Il IV secolo dopo Cristo, che ebbe un suo momento importante nel 380 con l’editto dell’imperatore Teodosio nel quale si stabiliva che la fede cristiana doveva essere adottata da tutte le popolazioni dell’impero, è costellato di grandi figure di santi: Atanasio, Ilario, Ambrogio, Agostino, Crisostomo, Basilio e Girolamo, dalmata, nato tra il 340 e il 350, nella cittadina di Stridone. Romano di formazione, Girolamo è uno spirito enciclopedico. La sua opera letteraria ci rivela in lui di volta in volta il filosofo, il rètore, il grammatico, il dialettico, capace di scrivere e pensare in latino, in greco, in ebraico, scrittore dallo stile ricco, puro e corposo allo stesso tempo. A lui si deve la traduzione in latino del Vecchio e del Nuovo Testamento, che divenne, col titolo di Vulgata, la Bibbia ufficiale del cristianesimo.
Girolamo è una personalità fortissima: ovunque si rechi suscita rumori di consensi o di polemiche. A Roma fustiga vizi e ipocrisie e preconizza anche nuove forme di vita religiosa, attirando ad esse alcune influenti dame del patriziato locale, che lo seguiranno poi nella vita eremitica a Betlem. La fuga dalla società di questo esule volontario era un gesto dettato da un sincero desiderio di pace interiore, non sempre durevole, giacché, per non essere dimenticato, ricompariva ogni tanto con qualche sferzante libello. I ruggiti di questo «leone del deserto» si facevano udire a Oriente come ad Occidente. Le sue violenze verbali non risparmiavano nessuno. Ebbe parole dure con Ambrogio e con Basilio e lo stesso amico Agostino dovette inghiottire tanti bocconi amari. Ne fa fede la corrispondenza tra i due grandi dottori della Chiesa, pervenutaci quasi per intero. Ma sapeva mitigare le intemperanze del suo carattere quando al polemista subentrava il direttore d’anime.
Ogni volta che terminava un libro, si recava a far visita alle monache che conducevano vita ascetica in un monastero non lontano dal suo. Egli le ascoltava, rispondendo alle loro domande. Queste donne intelligenti e vive sono state un filtro alle sue esplosioni meno opportune, ed egli le ricambiava col sostegno e l’alimento di una cultura spirituale e biblica. Quest’uomo straordinario era conscio dei propri limiti e delle proprie colpe (per le quali non trovava rimedio migliore che percuotersi il petto con un sasso!), ma anche dei propri meriti, tant’è che il lungo elenco degli uomini illustri, dei quali ha tracciato un breve ma prezioso cenno biografico (il De viris illustribus), si conclude col capitolo dedicato a lui stesso. Morì a 72 anni, nel 420, a Betlem.
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