – per cui in questi giorni andremo ad approvare le Linee guida – il futuro dei giovani, il lavoro, le famiglie provate dalla quotidianità, la persona migrante e le cause che l’hanno costretta a lasciare la sua terra, la custodia del creato e lo sviluppo sostenibile, la testimonianza da offrire ai credenti di altre fedi attraverso la meditazione delle Scritture Sacre e il dialogo ecumenico e interreligioso… Se tutto questo ci sta a cuore è perché siamo radicati nel Signore Gesù. È Lui la ragione per cui nessuna situazione, nessuna circostanza, nessun ambito umano può trovarci estranei o indifferenti. In Lui non finiremo mai di “scoprire i tratti del volto autentico dell’uomo”, come pure di spenderci perché tutti abbiano la vita: ne è parte l’impegno per “l’inclusione sociale dei poveri” come l’essere “fermento di incontro e di unità” per “costruire insieme con gli altri la società civile”.

A questo riguardo, consentitemi di essere estremamente esplicito almeno su tre questioni, strettamente legate all’attualità.

Innanzitutto, avverto una crescente preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare con la riforma del Terzo settore. Al fondo restano ancora antichi pregiudizi per le attività sociali svolte dal mondo cattolico; pregiudizi che non consentono di avere ancora una normativa adeguata a rispondere alle esigenze di centinaia di migliaia di persone, dedite al prossimo e alle persone bisognose. Si tratta di un mondo di valori e progetti realizzati, di assistenza sociale, di servizi socio-sanitari, di spazi educativi e formativi, di volontariato e impegno civile. In una società libera e plurale questo spazio dovrebbe essere favorito e agevolato in ogni modo. Per questo non si può che rimanere sconcertati vedendo che al Paese intero si manda un segnale di segno opposto, intervenendo senza giustificazione alcuna per raddoppiare la tassazione sugli enti che svolgono attività non commerciali. Al Governo chiediamo non sconti fiscali o privilegi, ma regole idonee e certe, nel rispetto di quella società organizzata e di quei corpi intermedi che sono espressione di sussidiarietà; riposta di prossimità offerta al bene di ciascuno e di tutti; risposta qualificata dall’esperienza e dalla creatività, dalla professionalità e dalle buone azioni.

Un secondo tema riguarda la situazione che è venuta a determinarsi nel Centro-Italia all’indomani del terremoto. Il nostro è un Paese unico, tanto per bellezza quanto per fragilità. Proprio la fragilità, però, potrebbe essere la nostra forza e trasformarsi in occasione di cura e solidarietà, purché la generosa laboriosità di tanti cittadini s’incontri con l’impegno di chi ha la responsabilità civile e politica. Lo reclamano le tante abitazioni ancora inagibili della nostra gente; lo reclamano le nostre chiese: sono 3.000 quelle danneggiate dal sisma; l’impegno, su cui ci si è confrontati per mesi, ne prevede la ricostruzione di 600, quali luoghi di culto, di riferimento e aggregazione per tutta la comunità. È decisivo, dunque, che le ordinanze siano rese operative, che le procedure concordate per la ricostruzione trovino attuazione, che i fondi stanziati si traducano in interventi concreti.

Un ultimo aspetto su cui è doveroso soffermarsi riguarda il futuro dell’Unione Europea. È vero che oggi l’Europa è sentita come distante e autoreferenziale, fino al punto da far parlare di una “decomposizione della famiglia comunitaria”, su cui soffiano populismi e sovranismi. Lasciatemi, però, dire – forse un po’ provocatoriamente – che il problema non è innanzitutto l’Europa, bensì l’Italia, nella nostra fatica a vivere la nazione come comunità politica. Oggi, noi italiani, cosa abbiamo ancora da offrire? Penso alle nostre virtù, prima fra tutte l’accoglienza; penso a una tradizione educativa straordinaria, a uno spirito di umanità che non ha eguali; penso alla densità storica, culturale e religiosa di cui siamo eredi. Attenzione, però: non si vive di ricordi, di richiami a tradizioni e simboli religiosi o di forme di comportamento esteriori!

Il nostro è un patrimonio che va rivitalizzato, anche per consentirci di portare più Italia in Europa. Dobbiamo essere fino in fondo italiani – convinti, generosi, solidali, rispettosi delle norme – perché anche l’Europa sia un po’ più italiana. Dobbiamo essere fieri – sia detto senza alcuna presunzione – di un Cristianesimo che ha disegnato il Continente con il suo contributo di spiritualità e cultura, di arte e dottrina sociale. Di umanesimo concreto. Come italiani dovremmo essere il volto migliore dell’Europa per dare più fierezza ai nostri giovani, ai nostri emigrati e a quanti sbarcano sulle nostre coste, perché siamo il loro primo approdo.

Con questa prospettiva, va valorizzata l’opportunità che ci è offerta dalle elezioni di domenica prossima: chiediamo a tutti di superare riserve e sfiducia e di partecipare al voto. Siamo consapevoli che questo rimane solo il primo passo, ma è un passo che non ci è dato di disertare.

Del progetto europeo è parte integrante il Mediterraneo. Va colto in questa luce l’Incontro di riflessione e spiritualità per la pace, che si svolgerà a Bari dal 19 al 23 febbraio del prossimo anno. Sarà un’assise unica nel suo genere tra i Vescovi cattolici di tutti i Paesi lambiti dal Mare Nostrum; un incontro che si prefigge di contribuire alla promozione di una cultura del dialogo e della pace per il futuro dell’intero bacino mediterraneo. Papa Francesco non soltanto ha benedetto l’iniziativa, ma vi ha posto il suo sigillo, assicurandoci la sua partecipazione nella giornata conclusiva.

Cari amici, come l’Evangelii gaudium insegna e la storia della Chiesa e la nostra stessa esperienza confermano, “ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade e metodi creativi” (n. 11).

Non siamo noi gli autori, non siamo noi i protagonisti della missione… A noi, piuttosto, è concesso il privilegio di esserne strumento, inviati al mondo per amare, servire, annunciare, consolare, liberare. Con il coraggio di affrontare anche nuovi tratti di strada, finora poco o per nulla battuti, per raggiungere con la luce del Vangelo ogni situazione umana; nella disponibilità a lasciare tutto – senza rimpianto alcuno – per il bene della missione e delle persone incontrate.

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Prima di concludere, saluto a nome di tutti voi, i nuovi membri che, dall’assise dello scorso novembre, sono stati aggiunti alla nostra Assemblea: S.E. Mons. Marco Salvi (Vescovo ausiliare di Perugia – Città della Pieve), S.E. Mons. Giuseppe Schillaci (Vescovo eletto di Lamezia Terme), S.E. Mons. Andrea Bellandi (Arcivescovo eletto di Salerno – Campagna – Acerno), S.E. Mons. Giovanni Nerbini (Vescovo eletto di Prato).

Un pensiero, altrettanto cordiale, lo rivolgo ai Vescovi divenuti emeriti: S.E. Mons. Benvenuto Italo Castellani (Lucca), S.E. Mons. Valentino Di Cerbo (Alife – Caiazzo), S.E. Mons. Luigi Antonio Cantafora (Lamezia Terme) S.E. Mons. Luigi Moretti (Salerno – Campagna – Acerno), S.E. Mons. Ignazio Sanna (Oristano), S.E. Mons. Antonio Buoncristiani (Siena – Colle di Val d’Elsa – Montalcino), S.E. Mons. Franco Agostinelli (Prato).

La nostra preghiera abbraccia, infine, i Vescovi defunti: S.E. Mons. Rosario Mazzola (Vescovo emerito di Cefalù), Dom Emiliano Fabbricatore (Esarca emerito di Santa Maria di Grottaferrata), S.E. Mons. Vigilio Mario Olmi (Vescovo già ausiliare di Brescia), S.E. Mons. Dino De Antoni (Arcivescovo emerito di Gorizia), S.E. Mons. Antonio Napoletano (Vescovo emerito di Sessa Aurunca), S.E. Mons. Domenico Padovano (Vescovo emerito di Conversano – Monopoli).

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Vi auguro davvero: “Buona Assemblea”. Del resto, quando poniamo al centro non i nostri progetti, ma il Signore Gesù, ci ritroviamo subito in missione. Torniamo all’essenza del messaggio cristiano, a quella fede viva che ha il suo cuore nell’amore a Dio e ai fratelli: essa – mentre costituisce il miglior antidoto contro lo smarrimento e le paure – offre il quadro di riferimento che assicura il primato dell’uomo e la protezione e promozione dei più deboli.