Il Sinodo sui giovani, una preziosa opportunità – Paola Bignardi

516

Tra breve la Chiesa celebrerà un Sinodo dedicato ai giovani. Papa Francesco lo ha voluto nella consapevolezza che il dialogo tra le generazioni è sempre più problematico e difficile; la questione religiosa non fa eccezione. I cambiamenti rapidi ed accelerati che interessano il mondo in cui viviamo tolgono a giovani e adulti parole comuni per intendersi.

Come cambiano i sogni e i progetti dei giovani? Con quale atteggiamento si accostano alla vita? In chi ripongono la loro fiducia?

La maggioranza dei giovani vive in una situazione di sofferenza interiore. Quando sono chiamati a raccontare di sé, i giovani si rappresentano come soli e disorientati, come sostiene questo giovane: «Le mille attrazioni, le centinaia di incontri da cui siamo quotidianamente bombardati ci destabilizzano, ci disorientano». Muoversi nel grande “supermercato” delle opportunità di oggi – idee, esperienze, visioni della vita, beni materiali… – dà l’ebbrezza di una libertà senza limiti, ma genera confusione e ansia, soprattutto quando si ha l’impressione di essere soli, senza punti di riferimento che aiutino a capire dove stanno il bene e il male, ciò che realizza e ciò che aliena….

Dentro il disorientamento giovanile

Fino a non molto tempo fa si riteneva ancora che i più giovani crescessero quasi naturalmente, in una circolazione di visioni, valori, tradizioni, stili che passavano da una generazione all’altra più attraverso l’esempio della vita che mediante insegnamenti impartiti intenzionalmente.

L’allentarsi del legame tra le generazioni, che costituisce uno dei fenomeni del nostro tempo, è il frutto del solco profondo   che i cambiamenti in atto hanno scavato tra le generazioni: i giovani sentono di essere troppo diversi dalla generazione che    li precede, la quale, d’altra parte, non riesce più a decifrare l’animo di chi sta crescendo. L’accelerazione dei cambiamenti in atto nella società determina un aumento della distanza tra le generazioni. I giovani sono espressione di una società molto diversa da quella degli adulti e la velocità dei cambiamenti fa sì che si accresca un reciproco senso di estraneità. La velocità resa possibile dalla tecnologia costituisce anche sotto questo aspetto un fattore cruciale.

Il documento preparatorio del Sinodo esprime questa consapevolezza quando afferma che «Chi è giovane oggi vive la propria condizione in un mondo diverso dalla generazione dei propri genitori e dei propri educatori. Non solo il sistema di vincoli e opportunità cambia con le trasformazioni economiche e sociali, ma mutano, sottotraccia, anche desideri, bisogni, sensibilità, modo di relazionarsi con gli altri»1.

Se si prendono in considerazione alcuni indicatori, si ha effettivamente l’impressione che siamo in presenza di una modificazione di paradigma antropologico, e non solo di qualche aggiustamento superficiale nelle abitudini e negli stili di vita dei giovani.

  • La tecnologia influisce sul modo di comunicare e di appren L’uso dei media e la familiarità con i social contribuiscono decisamente a modificare gli stili comunicativi dei giovani. E non si tratta solo di comunicazione: la facilità con cui ad ogni istante una persona può essere altrove rispetto a do ve si trova, alle persone cui è accanto, alla situazione in cui è immersa influisce anche sul modo di pensare sé stessi, il proprio rapporto con la realtà, con il tempo e con lo spazio. La distanza non costituisce più un limite attraverso il quale si imparano la mancanza, il desiderio, l’attesa. L’altrove sembra essere più attrattivo del qui e ora.
  • La velocità è l’impronta della vita di oggi: abbiamo a disposizione molte più opportunità di un tempo, eppure questo non ha contribuito a rendere più tranquillo il nostro ritmo di vita. La nostra è una vita di corsa, quasi che gli strumenti che abbiamo a disposizione condizionino spingendo verso una progressiva accelerazione. In Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, il mondo futuribile in cui i libri sono vietati, è vietato anche viaggiare in auto a meno di 100 all’ora… Nelle nuove generazioni questa accelerazione2 porta con sé una maggiore dispersione del tempo: i giovani, in particolare chi vive l’esperienza dello studio, fanno fatica a dedicarvisi: fatica a concentrarsi a lungo, a perseverare nella lettura di un testo, ad avere un metodo di studio robusto.
  • Cambia il rapporto con la realtà che pare aver perso la sua consistenza, da una parte perché sembra che il confine possa essere spostato sempre più in là, dall’altra perché quel sottile senso di onnipotenza che l’uso della tecnologia induce porta con sé il rischio che il proprio io divenga la misura stessa della realtà. Esempio di questo è il rapporto con le istituzioni: se i giovani se ne sentono distanti non è solo o principalmente perché giudicano negativamente il loro modo di funzionare, ma perché stentano ad accettare e a comprendere che vi sia al di fuori di loro una realtà che non può essere ricondotta a sé, avendo norme, criteri, gerarchie oggettive, non modificabili dal soggetto. La stessa ragione del resto spiega in parte la modalità soggettivistica di interpretare la dimensione religiosa e le norme morali.
  • La crisi del senso dell’autorità sembra andare di pari passo con la perdita del senso dell’oggettivo della vita. Comporterebbe il riconoscimento di una norma e di una forza che sta al di fuori del soggetto e che può influire su di lui. La fatica con cui tutte le figure educative accettano di sottoporsi all’esercizio di un’autorità ragionevole, vera autorità, va di pari passo al rifiuto di essa da parte delle nuove generazioni.
  • Cambia la concezione del corpo, del corpo sessuato in particolare, e il proprio rapporto con esso. La tecnologia permette di fare sempre meno esperienza del corpo in quanto limite, confine: si lavora e si gioca muovendo le dita sui tasti di un mouse… La questione del gender segnala, soprattutto nei suoi aspetti più problematici, un vero cambio di paradigma: si è affievolito il legame tra corporeità e identità personale e sessuale, e ciò ridefinisce il concetto di famiglia e i legami parentali secondo il criterio emotivo e oggettivo. Il corpo è semplice esteriorità, oggetto…
  • Appare problematico anche il rapporto con l’altro, che costituisce un limite, un confine all’espressione della propria soggettività e alla propria ricerca di realizzazione e di Ciò non toglie che di fronte a situazioni drammatiche vi sia una mobilitazione di energie da parte dei giovani: l’emozione suscitata da eventi tragici spinge a darsi da fare, ma entro i limiti della durata dell’emozione. Non per nulla oggi sono   in crisi le organizzazioni di volontariato, cioè quelle organizzazioni che chiedono un legame, una stabilità, una durata, un assetto che prescinde dalle propensioni soggettive.
  • Le emozioni, non governate dalla razionalità, costituiscono una forza che attrae e spaventa al tempo stesso. Di fatto, in questo tempo in cui tutto scorre con straordinaria velocità, le emozioni stentano a maturare in sentimenti, in legami, in scelte. La loro forza è affascinante, ma anche travolgente.

Basterebbero questi spunti sommari – cui altri si potrebbero aggiungere – per far intuire come essi siano all’origine di trasformazioni profonde, che toccano il modo di concepirsi come uomini e donne in questo tempo e quindi di costruire la propria identità personale e sociale.

Tra i riflessi che queste situazioni esterne hanno sulla coscienza giovanile vi è il mutare del senso di sé, del proprio valore, il bisogno di ricondurre tutto a sé, di decidere della propria vita senza alcun condizionamento che venga da altri, in un processo di personalizzazione tanto promettente quanto rischioso.

Frutto di questa accentuata sensibilità per se stessi, i propri pensieri, le proprie percezioni, i propri stati d’animo è la possibile riscoperta della coscienza come spazio interiore in cui condurre la ricerca di sé. Vi è in non pochi giovani una domanda di spiritualità nuova, come ricerca di interiorità, di benessere interiore e soggettivo. Si può leggere in questa prospettiva la simpatia che diversi giovani mostrano verso il buddhismo.

Increduli?

Come si colloca la questione della fede in questo contesto? La percezione diffusa è quella di una crescente incredulità, segnalata qualche anno fa da un saggio dal titolo molto significativo, La prima generazione incredula3, efficace nel porre all’attenzione di genitori, sacerdoti, docenti… un cambiamento molto significativo nel rapporto tra i giovani e i valori religiosi.

Messa in discussione dei modelli religiosi tradizionali; indifferenza per la trascendenza; perdita della «grammatica della religione», da cui estraneità e lontananza rispetto ai contesti comunitari di una religione istituzionale: queste sono le caratteristiche prevalenti nella sensibilità giovanile.

La domanda di senso e di Dio non è spenta nei giovani4. Avrebbero bisogno di incontrare esempi e proposte di vita cristiana autentica, che facessero loro vedere e capire che la gioia e la realizzazione di sé sono inscritte in un modo umano, pienamente umano, di vivere il Vangelo.

Tutti coloro che operano nell’ambito degli oratori o della pastorale giovanile avevano da tempo ben presente la presa di distanza del mondo giovanile dalle esperienze religiose tradizionali: la Messa della domenica vedeva (e vede!) presenze giovanili sempre più sparute, per non parlare di altre iniziative, formative o a tema religioso. Tuttavia era come se vi fosse il timore di ammettere apertamente la lontananza dei giovani dalla fede. Il libro citato è come se avesse dato la libertà di ammettere il fenomeno e di chiamare le cose con il loro nome.

Eppure da subito è parso che ritenere i giovani una generazione incredula non ritraesse tutta la complessità del loro mondo religioso. Da allora ha preso avvio una serie di ulteriori studi e approfondimenti che hanno permesso di comprendere che i giovani, più che essere la prima generazione incredula, sono la prima generazione che cerca di dare alla questione della fede risposte non convenzionali, al di fuori di una tradizione che viene percepita come costrittiva e rigida.

Se si esaminano i dati ricavati dalla ricerca realizzata dall’Istituto Toniolo, si vede con chiarezza che nel mondo giovanile è in atto una migrazione verso la periferia della comunità cristiana. La mobilità che caratterizza oggi il mondo giovanile si manifesta in un percorso che porta a collocarsi all’esterno della Chiesa, di cui non si comprendono i linguaggi e le forme istituzionali con cui essa si propone. Dal 2013 al 2017 la percentuale dei giovani che dichiarano di essere cristiani cattolici passa dal 55,9% al 52,7%, con significative differenze tra maschi e femmine e tra nordcentro e sud d’Italia.

Analoga mobilità si registra all’interno delle biografie personali. La quasi totalità dei giovani intervistati, che hanno ricevuto una formazione cristiana avendo frequentato il percorso dell’iniziazione, dopo la cresima si allontana dalla comunità cristiana, dalla pratica religiosa e dalle indicazioni della chiesa, pur non rinunciando ad una propria ricerca esistenziale, soggettiva    e solitaria, che li conduce all’approdo di una religiosità individualistica e “fai da te”. Emblematica la testimonianza di questa diciannovenne: «Io mi sento di vivere la mia fede come piace a me, nel senso che sono assolutamente certa che non sia necessario andare in chiesa tutte le domeniche per credere, è necessario il pensiero di un minuto e mezzo nella giornata, mi basta il pensiero».

Verso gli anni del passaggio dalla giovinezza all’età adulta, spesso si registra un ritorno ad una propria fede, segnata dagli anni della lontananza dalla Chiesa e dalle forme della religione istituzionale. In questi giovani, fatti ormai adulti, emerge l’esigenza di una fede personale, che matura dentro un percorso difficile e non lineare, percorso di libertà e di consapevolezza su cui influisce sempre meno la tradizione, sempre più la testimonianza e la vicinanza di chi sappia accompagnare, in una relazione calda e cordiale.

I giovani, più che pensare la loro vita a prescindere da Dio, la pensano a prescindere dalla Chiesa, dalla sua cultura spirituale e dalle sue indicazioni morali. La tensione verso Dio e la domanda di Assoluto sono ben presenti anche nella coscienza dei giovani di oggi, ma a questi interrogativi essi vorrebbero rispondere personalmente, prescindendo dalla dottrina e dalla tradizione della Chiesa.

Il Sinodo costituisce una grande occasione per tutte le comunità cristiane: quella di fermarsi ad ascoltare i giovani, quella di prestare attenzione alle loro istanze che spesso costituiscono anche un richiamo a tutta la Chiesa perché riveda le proprie prassi pastorali e aggiorni il proprio modo di vivere e di annunciare il Vangelo.

1 I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, Documento Preparatorio al Sinodo dei Vescovi, n. 2.
2 Cfr. Z. Bauman, Vite di corsa. Come salvarsi dalla tirannia dell’effimero, il Mulino, Bologna 2009.
3    A. matteo, La prima generazione incredula, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2011. Diverse altre pubblicazioni negli ultimi anni hanno manifestato rinnovato interesse per le trasformazioni in atto nel mondo giovanile a proposito dell’esperienza religiosa. Oltre al saggio già citato, va ricordato di E. Biemmi – A. Castegnaro – G. Dal Piaz, Fuori dal recinto, Ancora, Milano 2013, frutto di una serie di interviste approfondite realizzate nel Veneto; di R. BiChi – P. BignarDi, Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero, Milano 2015, frutto di un’indagine realizzata attraverso 200 interviste ad un campione nazionale di 150 giovani; e infine di F. garelli, Piccoli atei crescono, il Mulino, Bologna 2016.
4 R. BiChi – P. BignarDi, Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero, Milano 2015.
A cura di Paola Bignardi – Articolo prelevato da Queriniana