Il commento alle letture del 23 Ottobre 2018 a cura del sito Dehoniane.
S. Giovanni da Capestrano, sacerdote (memoria facoltativa)
XXIX settimana del tempo ordinario II settimana del salterio
Quelli che aspettano
Le attese, talvolta, sono momenti lunghissimi e interminabili. Qualche volta poi sono anche odiose e snervanti. Soprattutto quando le dobbiamo vivere con il cuore in sospeso, perché siamo ancora in attesa che i nostri desideri più profondi possano trovare compimento. Spesso le attese diventano persino estenuanti, quando riescono a svuotare quella dispensa di pazienza e di fiducia con cui, di solito, riusciamo ad attraversare i deserti della nostra realtà quotidiana. Le attese sono capaci di consumare e di logorare la speranza di cui il nostro cuore è sempre così bisognoso, quando si offrono alla nostra sensibilità come momenti in cui è differito o negato ciò che attendiamo con ansia. Eppure, nel vangelo di oggi, il Signore Gesù non trova immagine più adeguata a illustrare la vita del discepolo se non descrivendolo come qualcuno capace di fare dei tempi di attesa uno spazio di preparazione e di vita: «Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito» (Lc 12,36).
In realtà, ogni tempo di attesa è un’occasione di discernimento, in cui possiamo approfondire le ragioni – e le regioni – del nostro cuore, fino a cogliere sia le luci sia le ombre che cospirano per imbastire la carne dei nostri desideri più ostinati. Il problema dell’attesa, infatti, non è tanto la sua lunghezza o la sua indeterminatezza, ma il motivo per cui siamo disposti ad assumerla come uno spazio di creatività, pronti ad accoglierne anche le necessarie mancanze e gli inevitabili disagi. Quando Labano, per esempio, domanda a Giacobbe di attendere (e lavorare per lui) sette anni prima di sposare la bella Rachele, quei giorni «gli sembrarono pochi, tanto era il suo amore per lei» (Gen 29,20). L’attesa, al contrario, è avvertita come un carico pesante e fastidioso quando non è colma né di desiderio né di dolce speranza per ciò che sta per accadere. Per illustrare la novità inaugurata dalla venuta del Regno nella sua stessa persona, il Signore Gesù sfida il cuore del nostro itinerario discepolare per verificare in che misura stiamo diventando otri nuovi capaci di accogliere la gioia scandalosa dell’incarnazione: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37).
Un Dio al nostro servizio, un Signore inginocchiato ai nostri piedi: questo è il passato, il presente e il futuro meraviglioso sul qua le facciamo fatica a tenere fisso lo sguardo. Eppure non esiste altro – davvero nient’altro – che possa consolare e colmare il nostro cuore, se non la prospettiva di un amore sicuro e fedele, disposto a offrire tutto – persino il sangue – per noi e per la nostra salvezza. Solo un amore così intenso e così universale è in grado di raggiungerci come buona notizia, in qualsiasi fermata ci troviamo ad aspettare il prossimo autobus in direzione di una vita felice e piena. L’apostolo Paolo sembra indicare l’esperienza dove potrebbe radicarsi la possibilità di ricadere nel sonno – o peggio ancora nell’incubo – di una vita orfana e schiava, anche dopo essere diventati figli della luce attraverso l’immersione nel mistero pasquale di Cristo: «Fratelli, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo» (Ef 2,12).
Senza la memoria di una lontananza da Dio, cioè di una comprensione personale dell’amarezza del peccato, la notizia di un suo ritorno, come amico e come sposo, potrebbe anche trovarci stanchi o indolenti. Al contrario, la memoria custodita e condivisa con i fratelli e le sorelle nella fede non può che accrescere il desiderio di vivere l’attesa come uno spazio in cui protenderci verso colui che non ci vede più come «stranieri né ospiti», ma come «santi e familiari» (2,19), in Cristo Gesù: «Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito» (2,18).
Signore Gesù, tu desideri amare e servire la nostra vita, non hai alcun timore della nostra distanza né di attendere i nostri tempi. Fa’ di noi quelli che aspettano il ritorno dell’amato per condividere la festa, per continuare ad attendere i giorni migliori, che restano davanti a noi. Fa’ che, nell’attesa, ci prepariamo a incontrare te e l’altro nella verità e nella gioia.
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
Lc 12, 35-38
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
Fonte: LaSacraBibbia.net