Pubblichiamo il testo dell’omelia di san Josemaría “Il cuore di Gesù, pace dei cristiani”, raccolta nel libro di omelie “E’ Gesù che passa” edizioni Ares. Sopra il testo è presente il link per scaricare l’audio integrale dell’omelia.
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Dio Padre si è degnato di concederci, nel cuore di suo Figlio, infinitos dilectionis thesauros,
tesori inesauribili di amore, di misericordia, di tenerezza. Per
convincerci dell’evidenza dell’amor di Dio — che non solo ascolta le
nostre preghiere, ma le previene — basta seguire il ragionamento di san
Paolo: Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui?.
La grazia rinnova l’uomo dall’interno e lo converte, da peccatore e
ribelle, in servo buono e fedele. E fonte di ogni grazia è l’amore che
Dio nutre per noi e che Egli stesso ci ha rivelato, non soltanto con le
parole, ma con i fatti. L’amore divino fa sì che la seconda persona
della Santissima Trinità, il Verbo Figlio di Dio Padre, prenda la
nostra carne, e cioè la nostra condizione umana, eccetto il peccato. E
il Verbo, Parola di Dio, è Verbum spirans amorem, la parola dalla quale procede l’Amore.
L’amore ci si rivela nell’Incarnazione, nel cammino redentore di Gesù
Cristo sulla nostra terra, fino al sacrificio supremo della Croce. E,
sulla Croce, si manifesta con un nuovo segno: Uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Acqua e sangue di Gesù che ci parlano di una donazione realizzata sino in fondo, sino al consummatum est: tutto è compiuto, per amore.
Nella festa di oggi, considerando ancora una volta i misteri centrali
della nostra fede, ci meravigliamo del modo in cui le realtà più
profonde — l’amore di Dio Padre che dona il Figlio, e l’amore del
Figlio che cammina sereno verso il Calvario — si traducano in gesti
così alla portata degli uomini. Dio non si rivolge a noi in
atteggiamento di potenza e di dominio; viene a noi assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini.
Gesù non si mostra mai lontano o altezzoso anche se nei suoi anni di
predicazione lo vediamo a volte indignato e addolorato per la malvagità
degli uomini. Ma, se facciamo attenzione, vediamo subito che il suo
sdegno e la sua ira nascono dall’amore: sono un ulteriore invito a
uscire dall’infedeltà e dal peccato. Forse che io ho piacere della morte del malvagio — dice il Signore Dio — o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?.
Queste parole ci spiegano tutta la vita di Cristo e ci fanno
comprendere perché si è presentato a noi con un cuore di carne, con un
cuore come il nostro, sicura prova di amore e testimonianza costante
del mistero inenarrabile della carità divina.
163 Non posso fare a meno di confidarvi una cosa che mi fa soffrire e
mi spinge ad agire: pensare agli uomini che ancora non conoscono
Cristo, che non riescono ancora a intuire la profondità del tesoro che
ci attende nel Cielo, e che camminano sulla terra come ciechi,
inseguendo una gioia della quale ignorano il vero volto o perdendosi
per strade che li allontanano dall’autentica felicità. Capisco bene ciò
che l’apostolo Paolo dovette provare quella notte nella città di
Troade, quando in sogno ebbe una visione: Gli
stava davanti un Macedone e lo supplicava: « Passa in Macedonia e
aiutaci! ». Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo — Paolo e Timoteo — di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunciarvi la parola del Signore.
Non sentite anche voi che Dio ci chiama, che ci urge, per mezzo di
tutto ciò che accade attorno a noi, a proclamare la buona novella della
venuta di Gesù? Ma, a volte, noi cristiani rimpiccioliamo la nostra
vocazione, cadiamo nella superficialità, perdiamo il tempo in dispute e
contese. O, peggio ancora, non manca chi si scandalizza falsamente per
il modo in cui alcuni vivono certi aspetti della fede o determinate
devozioni e, invece di aprir nuove strade sforzandosi essi stessi di
viverle nella maniera che ritengono retta, si dedicano a criticare e a
distruggere. Certamente possono verificarsi, e di fatto si verificano,
delle manchevolezze nella vita dei cristiani. Ma ciò che importa non
siamo noi con le nostre miserie: l’unica cosa che conta è Lui, Gesù. È
di Cristo che dobbiamo parlare, non di noi stessi.
Queste riflessioni mi vengono suggerite da alcune voci intorno a una
supposta “crisi” della devozione al Sacro Cuore di Gesù. Tale crisi non
esiste; la vera devozione è stata ed è tuttora un atteggiamento vivo,
pieno di senso umano e di senso soprannaturale. I suoi frutti sono,
ieri come oggi, frutti saporosi di conversione e di donazione, di
compimento della volontà di Dio, di penetrazione amorosa dei misteri
della Redenzione.
Cosa ben diversa sono invece le manifestazioni di certo sentimentalismo
inefficace, carente di dottrina e impastato di pietismo. Nemmeno a me
piacciono quelle immagini leccate, quelle figure del Sacro Cuore che
non possono ispirare alcuna devozione a persone dotate di buon senso
umano e soprannaturale. Ma non si dà prova di correttezza logica quando
si trasformano certi abusi pratici, destinati a estinguersi da soli, in
problemi dottrinali e teologici.
Se crisi c’è, è quella del cuore degli uomini, che non riescono — per
miopia, per egoismo, per ristrettezza di orizzonti — a intravvedere
l’insondabile amore di Cristo nostro Signore. La liturgia con cui la
Santa Chiesa celebra, fin dalla sua istituzione, la festa del Sacro
Cuore, ha sempre offerto l’alimento della vera pietà raccogliendo come
lettura della Messa un testo di san Paolo che ci propone tutto un
programma di vita contemplativa — conoscenza e amore, orazione e vita —
che si fonda proprio sulla devozione al Cuore di Gesù. Dio stesso, per
bocca dell’Apostolo, ci invita a percorrere questo cammino: Cristo
abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella
carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia
l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere
l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di
tutta la pienezza di Dio.
La pienezza di Dio ci viene rivelata e ci viene data in Cristo,
nell’amore di Cristo, nel Cuore di Cristo. Perché è il cuore di Colui
nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità.
Ma quando si perde di vista questo grande disegno divino — la corrente
d’amore instaurata nel mondo con l’Incarnazione, la Redenzione e la
Pentecoste — non si potrà mai comprendere tutta la ricchezza del Cuore
del Signore.
164 Prestiamo attenzione al significato profondo racchiuso in queste
parole: Sacro Cuore di Gesù. Quando parliamo del cuore umano non ci
riferiamo solo ai sentimenti, ma alludiamo a tutta la persona che vuol
bene, che ama e frequenta gli altri. Nel modo umano di esprimerci, il
modo raccolto dalle Sacre Scritture perché potessimo intendere le cose
divine, il cuore è considerato come il compendio e la fonte,
l’espressione e la radice ultima dei pensieri, delle parole e delle
azioni. Un uomo, per dirla nel nostro linguaggio, vale ciò che vale il
suo cuore.
Al cuore appartengono: la gioia — gioisca il mio cuore nella tua salvezza; il pentimento — il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere, la lode a Dio — effonde il mio cuore liete parole; la decisione di ascoltare il Signore — saldo è il mio cuore; la veglia amorosa — io dormo, ma il mio cuore veglia; e anche il dubbio e il timore — non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in me.
Il cuore non si limita a sentire: sa e capisce. La legge di Dio si
riceve nel cuore e in esso rimane scritta. La Scrittura aggiunge
ancora: La bocca parla dalla pienezza del cuore. Il Signore apostrofa gli scribi: Perché mai pensate cose malvagie nei vostri cuori? E, come sintesi dei peccati che l’uomo può commettere, Gesù dice: Dal
cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le
prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.
Quando la Sacra Scrittura parla del cuore, non intende un sentimento
passeggero che porta all’emozione o alle lacrime. Parla del cuore —
come testimonia lo stesso Gesù — per riferirsi alla persona che si
rivolge tutta, anima e corpo, a ciò che considera il suo bene: Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
Ecco pertanto che, considerando il Cuore di Gesù, scopriamo la certezza
dell’amore di Dio e la verità del suo donarsi a noi. Nel raccomandare
la devozione al Sacro Cuore, non facciamo che raccomandare di orientare
integralmente noi stessi, con tutto il nostro essere — la nostra anima,
i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre
azioni, le nostre fatiche e le nostre gioie — a Gesù tutto intero.
La vera devozione al Cuore di Gesù consiste in questo: conoscere Dio e
conoscere noi stessi, guardare a Gesù e ricorrere a Lui che ci esorta,
ci istruisce, ci guida. In questa devozione non si dà altra
superficialità che quella dell’uomo che, non essendo interamente umano,
non riesce a cogliere la realtà del Dio incarnato.
165 Gesù crocifisso, con il cuore trafitto dall’amore per gli uomini, è
una risposta eloquente — le parole sono superflue — alla domanda sul
valore delle cose e delle persone. Gli uomini, la loro vita e la loro
felicità, valgono tanto che lo stesso Figlio di Dio si dona loro per
redimerli, purificarli, elevarli. Chi non amerà quel Cuore così ferito? si domandava un’anima contemplativa, davanti a questo spettacolo. E continuava: Chi
non ricambierà amore per amore? Chi non abbraccerà un Cuore così puro?
Noi, che siamo di carne, pagheremo amore con amore, abbracceremo il
nostro ferito, al quale gli empi hanno trapassato mani e piedi, il
costato e il Cuore. Chiediamogli che si degni di legare il nostro cuore
con il vincolo del suo amore e di ferirlo con la lancia, perché è
ancora duro e impenitente.
Sono pensieri, affetti, espressioni che da sempre le anime innamorate
hanno rivolto a Gesù. Ma per intendere questo linguaggio, per capire
veramente il cuore umano, il Cuore di Cristo e l’amore di Dio,
occorrono fede e umiltà. Frutto di fede e di umiltà sono le parole
universalmente famose che Sant’Agostino ci ha lasciato: Ci hai creato, Signore, per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te.
Quando si trascura l’umiltà, l’uomo pretende di appropriarsi di Dio, e
non nella maniera divina che Cristo ha reso possibile dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo;
bensì cercando di ridurre la grandezza divina ai limiti umani. La
ragione umana, la ragione fredda e cieca che non è l’intelligenza che
procede dalla fede, e nemmeno la retta intelligenza di chi sa gustare e
amare le cose, si trasforma nell’insensatezza di chi sottomette ogni
cosa alle sue povere esperienze banali, quelle che rimpiccioliscono la
verità sovrumana e ricoprono il cuore di una crosta insensibile alle
mozioni dello Spirito Santo. La nostra povera intelligenza si
smarrirebbe se non ci venisse incontro il potere misericordioso di Dio
che rompe le frontiere della nostra miseria: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. E l’anima ritrova la luce, si riempie di gioia, davanti alle promesse della Sacra Scrittura.
Io ho progetti di pace e non di sventura, dice il Signore per
bocca del profeta Geremia. La liturgia applica queste parole a Gesù,
perché in Lui si manifesta pienamente in che modo Dio ci ama. Non viene
a condannarci, a rinfacciarci la nostra indigenza, la nostra
meschinità: viene a salvarci, a perdonarci, a scusare le nostre colpe,
a portarci la pace e la gioia. Se riconosciamo il rapporto meraviglioso
del Signore con i suoi figli, i nostri cuori cambieranno, e ci
renderemo conto che davanti ai nostri occhi si apre un panorama del
tutto nuovo, ricco di rilievo, di profondità, di luce.
166 Badate però che Dio non dice: al posto del cuore vi darò la volontà
di un puro spirito. No: ci dà un cuore, un cuore di carne come quello
di Cristo. Io non ho un cuore per amare Dio, e un altro per amare le
persone della terra. Con il cuore con cui ho amato i miei genitori e
amo i miei amici, con questo stesso cuore amo Cristo e il Padre e lo
Spirito Santo e Maria Santissima. Non mi stancherò di ripetere che
dobbiamo essere molto umani; perché altrimenti non potremmo neppure
essere divini.
L’amore umano, l’amore di quaggiù, quando è vero, ci aiuta ad
assaporare l’amore divino. Pregustiamo in tal modo l’amore con cui
godremo Dio e quello che intercorrerà fra di noi in Cielo, quando il
Signore sarà tutto in tutti. Questo incominciare a intendere l’amore divino, ci spingerà a essere più comprensivi, più generosi, più donati.
Dobbiamo dare quello che riceviamo, insegnare ciò che impariamo,
partecipare agli altri — senza montare in cattedra, con semplicità — la
nostra conoscenza dell’amore di Cristo. Ciascuno di noi, nel realizzare
il proprio lavoro, nell’esercitare la propria professione nella
società, può e deve convertire la sua occupazione in un compito di
servizio. Il lavoro ben fatto, che progredisce e fa progredire, che
tiene conto dello sviluppo della cultura e della tecnica, svolge una
grande funzione, sempre utile a tutta l’umanità, se a muoverci è la
generosità e non l’egoismo, il desiderio del bene comune e non il
proprio tornaconto: se è pieno del senso cristiano della vita.
Quel lavoro è l’occasione per manifestare, nella stessa trama delle
relazioni umane, la carità di Cristo e i suoi frutti concreti di
amicizia, di comprensione, di calore umano, di pace. Come Cristo passò facendo il bene lungo
le vie della Palestina, così anche voi, negli itinerari umani della
famiglia, della società civile, delle relazioni professionali
quotidiane, della cultura e del riposo, dovete compiere una grande
semina di pace. Sarà questa la prova migliore che il regno di Dio è
giunto al vostro cuore: Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita — scrive l’apostolo Giovanni — perché amiamo i nostri fratelli.
Questo amore però lo si vive solo se ci si forma alla scuola del Cuore
di Gesù. È necessario guardare e contemplare il Cuore di Cristo, perché
il nostro cuore si liberi dall’odio e dall’indifferenza; solo allora
sapremo reagire in modo cristiano davanti alle sofferenze altrui,
davanti al dolore.
Pensate alla scena narrata da san Luca, quando Gesù giunge presso la
città di Nain. Gesù vede il dolore di quelle persone con cui si imbatte
per caso. Poteva passare al largo, o aspettare che lo pregassero.
Invece non se ne va né attende una richiesta. Prende l’iniziativa,
mosso dall’afflizione di una vedova che aveva perduto tutto ciò che le
restava, suo figlio.
L’evangelista precisa che Gesù provò compassione: forse si sarà
commosso anche esteriormente, come per la morte di Lazzaro. Gesù Cristo
non era, non è, insensibile alla sofferenza che nasce dall’amore, né
gode di separare i figli dai genitori: vince la morte per dare la vita,
affinché coloro che si amano siano vicini, pur esigendo anzitutto e
sempre la preminenza dell’Amore divino che deve informare ogni
esistenza autenticamente cristiana.
Gesù sa di essere circondato da una folla che rimarrà stupefatta
davanti al miracolo e che ne proclamerà la notizia per tutta la
regione. Ma il Signore non compie un gesto studiato: si sente davvero
toccato dalla sofferenza di quella donna, e non può fare a meno di
consolarla. Infatti le si avvicina e le dice: Non piangere!.
Come per farle capire: non voglio vederti in lacrime, perché io sono
venuto a portare sulla terra la gioia e la pace. Ed ecco il miracolo,
manifestazione della potenza di Cristo Dio. Ma prima venne la
commozione della sua anima, manifestazione evidente della tenerezza del
cuore di Cristo Uomo.
167 Se non impariamo da Gesù, non sapremo mai amare. Se pensassimo,
come alcuni, che conservare un cuore pulito, degno di Dio, significa
non immischiarlo, non contaminarlo con affetti umani, la conseguenza logica sarebbe quella di renderci
insensibili al dolore degli altri. Saremmo allora capaci soltanto di
una carità ufficiale, arida, senz’anima, ma non della vera
carità di Cristo, che è affetto e calore umano. Con questo, non intendo
avallare false teorie, tristi scuse per sviare i cuori, allontanandoli
da Dio, e indurli in occasioni di perdizione.
Nella festa odierna dobbiamo chiedere al Signore di concederci un cuore
buono, capace di commuoversi per il dolore delle creature, capace di
comprendere che, per lenire le pene che accompagnano e non poche volte
angustiano gli animi su questa terra, il vero balsamo è l’amore, la
carità: ogni altra consolazione serve al più per distrarre un momento,
lasciando dietro a sé amarezza e sconforto.
Per aiutare veramente gli altri, dobbiamo amarli di un amore di
comprensione e di donazione, pieno di affetto e di consapevole umiltà.
Il Signore, infatti, volle riassumere tutta la Legge in quel duplice
comandamento che in realtà è unico: amare Dio e amare il prossimo, con
tutto il nostro cuore.
Forse ora pensate che a volte i cristiani — tu e io, non gli altri —
dimenticano le applicazioni più elementari di questo dovere. Forse
pensate al permanere di tante ingiustizie, agli abusi non aboliti, alle
discriminazioni trasmesse da una generazione all’altra, sempre in
attesa che si operi una soluzione radicale.
Non devo, non è mio compito, proporvi le soluzioni pratiche di questi
problemi. Però, come sacerdote di Cristo, è mio dovere ricordarvi ciò
che dice la Sacra Scrittura. Meditate la scena del giudizio come Gesù
stesso la descrive: Via,
lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e
per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da
mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e
non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito; malato e in carcere
e non mi avete visitato.
Un uomo o una società che non reagiscano davanti alle tribolazioni e
alle ingiustizie, e che non cerchino di alleviarle, non sono un uomo o
una società all’altezza dell’amore del Cuore di Cristo. I cristiani —
pur conservando sempre la più ampia libertà di studiare e di mettere in
pratica soluzioni diverse, e godendo pertanto di un logico pluralismo —
devono coincidere nel comune desiderio di servire l’umanità. Altrimenti
il loro cristianesimo non sarà la Parola e la Vita di Gesù; sarà un
travestimento, un inganno, di fronte a Dio e di fronte agli uomini.
168 Devo proporvi ancora una considerazione: dobbiamo lottare senza
cedimenti per operare il bene, proprio perché sappiamo che è difficile
che noi uomini ci decidiamo seriamente a esercitare la giustizia, e
perché siamo lontani da una convivenza umana ispirata dall’amore e non
dall’odio o dall’indifferenza. Non ignoriamo neppure che, quand’anche
si riuscisse a ottenere una ragionevole distribuzione dei beni e
un’armonica organizzazione della società, non sparirebbe il dolore
della malattia, dell’incomprensione e della solitudine, dell’esperienza
dei propri limiti, della morte delle persone care.
Davanti a queste amarezze, solamente il cristiano possiede una risposta
autentica, una risposta definitiva, ed è questa: Cristo crocifisso, Dio
che soffre e muore, Dio che dona il suo Cuore aperto da una lancia come
pegno d’amore per tutti. Nostro Signore detesta le ingiustizie, e
condanna chi le commette; ma rispetta la libertà di ogni individuo e
permette, pertanto, che ve ne siano. Dio nostro Signore non causa il
dolore delle creature, ma lo tollera perché, dal peccato originale in
poi, il dolore è parte della condizione umana. Tuttavia, il suo Cuore,
pieno d’Amore per gli uomini, lo ha portato a prendere su di sé, con la
Croce, tutte le pene umane: la nostra sofferenza, la nostra tristezza,
la nostra angoscia, la fame e la sete di giustizia.
L’insegnamento cristiano sul dolore non propone un programma di facili
consolazioni. È, in primo luogo, una dottrina di accettazione della
sofferenza, la quale di fatto è inseparabile dalla vita di ogni uomo.
Non vi nascondo — e lo dico con gioia, perché ho sempre predicato, e
cercato di vivere, che dove c’è la Croce, c’è Cristo, c’è l’Amore — che
il dolore si è affacciato frequentemente nella mia vita, e più di una
volta ho avuto voglia di piangere. Altre volte ho sentito acuirsi la
pena di fronte all’ingiustizia e al male. E ho assaporato l’amarezza
dell’impotenza quando — nonostante i miei desideri e i miei sforzi —
non riuscivo a migliorare situazioni inique.
Quando parlo del dolore, non ne parlo soltanto in teoria. E non mi
limito a raccogliere le esperienze altrui quando insisto che, se
talvolta di fronte alla realtà della sofferenza sentite la vostra anima
vacillare, il rimedio è guardare Cristo. La scena del Calvario proclama
a tutti che le tribolazioni vanno santificate vivendo uniti alla Croce.
Le nostre afflizioni, infatti, vissute cristianamente, si trasformano
in riparazione e in suffragio, in partecipazione al destino e alla vita
di Gesù che, volontariamente, per amore degli uomini, ha sperimentato
tutta la gamma del dolore, ha conosciuto ogni sofferenza. Nacque,
visse, morì in povertà; fu combattuto, insultato, diffamato, calunniato
e condannato ingiustamente; conobbe il tradimento e l’abbandono dei
discepoli; assaporò la solitudine e le amarezze del supplizio e della
morte. Ora lo stesso Cristo continua a soffrire nelle sue membra,
nell’umanità tutta che popola la terra, e della quale egli è il Capo,
il Primogenito, il Redentore.
Il dolore fa parte dei piani di Dio: la realtà è questa, benché ci
costi capirla. Anche per Gesù, come uomo, fu costoso sopportarla: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà.
In questa tensione tra la ripugnanza per il supplizio e l’accettazione
della volontà del Padre, Gesù va incontro alla morte serenamente,
perdonando coloro che lo crocifiggono.
Questa accettazione soprannaturale del dolore è, al tempo stesso, la
massima conquista. Gesù, morendo sulla Croce, ha vinto la morte: Dio
suscita dalla morte la vita. Il contegno di un figlio di Dio non è
quello di chi si rassegna a una tragica sventura, quanto piuttosto di
chi si rallegra pregustando la vittoria. In nome dell’amore vittorioso
di Cristo, noi cristiani dobbiamo percorrere tutti i cammini della
terra per essere, con le parole e le opere, seminatori di pace e di
gioia. Dobbiamo lottare in questa guerra di pace contro il male,
l’ingiustizia, il peccato, proclamando che l’attuale condizione umana
non è quella definitiva e che l’amore di Dio manifestato nel Cuore di
Cristo otterrà il glorioso trionfo spirituale degli uomini.
169 Ricordavamo prima gli avvenimenti di Nain. Ora potremmo citarne
altri, perché i Vangeli sono pieni di episodi analoghi. Quelle
narrazioni hanno commosso e commuovono sempre il cuore delle creature,
perché non propongono soltanto il gesto sincero di un uomo che ha pietà
dei suoi simili, ma rivelano anzitutto la carità immensa del Signore.
Il Cuore di Gesù è il Cuore del Dio incarnato, dell’Emmanuele, Dio con
noi.
La Chiesa, unita a Cristo, nasce da un cuore ferito. Quel Cuore,
aperto sulla croce, ci trasmette la vita. Come non ricordare allora,
anche solo per un momento, i Sacramenti, attraverso i quali Dio opera
in noi e ci fa partecipi della forza redentrice di Cristo? Come non
ricordare con particolare gratitudine il sacramento dell’Eucaristia, la
nostra Messa, che rinnova in modo incruento il santo Sacrificio del
Calvario? Gesù ci si dona come alimento: Gesù, venendo a noi, trasforma
tutto e nel nostro essere si manifestano forze — l’aiuto dello Spirito
Santo — che riempiono l’anima e informano le nostre azioni, il nostro
modo di pensare e di sentire. Il Cuore di Cristo è la pace dei
cristiani.
Il fondamento della donazione che il Signore ci chiede non consiste
soltanto nei nostri slanci e nelle nostre forze, così spesso deboli o
impotenti: consiste innanzitutto nelle grazie che l’amore del Cuore di
Dio fatto uomo ci ha ottenute. Pertanto possiamo e dobbiamo perseverare
nella nostra vita interiore di figli del Padre nostro che è nei Cieli,
senza dar adito alla stanchezza e allo scoraggiamento. Mi piace far
considerare che il cristiano è chiamato a esercitare la fede, la
speranza e la carità nella sua comune esistenza quotidiana, nelle
occasioni più semplici, nelle circostanze abituali della sua giornata;
perché è qui che si rivela la condotta di un’anima che riposa in Dio,
ed è qui che l’esercizio delle virtù teologali porta la gioia, la forza
e la serenità.
Questi sono i frutti della pace di Cristo, la pace che il suo Cuore
Sacratissimo ci porta. Perché, ricordiamolo ancora una volta, l’amore
di Gesù per gli uomini è un aspetto insondabile del mistero divino,
dell’amore del Figlio per il Padre e lo Spirito Santo. Lo Spirito
Santo, il vincolo d’amore tra il Padre e il Figlio, trova nel Verbo un
cuore umano.
Non è possibile parlare di queste realtà centrali della nostra fede
senza avvertire i limiti della nostra intelligenza e la grandezza della
Rivelazione. Ma pur non potendo abbracciare queste verità, pur
avvertendo che la nostra ragione resta sbalordita davanti ad esse,
umilmente e fermamente le crediamo: fondandoci sulla testimonianza di
Cristo, sappiamo che è così; sappiamo che l’Amore, dal seno della
Trinità, si effonde su tutti gli uomini per mezzo dell’Amore del Cuore
di Gesù.
170 Quando viviamo nel Cuore di Gesù e ci uniamo strettamente a Lui, ci trasformiamo in dimora di Dio. Chi mi ama — dice il Signore — sarà amato dal Padre. E allora Cristo e il Padre, nello Spirito Santo, vengono nell’anima e vi stabiliscono la loro dimora.
Quando comprendiamo — anche solo un po’ — queste cose, il nostro modo
di essere cambia. Abbiamo allora sete di Dio e facciamo nostre le
parole del salmo: Mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua. E Gesù, che ha acceso i nostri desideri, ci viene incontro e ci dice: Chi ha sete, venga a me e beva.
Ci offre il suo Cuore, perché sia il nostro riposo e la nostra
fortezza. Quando ci decideremo ad accettare la sua chiamata,
sperimenteremo che le sue parole sono vere: la nostra fame e la nostra
sete aumenteranno fino a desiderare che Dio stabilisca nel nostro cuore
il luogo del suo riposo, e che non allontani mai più da noi il suo
calore e la sua luce.
Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che cosa voglio se non
che arda? Ci siamo avvicinati un po’ al fuoco dell’Amore di Dio;
lasciamo che la sua forza muova le nostre vite e alimentiamo il
desiderio di portare il fuoco divino da un estremo all’altro
della terra, facendolo conoscere a chi ci circonda: affinché tutti
possano giungere alla pace di Cristo e trovino in essa la felicità. Un
cristiano che vive unito al Cuore di Gesù non può avere che questa
meta: la pace nella società, la pace nella Chiesa, la pace nella
propria anima, la pace di Dio che sarà perfetta quando verrà a noi il
suo Regno.
Maria, Regina pacis, regina della pace, tu che avesti fede
e credesti che si sarebbe compiuto l’annuncio dell’Angelo, aiutaci a
crescere nella fede, a essere saldi nella speranza, profondi
nell’Amore. Perché questo vuole da noi tuo Figlio, mostrandoci oggi il
suo Sacratissimo Cuore.
Fonte:
Opus Dei