Il commento al Vengelo del
19 Agosto 2018 su Gv 6, 51-58
Ventesima settimana del Tempo Ordinario – Anno II/B
- Colore liturgico: VERDE
- Periodo: Domenica
- Il Santo di oggi:
- Ritornello al Salmo Responsoriale: Gustate e vedete com’è buono il Signore
- Letture del giorno: Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6, 51-58
- Calendario Liturgico di Agosto
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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6, 51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Parola del Signore
Fonte: LaSacraBibbia.net
Commento al Vangelo
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In questa domenica – che la sapienza della Chiesa vuole dedicata al Corpo e al Sangue di Cristo (festa più nota un tempo come del “Corpus Domini”) – vorrei soffermarmi sul tema dell’Eucaristia. Faccio riferimento all’Evangelo di Giovanni che oggi proclamiamo:
«(Disse Gesù)51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Il mio non sarà un commento esegetico, ma esperienziale: che cosa dice a me questo brano, quali sentimenti ed emozioni suscita, quale processo liberante mette in moto. Mi assumo la responsabilità personale di quanto dirò, ma mi auguro che possa servire anche a tante coppie e a tante famiglie che leggono queste brevi note.
Vivrà in eterno… Il mistero della mia fragilità
Vivere in eterno è la segreta aspirazione di tutti. Oggi la vita media si è allungata rispetto a solo alcuni decenni addietro. Uno stuolo di medici continua a compiere studi ed esperimenti per farla durare più a lungo. Non è ancora stata trovata la pietra filosofale dell’immortalità o dell’eterna giovinezza, ma le profumerie sono sempre più frequentate da uomini e da donne per acquistare prodotti che, almeno, ci facciano apparire più giovani.
Non è questa la vita “eterna” che promette Gesù di Nazareth offrendoci il dono dell’Eucaristia. La sua è una vita nuova, diversa, fatta di relazioni intime e profonde, indistruttibili, fra tutti gli uomini e fra tutte le donne.
Per cogliere questa novità di vita occorre alzare gli occhi al cielo, ma con i piedi ben piantati sulla terra. Passare da un mondo ideale, astratto, ad un mondo reale, concreto. Questo alzare gli occhi al cielo è l’incontro liberante tra noi – persone e non burattini mossi da una mano invisibile – che avvertiamo in modo confuso ma prepotente il desiderio di un più di coscienza e quel Dio che viene e si unisce a noi. Per liberarci da ogni schiavitù.
Questo più di coscienza, questa ricerca di un senso pieno all’esistere è il momento culminante dell’Eucaristia. È un peccato che nei secoli, almeno fino ai tempi di quel Concilio che oggi alcuni vorrebbero rimuovere dalla coscienza e dalla memoria collettiva, la Chiesa lo abbia trasformato in un precetto che – se pur poteva avere inizialmente una finalità pedagogica – si è trasformato nel tempo in un ritualismo rubricistico che, impedendo le grandi visioni, soffoca i carismi e la profezia.
Grande mistero, l’Eucaristia! Essa è davvero questo momento ascensionale in cui io, persona, trovo la mia realizzazione. Io, la più abbietta e la più debole delle creature, sono entrato in contatto intimo con la Trascendenza. Quando sono in c0ntatto intimo con la persona che amo, non la chiamo neppure più per nome. Anche se discendo all’inferno con i miei compagni di strada – e devo, voglio discendervi, come ha fatto il Cristo nel silenzio allucinante del sabato santo, prima della Risurrezione – so che non potrò più precipitare verso la dissoluzione e la morte. Sono in Dio. Sono di Dio. L’angoscia della fragilità – che pur permane perché è una componente ineliminabile della nostra umanità, della nostra creaturalità – viene ancorata al Cristo, redenta, trasfigurata. I piedi sulla terra sono ora leggeri. Ho alzato gli occhi al cielo. L’Eucaristia? Un mistero per persone deboli, fragili, peccatrici. Un mistero che interpella la mia fragilità.
Comunione con il corpo e il sangue di Cristo
San Paolo, scrivendo ai Corinti con le sue mani callose di lavoratore, dice:
16il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
Se, allora, noi siamo un solo corpo, l’Eucaristia è il centro unificatore del mondo: credere in Cristo, partecipare all’Eucaristia, non è un’operazione intellettuale, un rito accessorio, precettistico, ma non indispensabile come alcuni vorrebbero farci credere. È entrare in questa dinamica di salvezza. L’Eucaristia crea la comunità ed è dunque per tutti al di là di complicati riti di selezione, tu sì, tu no. Il pane è per tutti, senza esclusioni. E poi, chi decide l’esclusione, chi dice tu sei degno e tu non l0 sei? Non certo Lui, quel Gesù che ci ha insegnato a recitare il Padre Nostro. Lui è l’aspirazione massima della mia coscienza, attraverso la quale solo Lui mi giudica.
Per accettare questo mistero di Cristo unificatore del mondo attraverso il dono di sé come pane spezzato occorre però rinunciare alla concezione devozionale dell’Eucaristia, agli equilibrismi un po’ patetici di quei teologi che, con in mano il Codice di Diritto Canonico, si affannano a trovare giustificazioni per l’esclusione. Non è questo il mondo che, come Gesù ci assicura, sta nascendo nuovo giorno per giorno, con comprensibile fatica, in mezzo a noi. Questo mondo non è basato sulla divisione tra buoni e cattivi. Selezionare chi può e chi non può ricevere l’Eucaristia mi sembra non solo la negazione della forza vincolante della coscienza, che è il tribunale ultimo di ogni soggetto, ma il tradimento stesso del significato dell’Eucaristia, da cui tutti dobbiamo lasciarci assimilare per sperimentare la salvezza e per collaborare alla salvezza (la liberazione) del mondo.
Mettiamoci d’accordo
Ma questa visione sarà possibile solo superando una rigida precettistica. Non si può giocare con le parole. L’Eucaristia deve tornare ad essere il centro unificatore dell’esperienza cristiana, capace di creare comunità vive, non deluse, non paurose: comunità alla stregua di quelle dei primi cristiani che si radunavano nelle case per celebrarla, dopo aver deposto gli attrezzi del loro lavoro, e aver comprato il pane per tutti, perché nessuno doveva digiunare. Gesù, nell’ultima cena, ha spezzato il pane anche per Giuda che ha intinto il suo pane nel piatto del Maestro che fra poco avrebbe tradito. In caso contrario, tutta la vita cristiana rischia l’insignificanza. Non si può più dire, come nel passato, che la comunione eucaristica in fondo è facoltativa, fissandone la “obbligatorietà” una volta l’anno, o – ancor più schizofrenicamente, come fanno alcuni treologi – dire ai fedeli “in regola” che essa è il centro della vita cristiana, e agli altri (per esempio ai divorziati-risposati esclusi dalla partecipazione alla mensa eucaristica e dal sacramento della penitenza) che essa in fondo non è essenziale alla vita di fede, lamentando altresì una certa bulimia sacramentale da parte dei cristiani. Mettiamoci d’accordo: è essenziale o non lo è?
Occorre, certo, un cammino lungo, faticoso, spesso doloroso per recuperare una consapevolezza perduta da parte della comunità cristiana (non più del 15-20% partecipa alla Eucaristia domenicale), ma forse oggi, festa del Corpo e del Sangue di Cristo è davvero l’occasione propizia per riflettere su quel mistero grande di donazione che tutti ci supera. E soprattutto per viverlo.
TRACCIA PER LA REVISIONE DI VITA.
1) Che cos’è per me l’Eucaristia? Una devozione privata? Il sostegno della comunità dei credenti?
2) Quale aiuto dà l’Eucaristia alla crescita della nostra famiglia? Quali sono gli impegni che prendiamo partecipando all’Eucaristia?
3) Quale aiuto do ai miei figli (o ai miei nipoti) nel prepararli alla loro “prima Comunione”?