Il brano di Emmaus è un piccolo capolavoro, costruito con sapiente maestria dall’evangelista, che accompagna il lettore alla comprensione mediante una serie di piccoli ma geniali accorgimenti narrativi. Così, per Luca è importante mostrare in che modo diventi possibile, dopo la risurrezione, riconoscere Gesù, narrando il lento percorso dei due discepoli verso la comprensione dell’identità del viandante. Si parte dalla tomba, in cui nessuno vede Gesù; poi i due lo vedono, ma senza riconoscere; alla fine riconoscono, ma Gesù scompare: così, il lettore comprende che importante non è tanto vedere Gesù, ma riconoscere il segno della sua presenza: l’ascolto della Scrittura e lo spezzare il pane.
È questo che fa ardere il cuore e apre gli occhi. Ai due discepoli, e a noi. Ed è così che per Luca ogni uomo, come i due di Emmaus, può incontrare e riconoscere il Risorto. Altrettando abilmente, Luca costruisce un completo capovolgimento di prospettiva: la tristezza dei discepoli si muta nella gioia, la fuga da Gerusalemme nel ritorno alla città, il dubbio iniziale nel gioioso annuncio: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Tutto questo accompagna noi lettori a toccare con mano il grande cambiamento della Pasqua, vissuto per primo da Gesù stesso: il passaggio dalla morte alla vita.
Anche questa domenica l’apparizione del risorto fa i conti con dubbi e difficoltà. Quella che però in un tempo di normalità si sarebbe potuta liquidare come una piccola nota stonata all’interno della gioiosa sinfonia di Pasqua, diventa quest’anno un prezioso elemento di riflessione. In fondo, un po’ tutti abbiamo vissuto i giorni pasquali con un’ombra che oscurava i pensieri; certo, il Signore è risorto, ma il virus rimane e la morte, per tanti, è stata un’esperienza vicina e concretissima, avvinando la nostra esperienza a quella faticosa dei discepoli di Emmaus.
Quale risposta suggerisce il Vangelo? Che il Signore non sempre si mostra come vogliamo o pensiamo noi; la delusione dei discepoli nasce dalle loro false aspettative, che impediscono ai loro occhi di riconoscere il Risorto che è lì, e si vuole rivelare. E lo fa proponendo un cammino: si è fatto compagno di strada, ha riletto la Scrittura, ha condiviso il pasto. Azioni normali, ma che conducono a riconoscere. È una bella lezione anche per noi: in questo tempo sembra difficile vedere e incontrare il Signore, ma non potrebbe essere colpa dei nostri occhi «impediti»? Davvero il Signore non c’è? Forse, più che rammaricarci per quanto ci manca, dovremmo purificare lo sguardo per riconoscere la sua presenza nei segni che ci sono. E se anche il segno più grande (il pane spezzato) è ora negato ai più, la Scrittura che fa ardere il cuore è disponibile sempre, anche in questi giorni di quarantena forzata.
Inutile negarlo: ciò di cui ha bisogno il nostro cuore (bello che ci sia questa espressione, nel nostro Vangelo) è quella parola e quella presenza. Nient’altro basta: non il poter uscire, il tornare come prima, neppure l’essere liberati dal virus. Abbiamo bisogno dell’unico che può far ardere il cuore. E lui può venire anche ora, nelle nostre case, in mezzo a delusioni e fatiche, anche nella malattia e nella morte, perché lui l’ha vinta, come la Pasqua ci ha ricordato. E se lui viene, il nostro cuore, ancora, lo potrà riconoscere.
AUTORE: CEI
FONTE: Chi ci separerà?
SITO WEB: https://chiciseparera.chiesacattolica.it/la-chiesa-domestica-in-cammino-con-il-risorto-iii-domenica-di-pasqua-percorso-per-la-famiglia/
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