Commento a cura di Giuliva Di Berardino pedagogista e liturgista.
Trascrizione, non rivista, del video.
Buongiorno a tutti. In questa 33ª domenica del tempo ordinario avvertiamo che la liturgia ci conduce verso la fine dell’anno liturgico e ci fa contemplare il mistero della fine, però una fine non come distruzione di tutto, ma come annuncio di eternità.
Questa è una domenica in cui siamo invitati a chiedere al Signore di essere rafforzati nella virtù della speranza. Nella prima lettura ascoltiamo il profeta Daniele al capitolo 12, versetti dall’1 al 3:
“In quel tempo sorgerà Michele, il gran principe che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stata dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo. In quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna, gli altri alla vergogna e all’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.”
Ecco le parole del profeta Daniele. Egli annuncia un tempo di angoscia, ma anche un tempo di salvezza. È importante che questa dimensione della salvezza e dell’angoscia si apra alla dimensione dell’eternità. Infatti, dirà: “Gli uni alla vita eterna, gli altri per la vergogna e l’infamia eterna.” Quindi abbiamo veramente uno sguardo rivolto verso l’eternità.
Questo senso lo riprende Gesù nel suo discorso. Siamo al capitolo 13 del Vangelo secondo Marco, versetti 24-32:
“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: ‘In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che Egli è vicino, è alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa: né gli angeli del cielo né il Figlio, eccetto il Padre.'”
Questo discorso di Gesù è stato considerato un discorso apocalittico. Infatti, entra nel genere apocalittico, poiché il Maestro si sofferma a parlare degli ultimi tempi con un linguaggio tipico della letteratura apocalittica, di cui il profeta Daniele era uno degli esponenti. Gesù ha pronunciato questo discorso negli ultimi giorni della sua vita, non davanti a tutti i suoi Apostoli né davanti a tutta la folla, ma solo a quattro dei suoi seguaci: Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea.
Questa selezione tra gli stessi Apostoli ci fa pensare che Gesù stesse facendo un discorso profondo, in cui, attraverso il linguaggio apocalittico, desiderava rivelare a quei discepoli un’attitudine del suo cuore, del suo amore. Se osserviamo che tutto il discorso è caratterizzato da immagini ispirate da fenomeni naturali, comprendiamo il senso di quello che Gesù vuole dire, oggi come allora.
Che cosa ci sta dicendo Gesù con tutte queste immagini? Il sole che si eclissa, la luna che perde luce, le stelle che cadono dal cielo… Gesù ci dice che la vita non si può distruggere, ma si può trasformare. La vita si trasforma, e lo vediamo nei fenomeni atmosferici. Questa trasformazione della natura, come anche quella del nostro cuore, non è comprensibile nella sua profondità solo dall’esterno. Se osserviamo dall’esterno, potremmo pensare che si tratti di distruzione. Invece, se impariamo a guardare dall’interno, la prospettiva cambia, e comprendiamo che non si tratta di distruzione, ma di trasformazione che ci conduce verso l’eternità.
Questa è un’opera profonda, perché si tratta di imparare a guardare dentro, a guardare dal di dentro. Sappiamo bene che colui che ci insegna a farlo è lo Spirito Santo. Gesù qui sta insegnando ai suoi Apostoli la dinamica dello Spirito Santo. Più avanti dirà: “Vi manderò il Paraclito,” ma già fa entrare alcuni dei suoi Apostoli in questa dinamica, insegnando a guardare dentro, a cogliere cosa c’è in profondità e come tutto, dal di dentro, sia trasformazione e apertura verso l’eternità.
Questo ce lo rivela lo Spirito Santo, che è effuso nei nostri cuori. Gesù vuole comunicarci questa potenza dello Spirito, questa capacità, questa luce interiore. Invochiamo allora la luce dello Spirito, perché impariamo l’arte della contemplazione, cioè l’arte di vedere le cose dal di dentro, dal cuore. Gesù ci offre l’esempio dei contadini con una parabola. Dice: “Imparate dalla parabola.” La parabola è un racconto della vita quotidiana che però contiene un messaggio profondo, una rivelazione del cuore.
Vedete i contadini: osservano la pianta di fico e comprendono che sta per arrivare l’estate. Il risalire della linfa intenerisce i rami e fa spuntare le gemme, che poi daranno frutti. Questa è una prospettiva verso il futuro, una trasformazione. Il contadino non vede tutto questo, ma sa che avverrà. Anche noi, se invochiamo lo Spirito Santo, ci rendiamo conto che ciò che sembra fallimento o distruzione in realtà ci apre all’eternità, al frutto.
Si tratta di imparare a vedere le cose dal di dentro, di invocare la luce dello Spirito nei nostri cuori, perché la virtù della speranza sia sempre più rafforzata. La lettera agli Ebrei lo conferma: la speranza rafforza in noi il desiderio che Cristo trionfi sulle nostre morti. Quando sperimentiamo tristezza o angoscia, lo Spirito mette la luce e ci fa vedere la vittoria di Cristo in queste situazioni. La lettera agli Ebrei, nella seconda lettura di questa liturgia (capitolo 10, versetti 11-14 e 18), proclama:
“Cristo, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi.”
Cristo è Signore anche dei nostri nemici. Perciò, tutto ciò che ci angustia o sembra distruzione è sotto la vittoria di Cristo, che conosciamo per fede. Possiamo essere, allora, come quei contadini che già vedono i frutti. Con il Salmo 15, la liturgia ci fa pregare:
“Proteggimi, o Dio, in te mi rifugio. Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.”
Entriamo oggi nella celebrazione della Santa Messa e in tutta questa giornata di grazia, chiedendo al Signore che il nostro cuore sia illuminato dalla luce dello Spirito Santo e rinnovato nella virtù della speranza. Possiamo così già oggi vedere e gustare la bellezza di quella trasformazione gloriosa che ci è annunciata dalle parole di Gesù. Egli ci assicura: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.”
Buona domenica.
Chi è Giuliva di Berardino
Laureata in Lettere Classiche a Roma, ha poi conseguito il Baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, la Licenza presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova e il Dottorato in Teologia con specializzazione in Liturgia, nello stesso Istituto. E’ anche pedagogista del movimento, insegnante di educazione al movimento e di religione nella scuola pubblica. Consacrata nell’Ordo Virginum della diocesi di Verona, guida laboratori di danza e preghiera, predica esercizi spirituali, ritiri e conferenze dedicandosi all’evangelizzazione e all’accompagnamento spirituale. Ha pubblicato: “Danzare la Misericordia”, ed. dell’Immacolata, “L’amore sponsale un amore che danza”, Effatà editrice, “Il profumo delle donne nei Vangeli” Tau editrice, “La via della bellezza. Riflessioni sulla “Via Pulcritudinis”, Tau editrice. “La danza rituale: dalla pietà popolare alla litrurgia” edizioni Centro Liturgico Vincenziano. Insegna liturgia per laici nelle Scuole Vicariali della diocesi di Verona e nella Scuola di Spiritualità S. Antonio Dottore di Padova.
Pubblica commenti al vangelo e riflessioni spirituali sul suo canale Youtube. Cura quotidianamente la rubrica “Shemà” sul giornale online “Informazione cattolica”, al servizio dell’evangelizzazione e della cultura religiosa. Collabora inoltre con l’ufficio pellegrinaggi della diocesi di Verona proponendo itinerari di spiritualità.