Il sacerdote: il ministero sacerdotale nel magistero di Papa Francesco

1457

Signor Cardinale,
Signor Cardinale Patriarca, Care Eccellenze,
Cari Sacerdoti,

Desidero salutarvi cordialmente ed esprimervi la mia gratitudine per l’invito che mi avete rivolto a partecipare a questo Simposio sulla figura del Sacerdote, ministro e testimone della gioia del Vangelo.

Mi affidate il compito dell’apertura di questa lodevole iniziativa e, perciò, vorrei anzitutto porre questo Simposio sotto la protezione della Madonna, che qui a Fatima è una presenza speciale; in fondo, la gioia sacerdotale si nutre dalla spiritualità di Maria che, chiamata dal Signore a divenire Madre di Cristo, esulta nello spirito e canta il Magnificat per le grandi opere compiute da Dio in Lei. Quella di Maria, come quella del Sacerdote, è la gioia del dono ricevuto, cioè della fiducia che il Signore Le ha accordato chiamandola a divenire serva e strumento della salvezza.

In questo spirito, vorrei entrare nel tema, cercando di tratteggiare la figura del Sacerdote e la fisionomia del ministero sacerdotale secondo il Magistero di Papa Francesco. Vorrei brevemente soffermarmi, prima di affrontare alcuni tratti tipici della figura del Sacerdote secondo il Santo Padre, sulla visione generale a partire dalla quale il Papa descrive e interpreta il prete; tale orizzonte di fondo è scandito da quella che potremmo definire una triplice appartenenza del Sacerdote: al Signore, alla Chiesa, al Regno di Dio.

Il Sacerdote appartiene anzitutto al Signore, cioè è un uomo “conquistato” dal fascino della Sua chiamata, che ha sperimentato la gioia dell’incontro con Lui; da questo Amore a cui ha consegnato la vita è stato liberato dalla mondanità spirituale, e va incontro ai fratelli per annunciare il Vangelo: “Il segreto del nostro presbitero – afferma Papa Francesco – sta in quel roveto ardente che ne marchia a fuoco

l’esistenza, la conquista e la conforma a quella di Gesù Cristo, verità definitiva della sua vita. È il rapporto con lui a custodirlo, rendendolo estraneo alla mondanità spirituale che corrompe, come pure a ogni compromesso e meschinità. È l’amicizia con il suo Signore a portarlo ad abbracciare la realtà quotidiana con la fiducia di chi crede che l’impossibilità dell’uomo non rimane tale per Dio”. (Papa Francesco, Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana, 16 maggio 2016).

Questo rapporto con il Signore, secondo il Santo Padre, è ciò che segna l’esistenza e il ministero sacerdotale; potremmo dire, anche, è “ciò che lo salva” dal rischio di essere un semplice funzionario del sacro, dall’astrattismo teorico, dalla rigidità legalista, ma anche dall’interpretare se stesso “come un devoto, che si rifugia in un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco”, dall’essere “un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione” e dall’essere mosso dai criteri dell’efficienza e dalla ricerca di “assicurazioni terrene o titoli onorifici”. (Papa Francesco, Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana, 16 maggio 2016).

Allo stesso tempo, il Sacerdote appartiene alla Chiesa perché il suo servizio è un’offerta di vita per il Popolo di Dio, verso il quale Egli rivolge il suo impegno generoso, affinché la consolazione del Vangelo giunga a tutti. Papa Francesco afferma: “Il presbitero è tale nella misura in cui si sente partecipe della Chiesa, di una comunità concreta di cui condivide il cammino. Il popolo fedele di Dio rimane il grembo da cui egli è tratto, la famiglia in cui è coinvolto, la casa a cui è inviato” (PAPA FRANCESCO, Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana, 16 maggio 2016).

Così egli si immerge nella vita concreta del popolo che gli è affidato, accompagna con pazienza i travagli dell’esistenza e il cammino della fede di coloro a cui è mandato, attende con pazienza che germoglino i semi del Regno anche in mezzo ai ritardi e alle lentezze del cammino, vive la difficile ma bella avventura dell’essere in costante tensione tra le altezze dell’amore di Dio e la valle delle fragilità umane; e, senza paura di sporcarsi le mani e di impegnare il cuore nella compassione, egli vive quella carità pastorale che lo fa essere vicino e attento alla gente.

Infine, il Sacerdote appartiene al Regno di Dio. Non bisogna pensare a qualcosa di astratto o di teorico; al contrario, Papa Francesco invita i ministri ad avere uno sguardo ampio, a respirare e lavorare in un orizzonte aperto, nella fiducia che l’opera di Dio e della Sua Grazia va oltre il proprio lavoro e l’azione pastorale della Chiesa stessa. Dio è all’opera nella storia di ogni persona, anche oltre i confini visibili della Chiesa.

Il Pontefice ci offre un criterio davvero importante per il ministero sacerdotale, che ci aiuta a lavorare e spenderci con passione e con zelo, ma, allo stesso tempo, ci fa relativizzare ogni cosa – anche i nostri programmi pastorali e le nostre organizzazioni strutturali – ponendoci nel vasto panorama del Regno di Dio. Così nelle sue parole: “Il presbitero ama la terra, che riconosce visitata ogni mattino dalla presenza di Dio. È uomo della Pasqua, dallo sguardo rivolto al Regno, verso cui sente che la storia umana cammina, nonostante i ritardi, le oscurità e le contraddizioni. Il Regno – la visione che dell’uomo ha Gesù – è la sua gioia, l’orizzonte che gli permette di relativizzare il resto, di stemperare preoccupazioni e ansietà, di restare libero dalle illusioni e dal pessimismo; di custodire nel cuore la pace e di diffonderla con i suoi gesti, le sue parole, i suoi atteggiamenti” (PAPA FRANCESCO, Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana, 16 maggio 2016).

Nella Lettera al Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, Papa Francesco ha invitato a riflettere su come il Pastore debba immaginare il proprio ministero, specialmente oggi, non come quello di un risolutore di problemi, che ha le risposte su tutto e dirige le scelte e le coscienze di tutti; al contrario, egli dovrà avere uno sguardo contemplativo, che gli permetta di vedere la Grazia di Dio all’opera nelle strade della città, nell’impegno dei laici nella vita pubblica, nelle lotte della vita quotidiana, in una parola, al di là dell’ambito strettamente religioso. Infatti, scrive il Santo Padre “È illogico, e persino impossibile, pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta. Al contrario, dobbiamo stare dalla parte della nostra gente, accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale” (PAPA FRANCESCO, Lettera al Presidente della Commissione per l’America Latina).

Dunque, il prete è uomo di Dio, della Chiesa e del Regno. Dentro questa visione prende forma il ritratto del prete secondo Papa Francesco, che si declina attraverso alcuni aspetti specifici sui quali la Congregazione per il Clero ha elaborato la nuova Ratio fundamentalis; essi sono: il discepolato, la configurazione a Gesù

Buon Pastore e il discernimento. Farò alcuni accenni su ciascuno di questi elementi associati alla figura del prete e al ministero sacerdotale.

1. Il prete è un discepolo

Nel Magistero di Papa Francesco una parola centrale per delineare i tratti del presbitero è “discepolato”.

Nel discorso alla Plenaria della Congregazione per il Clero, il 3 ottobre 2014, parlando della formazione, Papa Francesco ha ricordato che essa «è un’esperienza discepolare, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui. Proprio per questo, essa non può essere un compito a termine, perché i sacerdoti  non smettono mai di essere discepoli di Gesù, di seguirlo… Quindi, la formazione in quanto discepolato accompagna tutta la vita del ministro ordinato e riguarda integralmente la sua persona, intellettualmente, umanamente e spiritualmente». Sullo stesso tema è ritornato nel Messaggio all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, l’8 novembre 2014, affermando chiaramente che «la formazione di cui parliamo è un’esperienza di discepolato permanente, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui».

Alla domanda “Chi è il presbitero?”, Papa Francesco risponde anzitutto affermando che è un discepolo permanente del Signore. Tale affermazione, lungi dall’essere un semplice slogan, ha delle implicazioni pratiche di alto rilievo: essere discepoli permanenti significa ricordarsi, come già detto, che è il rapporto personale con il Maestro che deve marchiare a fuoco l’esistenza presbiterale e, perciò, occorre vigilare sulla tentazione di “sentirsi arrivati” e di aver “già sistemato tutto”, rinnovando la memoria dell’incontro con Colui che ci ha chiamati e prendendoci cura che tale relazione, intima e personale, sia alimentata dalla preghiera, dalla meditazione della Parola, dalla Celebrazione dell’Eucaristia e, in generale, da una vita di pietà vissuta con costanza e fedeltà.

Essere e sentirsi discepoli, cioè, significa vigilare sul rischio dell’abitudine, della tiepidezza, della routine e della “sindrome da funzionario”, evitando così di cadere in quello che Papa Francesco ha definito “alzheimer spirituale”, tipico di coloro “che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore” e vivono un “declino progressivo delle facoltà spirituali” (PAPA FRANCESCO, Discorso alla Curia Romana  per gli auguri natalizi, 22 dicembre 2014).

In questa direzione, la Ratio fundamentalis ha come idea di fondo del cammino di formazione sacerdotale quella del discepolato: il prete è un uomo che cammina costantemente sulle orme del Maestro, aperto alla Sua Parola e disponibile a configurarsi al Suo cuore. Essere Sacerdote, cioè, non è il frutto di una conquista umana o un titolo che, una volta conseguito, possa trasformarsi in una tranquilla meta raggiunta; non è neanche l’esercizio di un ufficio amministrativo o buracratico, né un compito manageriale; al contrario, la prima cosa che la Ratio intende affermare è che il Sacerdote è un discepolo permanentemente in cammino, la cui disponibilità a seguire il Maestro passa attraverso il suo “eccomi quotidiano”, nella preghiera personale, nella Liturgia delle Ore, nella Celebrazione Eucaristica vissuta con intensità e consapevolezza, nella lettura orante e meditata della Parola di Dio, nel sacramento della Riconciliazione e cosi via.

2. Il prete è un Pastore

Un secondo aspetto importante nel Magistero di Papa Francesco dedicato alla figura del prete, è quello della configurazione a Gesù Buon Pastore. Se il discepolato è proprio ciò che favorisce l’appartenenza al Signore e il legame permanente di amicizia con Lui, proprio da questa esperienza si sviluppa una configurazione del cuore, che permette al presbitero di assumere i tratti, lo stile e soprattutto i sentimenti del Cuore di Cristo.

L’immagine biblica del Buon Pastore, di cui Gesù si appropria per narrare la propria missione a favore dell’umanità, ci conduce alla contemplazione dell’amore, alla misericordia, alla compassione e alla tenerezza del cuore di Cristo, icona fondamentale dell’essere prete e del ministero sacerdotale. Il Buon Pastore conosce le sue pecore e le chiama per nome (cfr. Gv 10,14), condivide il cammino del gregge e lo guida spingendolo fuori dall’ovile, va in cerca della pecora perduta perché mai il Cuore di Dio si rassegna dinanzi al male, ma, anzi, lo cura e lo guarisce.

Questi tratti biblici del Pastore, secondo Papa Francesco, ci suggeriscono che Dio ha una relazione di vicinanza col suo popolo: “Quel conoscerle a una a una, con il loro nome. Così ci conosce Dio: non ci conosce in gruppo, ma uno a uno. Perché l’amore non è un amore astratto, o generale per tutti; è un amore per ognuno. E così

ci ama Dioun Dio che si fa vicino per amore e cammina con il suo popolo. E questo camminare arriva a un punto inimmaginabile: mai si potrebbe pensare che lo stesso Signore si fa uno di noi e cammina con noi, e rimane con noi, rimane nella sua Chiesa, rimane nell’eucaristia, rimane nella sua parola, rimane nei poveri e rimane con noi camminando. Questa è la vicinanza. Il pastore vicino al suo gregge, alle sue pecorelle che conosce una per una” (Papa Francesco, Omelia Messa Santa Marta, 7 giugno 2013).

La vicinanza del Signore al suo popolo è il tratto richiesto al cuore del Pastore; egli, configurandosi a Cristo e ai suoi sentimenti di misericordia, di amore e di compassione, è chiamato a farsi partecipe della storia concreta del suo popolo, ad avere uno sguardo attento, a misurare il passo sul ritmo dei suoi fedeli, avendo la fermezza di chi li guida in avanti, ma anche la cura di chi sa rallentare se qualcuno cade o rimane indietro.

Come Gesù Buon Pastore, anche il sacerdote deve imparare e vivere nella prassi pastorale e nelle relazioni umane la stessa carità del Cristo: l’amore senza confini, la capacità del dono senza limiti, l’ostinazione nel puntare verso i più deboli e più lontani, il desiderio di raggiungere tutti e non perdere nessuno. Concretamente questo significa: preti che offrono la propria vita per il Popolo di Dio, che portano nella propria carne le domande e le ferite della gente, che accompagnano con tenerezza le situazioni a volte travagliate della vita, che annunciano senza stancarsi la speranza della Buona Notizia e facilitano l’incontro con Dio Padre.

Papa Francesco ha ricordato, durante il Giubileo dei Sacerdoti, che “i tesori insostituibili del Cuore di Gesù sono due: il Padre e noi. Le sue giornate trascorrevano tra la preghiera al Padre e l’incontro con la gente. Non la distanza, ma l’incontro. Anche il cuore del pastore di Cristo conosce solo due direzioni: il Signore e la gente.” (PAPA FRANCESCO, Omelia S. Messa Giubileo dei Sacerdoti, 3 giugno 2016).

Permettetemi di esprimere, a tal proposito, un semplice e sincero “grazie” ai tanti sacerdoti sparsi per il mondo, per il loro generoso servizio, il loro indefesso lavoro pastorale e per la ricchezza del loro cuore che, conformato a Cristo e alimentato dall’amicizia con Lui, pulsa per i bisogni e le attese del Popolo di Dio e per esso si spende totalmente, talvolta anche in mezzo a notevoli difficoltà e a non

poche incomprensioni. È grazie al ministero dei sacerdoti, alla loro preghiera e al loro zelo pastorale che le comunità cristiane ricevono il “segno” della presenza di Cristo Buon Pastore; con la predicazione della Parola essi seminano la speranza della Buona Notizia nel cuore delle persone; amministrando i sacramenti fanno scorrere la grazia dello Spirito Santo che santifica il cuore dei fedeli; attraverso la loro presenza in mezzo al Popolo, il loro camminare insieme portando le fatiche e i pesi della gente, la loro capacità di ascolto e di compassione, essi diventano immagine dell’amore misericordioso del Buon Pastore nel mondo.

Chiudendo a Roma l’incontro con i giovani italiani, lo scorso 11 e 12 agosto, Papa Francesco, alla fine dell’Angelus, ha voluto ringraziare a braccio i sacerdoti dicendo: “Ieri, nel ringraziare, ho dimenticato di dire una parola ai sacerdoti, che sono quelli che mi sono più vicini. Ringrazio tanto i sacerdoti, quel lavoro giorno per giorno, la pazienza dei sacerdoti, perché ci vuole pazienza per lavorare per voi”. Ecco, a volte forse dimentichiamo la fatica e la pazienza dei sacerdoti, mentre è bene farne memoria, sostenerli con la nostra preghiera e ringraziarne sempre il Signore.

La Ratio, proprio pensando al servizio richiesto ai sacerdoti, ha inteso collocare il ministero sacerdotale nella visione biblico-teologico che soggiace all’immagine del Buon Pastore (cfr. RF, n. 37); subito dopo, essa descrive i contenuti e gli obiettivi della tappa configuratrice – corrispondente al tempo degli studi teologici senza che questi ultimi ne esauriscano la durata e la portata – nella quale si lavora alla formazione spirituale propria del presbitero, per suscitare in esso “i sentimenti e i comportamenti propri del Figlio di Dio; al contempo, essa introduce all’apprendimento di una vita presbiterale, animata dal desiderio e sostenuta dalla capacità di offrire se stessi nella cura pastorale del Popolo di Dio. Questa tappa permette il graduale radicamento nella fisionomia del Buon Pastore” (RF, 69).

La Ratio, ispirandosi al Magistero del Santo Padre, delinea i tratti del prete come quelli di una persona capace di intessere relazioni di compassione, di vicinanza e di tenerezza: “La finalità del Seminario è quella di preparare i seminaristi a essere pastori a immagine di Cristo; la formazione sacerdotale deve risultare permeata da uno spirito pastorale, che renda capaci di provare quella stessa compassione, generosità, amore per tutti, specialmente per i poveri, e slancio per la causa del Regno, che caratterizzarono il ministero pubblico del Figlio di Dio, e che possono essere sintetizzati nella carità pastorale” (RF, n. 119).

Dunque, l’appartenenza al Signore è indissolubilmente legata all’essere parte del Popolo di Dio del quale si è posti al servizio; in mezzo a esso, si è costituiti padri, guide e servi, ma, soprattutto, configurato al Cuore di Cristo, il Sacerdote è chiamato a diventare “buon samaritano” che si fa prossimo, che cammina accanto ai poveri, solleva chi è caduto, cura chi è ferito. Secondo Papa Francesco, uno dei peggiori mali che può colpire il cuore di un prete è quello di chiudersi, di blindarsi, di vivere cioè la spiritualità di chi, pur pregando ogni giorno, passa oltre senza lasciarsi mai né toccare né commuovere dal dolore altrui.

Al contrario, commentando l’incontro tra Gesù e Bartimeo – aggiunse il Santo Padre, “Il Vangelo afferma che Gesù si fermò e chiese che cosa stava accadendo…Si ferma di fronte al grido di una persona…E invece di farlo tacere, gli chiede: Che cosa posso fare per te? Non serve differenziarsi, non serve separarsi, non gli fa una predica…. Non esiste una compassione, che non si fermi, se non ti fermi non hai la divina compassione, non ascolti e non solidarizzi con l’altro” (PAPA FRANCESCO, Discorso ai Sacerdoti, Religiosi e seminaristi, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015).

Questa caratteristica, però, la può assumere e integrare nella propria persona solo il sacerdote che è veramente umano; solo chi è umanamente e psicologicamente maturo, adulto e sereno, può vivere questa vicinanza con gli altri senza che le relazioni costituiscano per lui delle cattive occasioni e, di contro, senza opprimere o ferire gli altri. Sulla formazione umana dei sacerdoti, Papa Francesco insiste spesso; per questo, la Ratio ha tenuto in gran considerazione questo aspetto formativo imprescindibile.

Su questo tema, incontrando i seminaristi e i Sacerdoti studenti in Roma, il Santo Padre ha parlato dell’importanza della maturità umana del Sacerdote, che lo rende capace di condividere, di vivere amicizie serene, di giocare con i bambini, di farsi qualche sana risata; il Santo Padre ha anche parlato della capacità di piangere, attitudine che aveva già ricordato a proposito delle lacrime di Gesù per la morte di Lazzaro, sottolineando come “certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime” (Papa Francesco, Incontro con i Giovani, Sri Lanka, 18 gennaio 2015).

Infine, Papa Francesco ha affermato con tono davvero deciso: “Sentite bene questo – ha affermato Papa Francesco – se voi non sapete accarezzare bene come padri e come fratelli, è possibile che il diavolo vi porti a pagare per accarezzare” (PAPA FRANCESCO, Incontro con i seminaristi e i Sacerdoti dei Pontifici Collegi e Convitti Ecclesiastici, 16 marzo 2018).

Alla luce di vicende recenti e dell’accorata Lettera che il Santo Padre ha indirizzato al Popolo di Dio il 20 agosto scorso sul tema degli abusi sui minori, occorre anche dire che l’imprescindibile formazione umana del prete e la necessaria solidità spirituale della sua vita, hanno bisogno del sostegno di tutti i battezzati. È significativo, al riguardo, che Papa Francesco non pensi al problema degli abusi come una realtà la cui trasformazione dipenda solo dalla gerarchia e dai preti; al contrario, proprio il clericalismo, e l’aver ridotto spesso la Chiesa a un’élite, ha generato un modo anomalo di intendere l’autorità, che ha svalutato la grazia battesimale e, non di rado, ha contribuito a forme di abuso, anzitutto sulla coscienza delle persone.

Papa Francesco afferma, infatti: “E’ impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio […] Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo. E’ sempre bene ricordare che il Signore, «nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6). Pertanto, l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio. (PAPA FRANCESCO, Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio, 20 agosto 2018).

Dobbiamo crescere tutti, perciò, in questa consapevolezza già incoraggiata dall’ecclesiologia del Concilio Vaticano II: insieme, preti e laici, come unico Popolo di Dio, ciascuno secondo la specificità della propria vocazione, siamo invitati a camminare e lavorare a servizio del Regno di Dio, sostenendoci a vicenda e condividendo con premuroso amore le gioie, le difficoltà e le sofferenze. Se posso dirlo in breve: anche il lavoro del Dicastero testimonia che tante situazioni della vita dei preti, generate da solitudine, stanchezza e incomprensioni, non sarebbero degenerate o sarebbero state affrontate in tempo se ci fosse stato l’ascolto, l’accompagnamento e la condivisione da parte dei Vescovi e della intera comunità cristiana.

3. Il prete è l’uomo del discernimento

Discepolato e configurazione al Buon Pastore permettono al Sacerdote di appartenere al Signore e alla Chiesa, di vivere un’intimità personale con il Signore che si traduce in una prassi pastorale compassionevole verso i fratelli.

Tuttavia – dicevamo – l’orizzonte del ministero sacerdotale va inserito in una visuale più ampia, che è quella del Regno di Dio, cioè di quell’azione della Grazia che opera nei cuori e nella storia quotidiana, e che ha bisogno non di essere controllata o incasellata in schemi rigidi, quanto, piuttosto, di essere scoperta e contemplata.

È qui che si inserisce il tema del discernimento, caro a Papa Francesco e alla spiritualità ignaziana, ma, ancor più, presente nel Vangelo e nella storia della Chiesa, che sono difatti “una storia di discernimento”, cioè un cammino di ricerca per leggere e interpretare la vita alla luce della presenza di Dio, per capire “questo viene da Dio, questo viene da me, questo viene dal diavolo” (PAPA FRANCESCO, Incontro con i seminaristi e i Sacerdoti dei Pontifici Collegi e Convitti Ecclesiastici, 16 marzo 2018).

Nel discernimento il Sacerdote esercita il vero ministero pastorale, cioè l’essere propriamente un Pastore, che vince il rischio dell’autoreferenzialità, di un agire pastorale “esterno” alla vita reale del suo popolo e, soprattutto, di quella eccessiva sicurezza dottrinale che potrebbe rinchiuderlo nei propri schemi e farlo diventare un rigido “ragioniere dello spirito” (PAPA FRANCESCO, Omelia Giubileo dei Sacerdoti, 3 giugno 2016).

Si tratta, come sappiamo, di un punto-chiave della spiritualità di Papa Francesco e del Suo Pontificato. In particolare, il Santo Padre invita i sacerdoti a essere Pastori con quella buona dose di spessore umano e spirituale, che li renda capaci di accompagnare le persone nel cammino della propria vita, rendendole più esperte nell’arte di interpretare se stesse, di leggere in profondità il proprio cuore, di giudicare con equilibrio le proprie scelte esistenziali, e di cogliere le mozioni dello Spirito nella loro esperienza quotidiana.

Il sacerdote come uomo del discernimento, cioè, è colui che facilita in ogni credente l’incontro con il Signore e la capacità spirituale di cogliere, nella propria vita, gli impulsi e i desideri dello Spirito che, spesso, non sono così lineari e facili da definire.

Infatti – come ricorda il Santo Padre all’inizio di Amoris laetitia – seppur sia necessaria un’unità di dottrina e di prassi, la Chiesa deve tener conto della complessità e delle sfumature dell’esistenza concreta delle persone, nonché del pluralismo culturale attualmente in atto e delle sfide sempre nuove che vengono poste alla fede stessa. Essa, perciò, invece di distribuire norme dall’alto o, peggio ancora, condanne e anatemi, dovrà esercitarsi nel contemplare “che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo” (AL, n. 3).

Ai Pastori, perciò, è richiesta la capacità umana e spirituale di entrare nella storia concreta delle persone a loro affidate, camminando con il Popolo di Dio, togliendosi i sandali dinanzi alla terra sacra dell’altro, e condividendo le speranze e le ferite di ciascuno; nella luce della fede – afferma Papa Francesco in Evangelii gaudium – i Sacerdoti devono offrire uno sguardo di vicinanza, che sa “commuoversi e fermarsi davanti all’altro, tutte le volte che sia necessario” (EG, n. 169), esercitando la prudenza, la pazienza, l’ascolto e la comprensione degli altri e, soprattutto, adottando verso di loro una pedagogia graduale che, passo dopo passo, introduca le persone al mistero di Dio e le aiuti a fare scelte libere e responsabili (cfr. EG, n. 171-172).

Nell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris laetitia, il Santo Padre chiede soprattutto ai Pastori di superare la tentazione di un accomodamento in una normativa generale; infatti, per quanto occorre e sia necessaria una prassi canonica che stabilisca delle norme, nella vita delle persone esiste “un’innumerevole varietà di situazioni concrete” rispetto alle quali “è possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari” (AL, 300).

Per fare ciò – afferma Papa Francesco – “un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone…Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio”. (AL, n. 305).

Parlando alla Comunità de La Civiltà Cattolica, nel febbraio scorso, Papa Francesco ha affermato che “Questo nella Chiesa e nel mondo è il tempo del discernimento. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente che conosce la via umile della cocciutaggine quotidiana, e specialmente dei poveri. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita. Ma bisogna penetrare l’ambiguità, bisogna entrarci, come ha fatto il Signore Gesù assumendo la nostra carne. Il pensiero rigido non è divino perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida se non nel momento della morte” (Papa Francesco, Incontro con la Comunità di “La Civiltà Cattolica”, 9 febbraio 2017).

La Ratio, ispirata dal Magistero di Francesco, afferma che il prete è l’uomo del discernimento, sia nell’ambito della vita personale che in quello dell’azione pastorale.

In riferimento a se stesso, egli dovrà gradualmente diventare “capace di interpretare la realtà della vita umana alla luce dello Spirito, e così scegliere, decidere e agire secondo la volontà divina” (RF, n. 43), integrando la propria storia nella vita spirituale e coltivando con disciplina il lavoro sacerdotale, l’ascolto della coscienza, il confronto onesto con la propria vita e con le esigenze del ministero, la gestione equilibrata dei programmi e degli impegni, la libertà dai condizionamenti interni ed esterni, e così via.

Ovviamente, si tratta di un lavoro che richiede “un’attenta cura della propria interiorità, attraverso la preghiera personale, la direzione spirituale, il contatto quotidiano con la Parola di Dio, la “lettura credente” della vita sacerdotale insieme agli altri presbiteri e al Vescovo, e tutti gli strumenti utili a coltivare le virtù della prudenza e del giudizio. In questo permanente cammino di discernimento, il sacerdote saprà decifrare e comprendere le proprie mozioni, i doni, i bisogni e le fragilità” (RF, n. 43), così da poter fare in tutto la volontà di Dio.

Nell’ambito pastorale, conformati al Cuore di Cristo, i sacerdoti dovranno diventare “esperti nell’arte del discernimento pastorale, cioè capaci di un ascolto profondo delle situazioni reali e di un buon giudizio nelle scelte e nelle decisioniLo sguardo del Buon Pastore, che cerca, accompagna e guida le sue pecore, lo introdurrà in una visione serena, prudente e compassionevole; egli svolgerà il suo ministero in uno stile di serena accoglienza e di vigile accompagnamento di tutte le situazioni, anche di quelle più complesse, mostrando la bellezza e le esigenze della verità evangelica, senza scadere in ossessioni legaliste e rigoriste. In tal modo, saprà proporre percorsi di fede attraverso piccoli passi, che possono essere meglio apprezzati e accolti.” (RF, n. 120).

Conclusione

Come si può ben vedere, la ricchezza del Magistero del Santo Padre sulla figura del Sacerdote e sul ministero sacerdotale è tale da non poter essere facilmente sintetizzata e, più che definizioni stringenti, esso ci spinge ad approfondire e camminare alla scoperta di quanto il Signore suggerisce al nostro essere Pastori in questo momento storico.

Discepolo, Pastore configurato al Cuore di Cristo e uomo del discernimento, il prete è chiamato a essere ancora oggi un “mediatore” capace di farsi prossimo, di ascoltare e accompagnare, esercitando l’arte della misericordia e seminando a piene mani la gioia del Vangelo. Ci conceda Maria Santissima di essere e di avere per la Chiesa, Sacerdoti così.

Cardinale Stella, Fatima, 3 settembre 2018 – Ore 17:00