Il Vangelo del giorno, 12 Marzo 2020 – Lc 16, 19-31

Commento al Vangelo del 12 marzo 2020 a cura dei Monaci Benedettini –
II Settimana del Tempo di Quaresima – Anno A

  • Periodo: Giovedì
  • Il Santo di oggi: S. Massimiliano; S. Innocenzo I; B. Fina
  • Ritornello al Salmo Responsoriale:  Beato l’uomo che confida nel Signore
  • Letture del giorno: Is 1, 10.16-20; Sal.49; Mt 23, 1-12
  • Calendario Liturgico di Marzo

Le letture del giorno (prima e Vangelo) e le parole di Papa Francesco da VaticanNews.

Commento al Vangelo a cura dei
Monaci Benedettini

C’era un uomo ricco…

Ce ne sono e ce ne sono stati tanti e tanti di uomini ricchi, ricchi di denaro e di ogni bene, ricchi di potere, estremamente poveri però di amore e di altruismo. Infatti dei ricchi Gesù dice: «E’ più facile per un cammello passare dalla cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno dei cieli». E altrove: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?»…

La ricchezza con il suo luccichio spesso abbaglia e inganna perché non da quello che promette e distoglie dai veri valori. «Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile». Al ricco del Vangelo, gli si attribuisce il titolo di “epulone”; vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Verrebbe da dire: tutta qui la ricchezza? Ad evidenziare la povertà del ricco e mostrare la vera ricchezza ci pensa Lazzaro: Un mendicante: egli giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Nessuna attenzione, anzi è da supporre che quella presenza arrecasse persino fastidio. Cambia totalmente la scena nell’aldilà: il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo, annoverato nella schiera degli eletti.

Anche il ricco muore; precipita nell’inferno tra i tormenti, leva gli occhi e vede di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Ed ecco il grido tardivo, disperato: Padre Abramo, abbi pietà di me; soltanto ora sperimenta la nullità e l’inganno ella sua falsa ricchezza e quella vera di cui gode Lazzaro. Ai lauti banchetti ora sperimenta l’arsura di una sete inestinguibile. Vorrebbe che il povero, ignorato in vita, andasse per lui ad intingere nell’acqua la punta del dito e bagnargli la lingua, per attenuare la tortura di quella fiamma inestinguibile. Così è l’inferno: il rimpianto eterno e sconsolato per il Bene perduto e il tormento per un amore non dato e rinnegato. Dio ci scampi e liberi.


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