Chi ha il Figlio ha la vita
“Cristiani non si nasce ma si diventa”, scriveva Tertulliano, ma alla luce del dialogo di Gesù con Nicodemo si dovrebbe specificare: “Cristiani non si nasce ma si rinasce”. A Nicodemo Gesù non parla di nascita ma di rinascita, e ricorrendo all’immagine della rigenerazione afferma che se uno non è generato di nuovo e dall’alto non può “vedere il regno di Dio” (Gv 3,3).
C’è una nuova nascita che siamo chiamati a realizzare, una rigenerazione alla quale l’Evangelo di Gesù Cristo ci chiama. L’essere rigenerati alla vita è un atto consapevole della nostra volontà e una libera decisione personale di adesione all’azione di Dio: credere è rinascere. C’è una vita (bíos), quella biologica, che su questa terra condividiamo con ogni essere vivente.
Ma c’è un’altra vita (zôê) la cui origine sta nel cuore di Dio ed è stata portata nel mondo da Gesù Cristo: “In lui era la vita” (Gv 1,4). Questa vita Cristo l’ha vissuta, e il tema della vita è di enorme importanza negli scritti giovannei. “Dio ci ha donato la vita eterna, e questa vita è nel suo Figlio” (1Gv 5,11). Ma più ci è concesso di penetrare la rivelazione che il quarto vangelo fa della “vita eterna” e più si scopre che questa vita non è qualcosa che il Figlio ha ma che il Figlio è: “Gesù Cristo è la vita eterna” (1Gv 5,20).
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Il lungo monologo di Gesù che costituisce il Vangelo di questa quarta domenica di Quaresima ci conduce al cuore del mistero del Figlio, il suo essere levato in alto sul legno della croce. Questo è il segno: il Figlio alzato sul palo come il serpente che Mosè innalzò nel deserto su comando del Signore: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita” (Nm 21,8).
Guardare l’innalzato significa avere la vita. Vedere il Figlio di Dio appeso alla croce, riconoscendo il senso di quella morte, obbliga l’uomo alla decisione di fede: restare nell’incredulità oppure credere nel Figlio. Di fronte allo scandalo di un Dio crocifisso o si crede o non si crede, tertium non datur.
La croce rappresenta una rottura radicale dell’immagine di Dio, una cesura definitiva: c’è un prima e un dopo. Di fronte all’Innocente innalzato non è possibile un semplice cambiamento di vita, un rinnovamento interiore, una trasformazione profonda, è invece necessaria la radicalità di una nuova nascita, di una vita nuova che significa avere la vita del Figlio o non averla: “Chi ha il Figlio, ha quella vita; ma chi non ha il Figlio di Dio, quella vita non ce l’ha” (1Gv 5,12 Bibbia Einaudi). La fede in Cristo non cambia la vita ma dà una vita altra, “quella vita”.
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Il Figlio dell’uomo innalzato sulla croce è la rivelazione dell’amore di Dio per il mondo, così che Gesù è il dono dello smisurato amore di Dio per l’umanità che si è manifestato là dove ogni logica umana costata l’assenza e il fallimento totale dell’amore: la condanna a morte per crocefissione di un uomo giusto e innocente, abbandonato da tutti, anche dai suoi discepoli, per volontà delle autorità religiose e l’accordo di quelle politiche.
Qualunque persona che giunga a contemplare il Figlio dell’uomo innalzato il puro segno dell’amore di Dio e crede in lui, è generata di nuovo e dall’alto: “Chiunque crede in lui ha la vita” (Gv 3,15)
Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi