Al finire della notte, mi alzo in pieno deserto, per la preghiera. Qui, però, la preghiera è silenziosa: è osservare questi miliardi di stelle che ti sovrastano e ti fanno incantare. E poi luminosissima, in queste notti nere, vedi scendere piano piano la luna sul filo dell’orizzonte per dirti addio. Le stelle si spengono. Dall’altra parte appare, allora, soffice, una luminosità sempre più viva che prepara, incantevole, il sorgere del sole. Non senti la solita preghiera dell’alba dai minareti, né il tocco discreto della campana di un monastero. In un silenzio che ti impressiona è l’armonia della natura che prepara la nascita più sorprendente della vita: il giorno. Come milioni e milioni di anni fa, la contempli, ora, con i tuoi stessi occhi. Liturgia celeste grandiosa. Sei solo al mondo e non ti pare vero.
Ma è necessario « imparare a vivere nella solitudine, per essere nel cuore del mondo », mi raccomandava un monaco trappista. E la solitudine e lo sradicamento sono mirabili inviti a scendere in profondità e a respirare quella universalità che ti lega invisibilmente agli altri. La solitudine con Dio tonifica, apre. E guarisce.
Così mi presento a fare colazione, dopo avere vissuto nell’austerità del giorno precedente e l’essenzialità delle cose : eccomi a tavola con ogni delizia. Marmellate profumatissime, miele del deserto, specialità di ogni tipo e raffinatezza… si offrono con eleganza, fastosamente come a una festa. Rifletto, così, al bisogno vitale per gli uomini di questo particolare momento, prezioso nel ritmare periodi di povertà, di mancanza, di isolamento: la festa. Essenziale dimensione per qualsiasi comunità umana o religiosa : luogo privilegiato di riconciliazione.
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La festa è quando, deposti gli strumenti di lavoro e le nostre armi quotidiane, metti gli abiti belli per celebrare la comunione. Essa unisce e riunisce, riconcilia, annulla le esclusioni, esalta l’essenziale. Momento comunionale vivo, vitale e sorprendente canta la tua identità. Ed è il luogo, allo stesso tempo, dove vive il noi, l’essere insieme ad altri. La festa è una sosta, una vera oasi sul nostro cammino!
Ma, dopo varie ore di cammino solitario per il deserto, nella mattinata, finalmente, eccomi arrivato alle dune di Merzouga, le più belle di tutto il Sahara. Bellezza impressionante. Dolcissime curve, fino all’altezza di 200 metri, si spiegano per circa venti chilometri come vele al vento, dal quale si lasciano sfiorare, accarezzare, cesellare, ricamare… con una leggerezza e una disponibilità incredibili. Dal sole e dalle nuvole, invece, si lasciano rivestire di ogni tonalità: giallo ocra, arancione, giallo dorato, marrone… Spettacolo unico.
Sono solo oggi, sulla cresta di una duna, ma mi vengono in mente i giovani con cui venivo qui per anni, nel tempo di quaresima. Incredibile nostalgia. Li rivedo ancora correre come caprioli, a piedi nudi, su e giù su queste montagne di sabbia rossa, finissima con il pericolo di perdersi… tanto facile qui, al calare improvviso della notte. Ma, ricordo ancora quando, immobili per la meraviglia, assistevamo al sorgere o al tramonto del sole. Momenti magici. O quando si celebrava l’eucaristia sulla duna più alta… una messa sul mondo, come la definiva Teilhard de Chardin.
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Come dimenticare quando al momento del perdono posavano l’orecchio su questa sabbia rossastra, in pieno Sahara, per auscultare la terra, come il ventre di una donna. Ed era per provare a sentire il pianto di milioni di uomini, donne e bambini, di esistenze infelici sulla terra, miserabili, vite inumane, impossibili, sradicate dagli eventi e, semmai, migranti. In fondo, per chiedere perdono di avere un cuore inconsapevole, insensibile, indifferente alle tragedie del mondo. Signore pietà, Signore pietà ! Oppure, al momento della pace, vedere questi giovani affondare le mani e le braccia il più possibile nella sabbia, nel loro tentativo in mezzo al deserto di dare la mano a tutti gli uomini della terra, per esprimere le lunghe solidarietà che avrebbero voluto far nascere…
Sono solo, ormai, ma rendo omaggio, con emozione, a questi giovani che il deserto ha consolidato o trasformato nei loro aspetti più sani e più belli. Due, infatti, sono ritornati in Africa per un periodo di volontariato; un altro, per lo stesso motivo in Brasile, a Salvador de Bahìa; altri ancora…
Incontravamo nel nostro pellegrinaggio verso il deserto l’ospitalità e la testimonianza di varie comunità cristiane in terra musulmana. Ci mostravano il volto interculturale, evangelico e coraggioso di questa Chiesa nel Maghreb, un vero laboratorio di comunione. Essa accompagna nella sanità, nell’educazione e nelle tante povertà una società in crescita, così differente dalla nostra. Incantevoli la dedizione e la passione : una forza di testimonianza incredibile, tale da scuotere profondamente le certezze del mondo musulmano. Una lezione magnifica del deserto che qui sa fiorire e dare frutto. Sì, nello spirito di Charles de Foucauld e della sua fraternità universale. Di null’altro il mondo ha bisogno, oggi. Per vivere.
Renato Zilio missionario a Casablanca (Autore: Dio attende alla frontiera, EMI 35.ma ediz.)
Foto di Giorgio Parravicini su Unsplash