Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo di domenica 17 ottobre 2010

In questa 29.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui Gesù, per spiegare la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai, racconta la parabola del giudice disonesto interpellato da una vedova che chiede giustizia. Il giudice, pur non temendo Dio, accontenta la vedova per non essere più importunato. Gesù conclude:

“E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del carmelitano, padre Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

Oggi nella parabola c’è di scena un magistrato arrogante che si crede libero di fare come gli pare e di fronte a lui sta una povera vedova, che ha solo il coraggio della disperazione. Un braccio di ferro reciproco fra il giudice spavaldo e l’emblema della debolezza: eppure alla fine la donna con la sua insistenza, certa del suo diritto, lo costringe a piegarsi e a pronunciare la sentenza giusta. Certo, è un po’ imbarazzante sentire che Dio è paragonato a questo giudice cinico. Ma il vero senso della parabola è tutt’altro: è la perseveranza, la costanza e la fedeltà nella preghiera. Frutto di una fiducia certa nella bontà di Dio: perché anche se all’apparenza il cielo è chiuso e nessuno viene in soccorso, Dio non mancherà di soccorrere al momento che lui giudica opportuno. La sua paternità non è arroganza, ma benevolenza e vicinanza. Ma non confondiamo esaudimento con risposta automatica ad ogni nostra richiesta. Perché spesso le nostre richieste sono anche infantili e meschine. La fede non si deve confondere con la pretesa di grazie e miracoli a cascata. Fede e preghiera si fondano su un rapporto fiducioso con Colui che sappiamo che ci ama.

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