Teodoro Di Mopsuestia
Teodoro, vescovo di Mopsuestia in Cilicia, nacque ad Antiochia e fu discepolo del retore pagano Libanio e di Diodoro. Grande influenza nella sua vita esercitò Giovanni Crisostomo di cui fu amico e condiscepolo degli stessi maestri. Fu proprio Giovanni, infatti, a richiamare Teodoro alla vita monastica da cui si era distaccato per studiare diritto. Divenne vescovo di Mopsuestia nel 392 ed ivi morì nel 428.
Teodoro fu sicuramente il più grande esegeta biblico di tutta la scuola di Antiochia. Dopo una vita trascorsa nell’ortodossia generalmente riconosciuta, successivamente alla sua morte, fu combattuto come eretico nella lotta contro Nestorio, che fu suo discepolo. Scrisse contro di lui Cirillo di Alessandria e durante il concilio ecumenico di Costantinopoli del 553 fu condannato come nestorianot”) tanto che i suoi scritti scomparvero praticamente tutti, Scoperte e studi successivi hanno dimostrato false le accuse rivolte a Teodoro quale padre del nestorianesimo in quanto i testi, in base ai quali fu condannato, sono stati dimostrati interpolati. Da tali scritti è possibile constatare, invece, l’ortodossia di Teodoro soprattutto in tema cristologico anche se la terminologia usata si prestava ad equivoci ed era insufficiente.
Il commento al Padre nostro è tratto dai “Discorsi catechetici “, estremamente importanti per la conoscenza della teologia e della liturgia ecclesiastica.
Il nestorìanesimo è una dottrina cristologica della scuola catechistica di Antiochia in Siria che prende nome da Nestorio, patriarca di Costantinopoli e che fu combattuta come eretica dal concilio di Efeso del 431. Sosteneva che l’unione in Cristo della natura divina e della natura umana, non fosse una vera unione sostanziale, ma piuttosto un’unione di carattere psicologico e morale realizzata nelle azioni con il pieno accordo delle due volontà (umana e divina).
Padre nostro che sei nei cieli
Dice Cristo, anzitutto: voi dovete sapere quello che eravate; solo così, infatti, potrete conoscere quello che siete diventati ed apprezzare in tal modo il dono immenso ricevuto da Dio. Questo dono è ben più grande di quello che ricevettero i vostri antenati. In realtà quello che io faccio per quelli che credono in me è di trattarli ben al di sopra dei discepoli di Mosé, se è vero che questa alleanza fu “quella del Monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar … che è schiava insieme ai suoi figli” (Gal. 4, 24 – 25). Tutti coloro che erano soggetti alla legge erano schiavi della legge: chiunque trasgrediva la legge era assoggettato alla sentenza capitale.
Voi, invece, avete ricevuto la grazia dello Spirito Santo, per questo siete diventati figli adottivi di Dio e lo potete chiamare “Padre”. Lo Spirito Santo non vi è stato dato perché ricadiate nuovamente nel timore e nella schiavitù. “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre” (Rom. 8, 15). Voi ormai fate parte della Gerusalemme celeste e ricevete quella libera condizione che spetta a coloro che la risurrezione ha reso immortali e che, con questa natura, vivono in cielo.
Una volta chiarita la differenza tra i cristiani e coloro che sono sotto messi alla legge – se è vero che la legge uccide ed infligge ai trasgressori una sentenza di morte ineluttabile, mentre lo Spirito vivificante rende immortali mediante la resurrezione -è bene che vi comportiate in maniera degna del dono che avete ricevuto, poiché è “Figlio di Dio” colui che ha ricevuto lo Spirito di Dio ed, in quanto figlio, ha la stessa natura del Padre e fa le opere del Padre, mentre coloro che sono sottomessi alla legge hanno ricevuto il semplice nome di “figli”, cioè di creature. Ho detto già: “Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo” (Sal. 81, 6). Coloro che hanno ricevuto lo Spirito Santo di Dio e che attendono l’immortalità, devono vivere secondo lo Spirito, conformarsi a Lui, avere una giusta coscienza, astenersi da ogni peccato e compiere azioni conformi alla vita celeste. In caso contrario, Dio non potrà rispondere alla vostra preghiera quando lo invocate, dicendo: “Signore nostro e Dio nostro!”.
Dovete sapere inoltre che Dio è creatore di ogni cosa ed in quanto tale è Lui che vi darà il godimento dei suoi beni. Chiamatelo tuttavia “Padre”, affinché, consapevoli della vostra nobiltà, dignità e grandezza di Figli di Dio, Lui vi ammaestri e vi aiuti ad agire ed a comportarvi di conseguenza.
Non dite “Padre mio”, ma “Padre nostro”. Il Padre, infatti, è comune a tutti, come è di tutti la· Sua grazia santificante che ci rende figli Suoi. Quindi, non vi accontentate di agire convenientemente · nei soli confronti del Padre, ma manifestatevi a vicenda la concordia e l’amore di fratelli a cui il Signore ha elargito la stessa grazia e garantito la stessa protezione. Ha aggiunto poi “che sei nei cieli” per rendervi consapevoli del luogo a cui siete destinati: infatti, grazie all’adozione filiale, pregate perché possiate diventare un giorno cittadini del cielo; tale infatti è la dimora dei Figli di Dio.
Ma che cosa debbono fare coloro che la pensano in questo modo?
Sia santificato il Tuo nome
Prima di tutto lodate Dio, vostro Padre.
Gesù ha detto: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 16); ed ha ribadito: “sia santificato il Tuo nome”. Ciò vuol dire: agite in modo che tutti lodino il nome di Dio. Ciò avverrà quando il Suo Spirito di misericordia e di grazia vi riempirà completamente. Allora vedremo i frutti della vostra figliolanza con Dio: lo spirito che Egli vi avrà donato, determinerà in voi un progresso ed una trasformazione senza fine per cui potrete veramente chiamare Dio, “Padre”. In caso contrario, con la vostra condotta causereste la bestemmia e la contestazione contro Dio in coloro che vi circondano e che, vedendo le vostre opere inique, vi giudicherebbero indegni di essere figli di Dio. Se fate il bene, invece, le vostre opere testimonierebbero il vostro diritto ad essere “figli di Dio”, degni della santità di un tale Padre. Per provocare dunque in tutti la lode di Dio, sforzatevi di agire in modo conveniente.
Venga il Tuo regno
Questa petizione completa la precedente.
Coloro che hanno ricevuto l’adozione a Figli ed hanno in loro la natura divina, sono destinati al Regno ed attendono di condividere il cielo con Cristo; infatti, secondo la parola di San Paolo: “saremo rapiti … tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria e così saremo sempre con il Signore” (1 A Tess. 4, 17). Proprio in considerazione di questa mèta a cui siamo destinati, cerchiamo di avere dignità di pensieri, santità di azioni, distacco dalle cose terrene. Non facciamo come il suddito che, abitando nella reggia e potendo godere continuamente della vicinanza e della vista del re, si intrattiene nei mercati e nelle bettole, trascurando la compagnia di coloro che abitano nel palazzo. Allo stesso modo noi, che siano stati destinati al regno dei cieli, agiamo di conseguenza in modo conforme- a questo senza abbandonarci all’iniquità ed alle opere malvagie, comportandoci come cittadini del cielo. Come, infatti, si potrebbe conciliare la perversione della vita con la santità di Dio?
Ma come possiamo compiere opere di vita eterna, conformandoci ai modi di vivere del cielo e provocando negli altri con le nostre azioni le lodi di Dio, nonostante la debolezza della natura umana?
Sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra
Cerchiamo di comportarci in terra, per quanto ci è possibile, secondo i modelli della vita del cielo. Lassù nulla complotta contro Dio: il male è sconfitto, tutti i peccati sono cancellati, la potenza del demonio è abbattuta, tutti i nemici sono vinti. Alla fine, quando, risuscitati dai morti, abiteremo il cielo in una natura immortale e, liberati dalla schiavitù del peccato, vivremo alla luce di Dio, finalmente non desidereremo e non compiremo altro che la Sua volontà senza che a ciò si opponga alcuna forza contraria. Fino a che saremo in questo mondo, altro non ci si chiede che mettere le nostre deboli forze al servizio di Dio, cercando di fare la Sua volontà in modo da accordare, in questa, il nostro volere e la nostra coscienza.
Ma fin tanto che saremo in questo corpo mortale, la nostra volontà sarà soggetta alle tentazioni del mondo, allontanandoci dalla volontà di Dio. “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo”, ci ammonisce San Paolo (Rom. 12, 2) “ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto”. San Paolo non ci chiede di sopprimere le nostre passioni, sforzandoci e fondando i nostri sforzi solo sulla volontà, ma ci esorta a prendere coscienza che tutto ciò che è del mondo è destinato a perire. Lungi da noi, quindi, l’imitazione della vita terrena; lottiamo, invece, contro tutte le lusinghe e gli inganni del mondo che gonfiano il nostro orgoglio e frantumano il nostro coraggio. Opponiamoci specialmente a tutto ciò che è contrario a Dio e ci allontana dal bene. Proteggiamo il nostro cuore e correggiamo il nostro pensiero ogni giorno.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Vi raccomando. insomma, di cercare i beni della vita futura e di regolare la vostra vita terrena su quella celeste, secondo le vostre forze, non al punto di non mangiare né bere né usare il necessario per vivere, ma di amare e ricercare con tutto il vostro essere il bene che voi avete scelto. Potete, quindi, soddisfare i vostri bisogni più urgenti ma non cercate né domandate alcuna cosa più del necessario. San Paolo ci dice: “Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo” (l” Tim. 6, 8). È questo il “pane” che intende il Signore: questo pane è necessario al nostro nutrimento ed alla nostra sussistenza. “Oggi” significa “ora”; è oggi che esistiamo ed è oggi che ne abbiamo bisogno. Domani sarà un altro “oggi” e la misericordia di Dio, anche in questo caso, ci fornirà il pane.
La Sacra Scrittura chiama “oggi” ciò che è presente e vicino. Ad esempio, “oggi se udite la mia voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, il giorno della tentazione nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova, pur avendo visto per quarant’anni le mie opere” (Eb. 3, 7 – 8). Che significa tutto ciò? Finché siamo in questo mondo, ricordiamo sempre queste parole della Scrittura; essa stimolerà ogni giorno la nostra coscienza, renderà vigile la nostra anima e ci spronerà a correggere i nostri difetti, fuggendo il male e ricercando il bene. Finché siamo in questo mondo e possiamo ancora correggerci e fare penitenza, cerchiamo di progredire fin quanto è possibile sulla via della santità; quando poi avremo lasciato questo mondo ed il tempo della penitenza e della correzione sarà passato, arriverà il tempo del giudizio. Ecco perché nostro Signore Gesù dice “dacci oggi il pane che ci è necessario … “. L’espressione “che ci è necessario” significa “secondo la · nostra natura”, cioè quanto è necessario all’essere ed alla sua sussistenza. Dio creatore ce ne ha imposto l’uso. Quanto al superfluo, il desiderarlo, l’acquistarlo e l’ammassarlo in modo smodato non è degno di coloro che cercano la perfezione. Accumulare beni non necessari alla nostra vita, altro non significa che ammucchiare per gli altri. ·
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Nelle prime petizioni della preghiera> nostro Signore fissava la definizione della virtù. Con “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, Egli ha praticamente posto un limite alle nostre occupazioni, ammonendoci dal desiderare e dal ricercare smodatamente tutto quanto è superfluo per la nostra esistenza. Con questa ulteriore richiesta “rimetti a noi i nostri debiti”, il Signore Gesù, ben sapendo che, nonostante tutta la nostra applicazione e i nostri sforzi, la debolezza umana ci renderebbe impossibile rimanere indenni dal peccato, ci offre il rimedio del perdono. Applicatevi pure al bene, Egli dice, senza domandare nulla più del necessario: potete ricevere la remissione dei vostri peccati. Questi peccati, in fondo, sono involontari: colui che cerca il bene e fugge il male, sia pure con le sue povere forze, non pecca mai volentieri.
E aggiunge: “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”: nel senso che possiamo sperare nella remissione dei nostri peccati nella misura in cui noi condoniamo i debiti a coloro che ci hanno offeso. Anche se abbiamo scelto il bene e cerchiamo di perseguirlo con tutte le nostre forze, ci capita sempre di peccare contro Dio e contro gli uomini. È dunque utile che Dio abbia trovato un rimedio a questi due mali, rimettendoci le nostre colpe come noi le rimettiamo ai nostri debitori.
Quando dunque abbiamo peccato, imploriamo il perdono del Signore: Egli ce lo concederà e da ciò ricaviamo la forza di perdonare a nostra volta coloro che ci hanno offeso e se ne scusano con noi. Solo chi si sente veramente perdonato è pronto al perdono.
La nostra esistenza terrena è soggetta quotidianamente a tribolazioni, quali malattie, cattiverie del prossimo ed altro che ci colpiscono e ci turbano, tentando gravemente la nostra anima e facendoci cadere nella mormorazione e nell’inaccettazione della nostra storia quotidiana, Gesù, ben consapevole di questo, ha aggiunto alla preghiera che ci ha insegnato, un’altra petizione:
E non ci indurre in tentazione
Ogni volta che sopraggiungono delle tentazioni, sforziamoci di sopportarle con coraggio finché non siano passate. Tante sono le tentazioni che ci pesano durante tutto il cammino della vita: le malattie, le passioni carnali, i desideri sensuali ed ogni altra cosa che ci spinge al male. Ed oltre a ciò, siamo sottoposti a prove ancora più terribili ed insidiose: quando, ad esempio, subiamo il male da parte di fratelli nella fede che agiscono contro di noi. Il Signore è severissimo contro costoro: “Chi scandalizzerà anche uno solo di questi piccoli” dice infatti “sarebbe meglio per lui che gli si fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt. 18, 16). Il giudizio sarà tremendo per questi falsi fratelli che, con la loro condotta, fanno vacillare i puri ed i semplici che si sforzano di condurre una vita modesta e senza peccato, nuocendo loro con azioni malvagie e perverse.
Perciò il Signore Gesù aggiunge ancora:
Ma liberaci dal maligno
Satana, usando tutte le sue numerose e varie astuzie.ci causa gravi danni, tentando, in tal modo, di sviarci dalle scelte che abbiamo operato. Con la preghiera che ci ha insegnato, il nostro Signore Gesù Cristo ci mostra chiaramente cosa siano la perfezione morale e la nostra vocazione ed in che cosa consistano il nostro dovere, i nostri ostacoli ed i nostri veri bisogni. È proprio per il fatto che nel “Padrenostro” c’è una perfetta sintesi tra ortodossia dottrinale, vita morale e fede sincera, che i Padri lo hanno trasmesso ai propri catecumeni. La fede che ci viene trasmessa con la predicazione ci insegna la vera dottrina, mentre la preghiera di Gesù regola la nostra vita terrena in modo tale da poterla conformare a quella celeste. Ecco quindi qual’è l’insegnamento prezioso dell’orazione domenicale. Sforzatevi di chiuderla gelosamente nei vostri cuori, di meditarla e di tradurla in pratica. In tal modo potrete modellare, per quanto ve lo permettano le forze, la vostra vita presente a quella futura. Camminate secondo gli insegnamenti di nostro Signore Gesù Cristo ed otterrete tutti quei beni celesti che ci sono stati garantiti in grazia del Figlio unigenito di Dio al quale sia gloria con il Padre e lo Spirito Santo, ora e nei secoli dei secoli.
Amen.