I cinque precetti della Chiesa

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I PRECETTI? Cosa sono? Forse soltanto i più anziani ricordano qualcosa perché «I Cinque Precetti della Chiesa» facevano parte del testo di catechismo, promulgato da san Pio X nel 1912 e che fino agli anni ’60 del secolo scorso era usato per la preparazione dei fanciulli alla prima Comunione e alla Cresima.

Lo stesso termine “precetto” ( = comando, obbligo) non è molto simpatico poiché impone di fare o non fare qualcosa. Fin da bambini, come insegna il racconto biblico di Adamo ed Eva, noi non amiamo i comandi.

Eppure in ogni famiglia, oltre alle normali regole di vita umana, sono necessarie anche particolari regole che esprimono il senso di appartenenza a quel particolare nucleo familiare e sviluppano la reciproca responsabilità (orari, ordine delle cose, tradizioni…).

La comunità cristiana, oltre ai fondamentali Dieci Comandamenti e alle norme di comportamento che derivano dal Vangelo, ha voluto dare nel corso dei secoli, secondo le diverse circostanze storiche, alcune regole per salvaguardare un minimo di vita cristiana e manifestare la propria appartenenza alla Chiesa.

La partecipazione all’Eucaristia domenicale; la Confessione dei peccati gravi almeno una volta all’anno; la Comunione almeno a Pasqua, il digiuno nei giorni e nei tempi stabiliti, il sostegno alle necessità materiali della Chiesa, sono cinque espressioni minimali per dire la propria appartenenza alla comunità cristiana.

Così il Compendio del Catechismo: «I cinque precetti della Chiesa hanno come fine di garantire ai fedeli il minimo indispensabile dello spirito di preghiera, della vita sacramentale, dell’impegno morale e della crescita dell’amore di Dio e del prossimo » (n. 431). Con il minimo si sopravvive, ma non si vive.

Silvano Sirboni, liturgista